T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 09-12-2011, n. 9676

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato alla’Amministrazione comunale di Roma in data 28 ottobre 2011 e depositato il successivo 11 novembre, la società immobiliare "P. di S.A. & C." espone di avere acquistato ad un’asta pubblica del Comune di Roma l’immobile a destinazione residenziale (già costituito da due fabbricati, uno principale e l’altro accessorio) con antistante corte di pertinenza esclusiva sito nel Comune di Roma come in epigrafe indicato e costituito da:

a) appartamento al piano terra distinto con il numero interno 1 composto da 8,5 vani catastali confinante con scale di pertinenza;

b) appartamento al piano primo distinto con il numero interno 2 cui si accede da una scala di proprietà esclusiva che si diparte dalla corte comune, composto da 5,5 vani catastali e distacchi su corte comune per più lati salvo altri;

c) piccola area urbana pertinenziale di mq. 3 posta sul confine nord ovest del complesso. Confinante con appartamento descritto sub a) e con proprietà Comune di Roma salvo altri.

Espone di avere avviato dei lavori di ristrutturazione chiedendone istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 2, comma 59 della legge n. 662 del 1996 che estendeva quella disciplinata dall’art. 40, comma 6 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 anche ai trasferimenti di immobili di proprietà comunale.

La società effettuava anche lavori con varie denuncie di inizio attività: a prot. 57404 dell’11 dicembre 2008, a prot. 34801 del 9 luglio 2009, a prot. n. 49441 del 13 ottobre 2009 fino a quando vendeva l’immobile ad altro soggetto con compravendita del 10 febbraio 2010.

Espone poi che del tutto inopinatamente, per la circostanza che tale vincolo non era mai emerso nei precedenti procedimenti, l’acquirente, che intendeva effettuare dei sondaggi archeologici per potere realizzare opere varie, riceveva un parere della Soprintendenza comunale in cui si affermava che l’immobile in questione rientrava all’interno del vincolo paesistico Villa Ada istituito con DM. 27 aprile 1954.

Ricevuta tale nota l’acquirente rinunciava formalmente alle DIA precedentemente presentate e chiedeva parere alla Regione, nel mentre la Polizia Municipale procedeva al sequestro dell’immobile pur avendo la ridetta acquirente interrotto i lavori. Nel verbale di sequestro si faceva riferimento a due relazioni tecniche del Dipartimento Programmazione, in una delle quali veniva dato come esistente il vincolo e con riferimento al condono vi si affermava che non sarebbe stata dimostrata l’epoca della realizzazione dell’abuso.

Seguivano la determinazione dirigenziale di sospensione dei lavori e quella di demolizione avverso le quali la società ricorrente oppone:

1. violazione e falsa applicazione degli articoli 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 14 e 16 della Legge regionale Lazio n. 15 del 2008; eccesso di potere per carenza dei presupposti di fatto e di diritto; travisamento dei fatti; difetto assoluto di istruttoria.

Lamenta che l’immobile in oggetto non risulta minimamente interessato dal vincolo, come ha chiarito il Ministero per i Beni e le Attività Culturali che ha precisato come la esatta delimitazione del vincolo è nel muro di cinta di Villa Ada escludendo il manufatto dall’area oggetto di tutela paesistica; analogamente ha precisato la Regione Lazio con nota del 23 giugno 2011 inviata anche al Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica.

Deve anche rilevarsi che pende la domanda di condono presentata nel 2007 per la possibilità datane dalla legge n. 662 del 1996 e di conseguenza il procedimento doveva essere sospeso.

2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990; violazione del principio del legittimo affidamento e certezza dei rapporti giuridici; eccesso di potere per carenza dei presupposti di fatto e di diritto e difetto di istruttoria.

Osserva che prima di procedere alla demolizione l’Amministrazione avrebbe dovuto procedere ad annullare le DIA presentate e motivando in maniera puntuale anche in ragione del tempo trascorso (oltre due anni dalla presentazione dell’ultima DIA del 9 luglio 2009).

3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 40 ultimo comma della legge n. 47 del 1985; eccesso di potere per carenza dei presupposti di fatto e di diritto; incompetenza; difetto assoluto di istruttoria; confusione e genericità.

La società interessata lamenta che le valutazioni della condonabilità delle opere sarebbero state adottate da un Ufficio non competente. Reitera quanto esposto in fatto e che cioè l’istanza di condono è stata presentata in base alla apposita estensione recata dalle norme della procedura di cui all’art. 40 della legge n. 47 del 1985.

Conclude con richiesta di risarcimento dei danni e per l’accoglimento dell’istanza cautelare e del ricorso, con riserva di presentare motivi aggiunti.

L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio con compiuta memoria, contestando tutte le censure e rassegnando conclusioni opposte a quelle della ricorrente.

Alla Camera di Consiglio del 6 dicembre 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione in forma semplificata avvertitene all’uopo le parti costituite.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato come di seguito verrà precisato.

Con esso la società ricorrente impugna la determinazione di sospensione dei lavori e quella di demolizione di opere riguardanti un preesistente immobile situato in Via Panama in Roma già di proprietà del Comune di Roma ed acquisito mediante un’asta pubblica nell’ambito di un procedimento di dismissione del patrimonio immobiliare.

2. In via preliminare va esaminata l’eccezione di carenza di interesse proposta dalla resistente amministrazione comunale per non avere la società ricorrente impugnato la precedente ingiunzione di demolizione n. 1358 del 21 luglio 2008.

L’eccezione va respinta atteso che, come rappresentato nella compiuta cronistoria recata nelle premesse della memoria di costituzione dell’Ente l’ingiunzione sarebbe stata eseguita dalla stessa società, quando era ancora proprietaria del bene, sicché ora non avrebbe alcun interesse a dolersi avverso un atto i cui effetti si sono esauriti.

3. Il gravame va accolto soltanto con riferimento alla dedotta pendenza della domanda di condono presentata dalla Società "P." in data 15 febbraio 2007, avverso la quale peraltro il Comune obietta che l’art. 40 della legge n. 47 del 1985 consente la proposizione di tale domanda soltanto nei casi in cui il bene sia acquisito a seguito di aste pubbliche in esecuzione di procedure coattive e non nel caso in cui venga acquistato in aste pubbliche bandite in occasione di procedimenti di dismissione del patrimonio pubblico.

L’aspetto della controdeduzione non può essere condiviso.

Risulta, infatti, dalla produzione documentale della società ricorrente che il bando relativo all’asta pubblica per la dismissione del patrimonio immobiliare comunale del 21 ottobre 2005 prevedeva, all’art. 4, la possibilità per i partecipanti di presentare domanda di condono ai sensi dell’art. 40 della L. n. 47 del 1985, siccome esteso anche ai casi di dismissione del patrimonio immobiliare comunale dall’art. 2, comma 59 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 e per come previsto dall’art. 3 del d.l. 25 settembre 2001 n. 351 conv. da L. 23 novembre 2001, n. 410.

Ciò contestato e dunque pendendo la ridetta domanda, in base alla giurisprudenza elaborata in occasione dei condoni di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, alla legge 23 dicembre 1994, n. 724 ed al d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326 "la richiesta di sanatoria impone all’amministrazione di valutare la condonabilità o meno dell’abuso commesso e, si aggiunga, di concludere il procedimento avviato, seppure ad istanza di parte, prima di adottare provvedimenti sanzionatori" (TAR Lazio, sezione I quater, 3 agosto 2010, n. 29669 e la giurisprudenza in essa citata: T.A.R. Lazio Roma, sez. I quater, 11 settembre 2009, n. 8578 e 2 ottobre 2009, n. 9540 riprese anche da TAR Puglia, Lecce, sezione III, 12 febbraio 2010, n. 553).

L’accoglimento del ricorso sotto un profilo che comporta la riedizione del potere dell’amministrazione in ordine alla disposta demolizione, dopo essersi pronunciata sulla domanda del 15 febbraio 2007, rende superflua la disamina di tutte le altre censure come in narrativa esposte.

In base allo stesso presupposto non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno proposta dalla ricorrente, oltre tutto formulata in modo del tutto generico.

Per le superiori considerazioni il ricorso va pertanto accolto come sopra precisato e per l’effetto vanno annullate le determinazioni di Roma Capitale a prot. n. 1651 del 28 luglio 2011 e a prot. n. 1842 del 5 settembre 2011, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione in ordine alla domanda di condono in data 15 febbraio 2007.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio, in vista della soccombenza solo parziale del Comune.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie come in motivazione indicato e per l’effetto annulla le determinazioni di Roma Capitale a prot. n. 1651 del 28 luglio 2011 e a prot. n. 1842 del 5 settembre 2011, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione in ordine alla domanda di condono in data 15 febbraio 2007.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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