Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 06-07-2011) 07-11-2011, n. 40087 Liquidazione e valutazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.F.S. ricorre per cassazione, tramite il difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe, con la quale il Tribunale di Catania, sez.ne distaccata Acireale, giudice di appello, in parziale modifica della pronunzia di primo grado, impugnata dalla PC B. C., lo ha riconosciuto colpevole, ai soli effetti civili, del delitto di minaccia semplice e lo ha condannato al risarcimento del danno, equitativamente liquidato in Euro 800, oltre interessi legali e rivalutazione, al pagamento delle spese processuali e al ristoro delle spese sostenute dalla PC in entrambi i gradi di giudizio.

Il ricorrente deduce carenze dell’apparato motivazionale e violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, art. 546 c.p.p., comma 1, lett. c), art. 192 c.p.p.. E’ pur vero che il giudice può formare il suo convincimento anche sulle sola parola della PO, ma, in tal caso, le dichiarazioni in questione vanno sottoposte ad attenta verifica di attendibilità, specie quando sia intervenuta costituzione di PC. Il Tribunale, stravolgendo completamente la trama motivazionale della sentenza del GdP e mal interpretando le dichiarazioni dei testi, ha sostenuto che il racconto dei fatti come offerto dal B. avrebbe trovato riscontro, sia pur parziale, nelle parole dei testi C.I., Ca.Pa. e D.G.G.. Così viceversa non è, se solo si scorrono i relativi verbali di udienza (operazione consentita anche in sede di legittimità, attesa la diversa interpretazione che della parola dei testi hanno dato il giudice di primo e quello di secondo grado). Il primo, brigadiere dei CC, presente ai fatti ha dichiarato di non aver udito alcuna frase minacciosa e ha ridimensionato il contenuto della sua relazione di servizio, acquisita agli atti, chiarendo di avere semplicemente invitato il D.F. a calmarsi. E’ dunque inesatto che lo stesso, come scrive il Tribunale, avrebbe "trattenuto" l’imputato. Il secondo ha detto di non ricordare le parole pronunziate dall’imputato. Non si comprende dunque come il giudice di appello abbia potuto sostenere che Ca. ha descritto un comportamento compatibile con la frase pretesamente pronunziata dal D.F..

Il terzo ha riferito di avere udito la frase "tu non capisci niente", ma non parole minacciose, altrimenti se le sarebbe ricordate. Per altro, emerge che Ca. e D.G. intervennero quando, per stessa ipotesi di accusa, la frase minacciosa sarebbe già stata pronunziata, mentre l’unico presente al momento sarebbe stato il C., il quale, però, come premesso nulla ha udito.

Così stando le cose, è del tutto arbitrario il ribaltamento di giudizio compiuto dal giudice di secondo grado.

Sotto altro aspetto, il ricorrente contesta la liquidazione del danno e delle spese, atteso che, trattandosi di pretesi danni morali, il giudicante avrebbe dovuto emettere condanna generica e rimettere le parti innanzi la giudice civile e non liquidarli equitativamente.

Male poi ha fatto il Tribunale a condannare il D.F. al rimborso delle spese sostenute dalla PC in entrambi i gradi di giudizio, in quanto avrebbe dovuto limitarsi alle spese del solo secondo grado.

Motivi della decisione

La prima censura è inammissibile, perchè articolata in fatto e tendente a una "lettura alternativa" delle emergenze processuali.

La sentenza impugnata evidenzia – e lo afferma lo stesso ricorrente – che Ca. e D.G. intervennero in un secondo momento. Di Grazia tuttavia fu presente nel momento in cui D.F. esclamava "tu non capisci niente" (in origine il ricorrente era stato chiamato a rispondere anche del delitto ex art. 594 c.p.).

Ebbene il Tribunale ha ritenuto credibili le parole della PO, in quanto, a suo giudizio, l’intero contesto in cui avvenne il "contatto" tra D.F. e B. (come ricostruito appunto dai tre testi sopra citati) fu connotato da concitazione e aggressività (del primo verso il secondo).

Con il ricorsoci sostiene che non sarebbe vero il fatto che l’app. C. sostenne di aver trattenuto l’imputato, ma è poi lo steso ricorrente a ricordare che, nella relazione di servizio, il militare scrive di aver "bloccato" il D.F. e, invitato, in dibattimento a chiarire, sostiene di averlo invitato a calmarsi, ottenendone addirittura le scuse. D’altra parte, per quel che lo stesso ricorrente riporta, non può certo affermarsi che il Tribunale abbia errato nel ricostruire uno "scenario" al limite dello scontro fisico, per la forte aggressività manifestata dall’imputato.

Ebbene, a fronte di una siffatta "situazione ambientale", il giudice di secondo grado si è limitato ad affermare che – pur avendo i testi dichiarato di non avere udito ( C.), di non ricordare ( Ca.), di aver udito altra frase ( D.G.: "tu non capisci niente") – la PO è credibile quando sostiene di aver subito minaccia dall’imputato.

Nessun rilievo poi può avere la lieve difformità tra la frase riportata nel capo di imputazione ("te la faccio vedere io come finisce…ti piglio a pedate") e quella riportata nella sentenza di condanna "tela faccio vedere io come ti finisce… ti piglio a pedate"), non essendo certamente quel "ti" ciò che cambia il senso della frase; sia perchè è evidente che il D.F. si riferiva al B. ("te la faccio…"), sia perchè la "promessa" di una punizione fisica (le pedate) rappresenta il completamento e l’apice della minaccia (ovviamente da intendersi nel senso di:

finirà che ti prendo a pedate).

Non si comprende dunque perchè il ricorrente abbia inteso insistere sul punto, assumendo che la frase, privata del "ti" avrebbe un significato generico, in quanto non rivolto alla PO. La seconda censura è infondata.

Il giudice penale, nel riconoscere e liquidare il danno, può certamente ricorrere a una valutazione equitativa (desumibile, ad es. da ASN 201034209-ASN 248371).

Anzi, ovviamente, in relazione al danno non patrimoniale, la valutazione del giudice del merito non può essere analitica, ma è rimessa, in via equitativa, appunto, al suo prudente apprezzamento (ASN 200709182-RV 236262; ASU 199706018-RV 208086).

Non è dunque obbligato il giudice penale, in caso di liquidazione equitativa del danno, a rimettere le parti innanzi al giudice civile.

Quanto alle spese, esse seguono la soccombenza ( art. 541 c.p.) e ciò non varia quando la impugnazione è stata effettuata ai soli fini civilistici ( art. 592 c.p.p., comma 4).

Poichè la sentenza di secondo grado ha ribaltato, sia pure ai soli fini civili, la sentenza di primo grado, è corretta la condanna alle spese e alla liquidazione del danno in entrambi i gradi di giudizio.

Conclusivamente il ricorso merita rigetto e il ricorrente va condannato alla spese del grado.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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