Cons. Stato Sez. VI, Sent., 12-12-2011, n. 6500

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il T.A.R. per la Puglia con sentenza n. 1772 del 16 giugno 2008, alla cui attuazione è diretto il presente giudizio di ottemperanza promosso dall’odierno appellato I. V. nella qualità ut supra, in accoglimento del ricorso n. 1868 del 2006 proposto dal predetto avverso il comportamento inerte della Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia, dichiarava l’obbligo dell’Amministrazione resistente di concludere il procedimento attivato con istanza del 30 dicembre 2005 – la quale era, tra l’altro, tesa ad avviare ai sensi degli artt. 95 ss. d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, la procedura di espropriazione dell’area, sita in Otranto, di proprietà I., sulla quale insistevano una serie di importanti reperti archeologici mobiliari e immobiliari (una necropoli di età greca risalente al V secolo a.c.; una necropoli romana di età imperiale del I secolo d.c.; i resti di un quartiere suburbano del III/IV secolo d.c.; i resti di edifici medievali) scoperti dall’odierno appellato nell’anno 1978 nella fase d’avvio di un progetto edilizio poi sospeso – e di pronunciarsi definitivamente in ordine alla scelta della procedura espropriativa sui terreni di proprietà dell’impresa ricorrente.

2. Con successiva sentenza n. 532 del 25 marzo 2009 lo stesso T.A.R., ai fini dell’esecuzione della sentenza n. 1772/2008, provvedeva a nominare quale commissario ad acta il Prefetto di Lecce.

Con nota del 29 maggio 2009 il Ministero per i beni e le attività culturali comunicava all’odierno appellato l’avvio del procedimento di dichiarazione di pubblica utilità per l’espropriazione dell’immobile, mentre con nota successiva del 3 agosto 2009 lo stesso Ministero rappresentava all’interessato "la disponibilità all’esame di un progetto di edificazione limitata sull’area di proprietà della V. I. e fratelli s.n.c., sottoposta a vincolo archeologico con D.M. 10/03/1978" e la necessità di "soprassedere al seguito della procedura espropriativa per l’area in questione" in attesa di conoscere le determinazioni del Comune di Otranto e della stessa impresa.

Dopo che l’odierno appellato con nota del 9 settembre 2009 si era dichiarato disponibile alla progettazione ed esecuzione dell’intervento edilizio (precisando che l’eventuale accertamento dell’impossibilità di procedere all’edificazione dell’area avrebbe comportato la riemersione dell’obbligo, in capo alla Soprintendenza, di ultimare la già attivata procedura espropriativa), la Soprintendenza escludeva la possibilità concreta di un’edificazione dell’area. Indi l’impresa I., con nota del 15 luglio 2010 inviata alla Soprintendenza e al commissario ad acta, rinnovava la domanda per l’espropriazione dell’area in questione.

3. A fronte del mancato riscontro della Soprintendenza e della risposta del commissario ad acta di aver assolto il compito ad esso conferito (risposta, basata sul testuale rilievo che "avendo codesta Autorità Giurisdizionale ritenuto doveroso instaurare il procedimento ablatorio, statuendo la discrezionalità nell’"an" del provvedimento finale, si riscontra il positivo assolvimento del citato obbligo atteso che, dopo l’avvio del procedimento, come sopra riferito, sono allo studio strategie di collaborazione tra le parti, al fine di meglio contemperare gli interessi pubblici e privati coinvolti"), l’odierno appellato adiva il T.A.R. col ricorso introduttivo del presente giudizio (rubricato sub n. 1675 del 2010), rilevando che i tentativi di trovare una soluzione concordata erano rimasti senza esito e chiedendo l’accertamento dell’obbligo della Soprintendenza di concludere il procedimento avviato con la nota del 29 maggio 2009.

4. Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. adito, previa conversione del ricorso – originariamente proposto ai sensi dell’art. 117 cod. proc. amm. – dal rito del silenzio al rito dell’ottemperanza ex art. 112 cod. proc. amm., lo accoglieva e ordinava al Ministero per i beni e le attività culturali di provvedere all’esecuzione della sentenza n. 1772/2008 dello stesso T.A.R., nominando quale commissario ad acta il Capo del dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio, affinché lo stesse provvedesse all’esecuzione coatta in caso di persistenza dell’inadempimento oltre il termine di novanta giorni.

5. Avverso tale sentenza, notificata il 28 aprile 2011, interponeva appello il soccombente Ministero con ricorso notificato il 21 giugno 2011 e depositato il 5 luglio 2011, deducendo, quale unico motivo d’impugnazione, la violazione del giudicato formatosi sulla sentenza della Corte d’Appello di Lecce 11 ottobre 1990, n. 533, la quale avrebbe escluso la cumulabilità tra premio per il ritrovamento dei reperti e indennità d’esproprio, sicché, a fronte della liquidazione del premio già effettuata dalla Soprintendenza, era ormai precluso l’avvio della procedura ablatoria e dunque "non occorre (va) compiere alcuna ulteriore attività in esecuzione della sentenza n. 1772/08". L’appellante chiedeva dunque, previa sospensione dell’esecutorietà dell’impugnata sentenza e in sua riforma, il rigetto del ricorso proposto in primo grado, con vittoria di spese.

6. Costituendosi, l’appellato eccepiva l’irricevibilità dell’appello per essere stato proposto oltre il termine dimidiato di trenta giorni dalla notificazione della sentenza, previsto dal combinato disposto degli artt. 114, comma 9, e 87 cod. proc. amm. Nel merito, contestava la fondatezza dell’impugnazione, chiedendone il rigetto con rifusione di spese.

7. All’udienza camerale del 27 settembre 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.

8. L’eccezione di irricevibilità dell’appello è infondata, poiché l’art. 114, comma 9, cod. proc. amm. rinvia, quanto al regime dei termini per la proposizione delle impugnazioni nel giudizio di ottemperanza, alla disciplina contenuta nel Libro III del codice, ossia alla disciplina generale delle impugnazioni, talché, nell’ipotesi di notificazione della sentenza, deve ritenersi applicabile il termine breve ordinario di sessanta giorni, nella specie pacificamente osservato.

La dimidiazione dei termini, sancita dall’art. 87, comma 3, cod. proc. amm. per i procedimenti in camera di consiglio (tra cui i giudizi di ottemperanza), invece si applica ai termini diversi da quelli di proposizione del ricorso – con la precisazione che secondo costante interpretazione giurisprudenziale per "proposizione" del ricorso si intende solo la sua notificazione, ma non anche il deposito -, e dunque ai termini di deposito (qui osservato, risultando il ricorso depositato entro il termine dimidiato di quindici giorni dalla notificazione) e per memorie, documenti e repliche in vista dell’udienza, ma non anche al termine per la proposizione (id est notificazione) del ricorso in appello, attesa la richiamata disposizione speciale dettata dal comma 9 dell’art. 114.

9. Rilevata con ciò la rituale instaurazione del rapporto processuale, si osserva nel merito che l’appello è infondato.

9.1. Al suo accoglimento si oppone, in primo luogo, la decisione n. 198/1996 del 27 febbraio 1996 di questo Consiglio di Stato, intervenuta tra le parti dell’odierno giudizio e passata in giudicato, con la quale era stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso per ottemperanza al giudicato formatosi sulla sentenza n. 533/1990 della Corte d’Appello di Lecce, basata – per quanto qui interessa, con riguardo ai reperti immobiliari – sui seguenti testuali rilievi: " (…) Per quanto concerne la domanda relativa alla liquidazione del premio relativo ai reperti archeologici immobiliari oggetto di rinvenimento, l’inammissibilità dell’azione in ottemperanza discende, ancor prima che dall’inesistenza di una pronunzia di condanna suscettibile di esecuzione, dalla radicale mancanza di un accertamento in via giurisdizionale, con efficacia di giudicato, del relativo diritto, a sua volta derivante dall’assenza, nell’atto introduttivo del giudizio civile, di una specifica domanda volta a sollecitare una pronunzia in tal senso da parte del Tribunale adito. (….) Secondo l’assunto dell’odierno ricorrente, l’accoglimento dell’appello proposto dall’Amministrazione presupporrebbe "l’affermazione del diritto dell’Ingrosso alla percezione del premio, tanto per le cose mobili che per gli immobili". Tale assunto, peraltro, può essere condiviso soltanto da un punto di vista logicoargomentativo, fermo restando che la statuizione al riguardo resa dal giudice d’appello ha carattere meramente incidentale, e non può quindi formare oggetto di giudicato, atteso che – come sopra ricordato – la questione relativa alla spettanza, o meno, del premio per i reperti archeologici immobiliari era addirittura estranea al thema decidendum, così come introdotto in sede civile dalla stessa parte attrice (…)".

È, con ciò, rimasta esclusa, con statuizione avente efficacia di giudicato tra le parti, la formazione di un giudicato civile sulla spettanza del premio per il ritrovamento dei reperti archeologici immobiliari e sulla sua incompatibilità con l’indennità d’esproprio (che secondo il Ministero appellante escluderebbe ab imis la pretesa all’adozione di un provvedimento espresso attorno alla procedura ablatoria), l’eccezione di giudicato sollevata dall’odierna appellante risulta infondata.

9.2. In secondo luogo, deve rilevarsi che il giudicato civile opposto dall’Amministrazione appellante all’azione di ottemperanza tesa all’attuazione della sentenza n. 1772/2008 del T.A.R., affermativa dell’obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi definitivamente in ordine alla scelta della procedura espropriativa sui terreni di proprietà dell’impresa I. e a sua volta passata in giudicato, è intervenuto in epoca ampiamente successiva alla formazione del precedente giudicato civile, senza che nel relativo giudizio fosse stata sollevata l’eccezione di giudicato e senza che avverso la sentenza del T.A.R. fosse stata interposta impugnazione per revocazione ex art. 395 n. 5) cod. proc. civ.

Ne deriva che in ogni caso il giudicato formatosi sulla sentenza ottemperanda prevarrebbe sul precedente giudicato civile (asseritamente incompatibile con la pronuncia affermativa dell’obbligo di provvedere sull’an della procedura ablatoria), in quanto l’art. 395 n. 5) cod. proc. civ., configurando la violazione di un precedente giudicato alla stregua di un vizio della seconda sentenza suscettibile di essere fatta valere a pena di decadenza (secondo il principio generale della conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione) tramite la revocazione ordinaria e sottraendola dunque ad un’eventuale actio nullitatis, pone la regola che il conflitto tra due giudicati si risolve a favore del secondo (nella specie, a favore del giudicato formatosi sulla sentenza ottemperanda), con conseguente infondatezza dell’appello anche sotto il profilo in esame.

10. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del grado vanno poste a carico dell’Amministrazione appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; condanna l’Amministrazione appellante a rifondere alla parte appellata le spese del presente grado, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 2.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *