Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-05-2012, n. 7336 Tassa rimozione rifiuti solidi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

La ditta in epigrafe indicata impugnava in sede giurisdizionale gli accertamenti con cui il Comune di Capannori aveva rettificato le tariffe TIA relative all’anno 2005.

La CTP di Lucca rigettava il ricorso, e la CTR, pronunciando sull’appello della contribuente, lo respingeva, ritenendo sussistenti i presupposti impositivi. La spa "Il Rustico", giusto ricorso notificato il 14/15-17/Gennaio 2011, ha chiesto la cassazione della decisione di appello, sulla base di sette mezzi. L’ASCIT SPA, giusto atto notificato il 23 febbraio 2011, ha chiesto dichiararsi inammissibile e, comunque, rigettarsi per infondatezza, il ricorso.

Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, l’impugnata sentenza viene censurata per insufficiente motivazione sul fatto decisivo relativo al mancanza di potere del Direttore di rappresentare l’Azienda e di compiere e sottoscrivere accertamenti.

La censura è inammissibile, stante la mancata specificazione del fatto controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per "fatto" non una questione od un punto della sentenza, bensì un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo; tale non può considerarsi il riferimento all’implicito potere di emettere avvisi di accertamento riconosciuto in capo al Direttore della società.

Anche il secondo mezzo, con cui si prospetta insufficiente motivazione sulla controversa e decisiva questione della carenza di valido presupposto normativo degli avvisi di accertamento impugnati, è inammissibile, in quanto estranea all’assunto vizio di motivazione in ordine ad un fatto controverso. La ricorrente, invero lamenta la mancata declaratoria di nullità degli avvisi di accertamento in quanto fondati, a suo dire, su delibere consiliari successivamente revocate, censura questa da proporsi, se del caso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o n. 4. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 33 del Regolamento TIA Anno 2005 del Comune di Capannoni,sostenendosi la nullità degli avvisi di accertamento impugnati, "perchè emanati sulla base di un procedimento di rilevazione irrituale ed illegittimo" effettuato da soggetto terzo e senza il preventivo preavviso.

La CTR, al riguardo, ha argomentato che il procedimento seguito era da considerare regolare, tenuto conto che il sopralluogo e le verifiche erano avvenute "alla presenza del contribuente, i cui dipendenti avevano consentito l’accesso ai rilevatori autorizzati, senza muovere alcuna contestazione". Ciò posto, il Collegio è dell’avviso che il mancato rispetto dell’avviso preventivo, trattandosi di adempimento funzionale a garantire il principio costituzionale di inviolabilità del domicilio, può legittimare il contribuente a rifiutare l’accesso, ma non rende illegittimo lo stesso, nel caso in cui, come nel caso, il contribuente lo abbia, comunque, consentito, ne1 rende inutilizzabili i risultati dell’eseguita verifica (Cass. n. 17210/2009).

Con il quarto mezzo, si prospetta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa valutatone dei motivi di annullamento del Regolamento TIA 2005.

Invero, perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità il vizio di omessa pronuncia, è necessario che al Giudice di merito siano state rivolte una domanda od una eccezione autonomamente apprezzabile e ritualmente formulate e che le relative istanze siano specificamente riportate nel ricorso per Cassazione, con l’indicazione degli atti in cui sono contenuti (Cass. n. 21226/2010, n. 6361/2007).

Nel caso, la censura risulta generica, tenuto conto che la stessa contiene un rinvio per relationem agli atti della fase di merito.

Con il quinto mezzo si deduce violazione del D.Lgs. n. n. 22 del 1997, art. 49, commi 3 e 4 per avere affermato il principio che "la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale".

Le questioni poste dal motivo del ricorso, si ritengono infondate, sulla base di condiviso orientamento giurisprudenziale e segnatamente di quanto affermato, da ultimo, da questa Corte (Cass. n. 627/2012), la quale, dopo avere evidenziato che "la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo, – nell’ovvio presupposto che in un locale od area in cui si producono rifiuti speciali si formano anche, di norma, rifiuti ordinari, l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali", ha affermato che "In tema di avviamento al recupero dei rifiuti speciali assimilati (e assimilabili), l’operatore economico ha l’onere di dimostrare l’effettivo e corretto avviamento al recupero attraverso valida documentazione comprovante il conferimento dei rifiuti, innanzitutto, a soggetti autorizzati a detta attività in base alle norme del D.Lgs. n. 22 del 1997 e i quali poi abbiano rilasciato il prescritto formulario di identificazione o, in caso di mancata ricezione di questo, altra idonea attestazione", precisando pure che "l’esonero dalla privativa comunale, previsto appunto in caso di detto comprovato avviamento al recupero dall’art. 21, comma 7 del Decreto Ronchi, determina non già la riduzione della superficie tassabile, prevista dal citato art. 62, comma 3, cit. D.Lgs. per il solo caso di produzione di rifiuti speciali (non assimilabili o non assimilati), bensì il diritto ad una riduzione tariffaria determinata in concreto – a consuntivo – in base a criterì di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero (in virtù di quanto previsto, in generale, già dall’art. 67, comma 2, cit. D.Lgs. e poi, più specificamente, dall’art. 49, comma 14 del Decreto Ronchi e dal D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, comma 2 il quale, nell’approvare il "metodo normalizzato per la determinazione della tariffa di riferimento per la gestione dei rifiuti urbani", può, nella fase transitoria, essere applicato dai Comuni anche ai fini TARSO".

La decisione impugnata, nello esaminare la questione relativa allo smaltimento dei rifiuti speciali, ha argomentato che la deduzione era tardiva e non aveva riscontri probatori.

A fronte di tali rationes decidendi, le censure risultano generiche e non aggrediscono con la necessaria specificità l’argomentazione posta a base della decisione, tenuto conto che l’affermazione della Commissione Tributaria Regionale, secondo cui la questione relativa allo smaltimento in proprio dei rifiuti speciali non risultava ritualmente eccepita in primo grado e, in ogni caso, non risultava supportata da riscontri probatori, offerti dall’onerata contribuente, risulta in linea con consolidato orientamento giurisprudenziale e che la società, in buona sostanza, prospetta una lettura della medesima realtà fattuale, diversa da quella offerta dalla Commissione Tributaria Regionale.

Le censure, oltretutto, risultano formulate in spregio al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la parte, in sede di ricorso per cassazione, "ha l’onere di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione, in quanto il detto ricorso deve risultare autosufficiente e, quindi, contenere in sè tutti gli elementi che diano al Giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata, non essendo sufficiente un generico rinvio agli atti ed alle risultanze processuali" (Cass. n. 849/2002, n. 2613/2001, n. 9558/1997).

La ricorrente, in vero, si è limitata a criticare la sentenza, prospettando una lettura delle emergenze processuali diversa da quella offerta dai Giudici di merito, rilevandone insufficienze argomentative, ma non ha indicato i concreti elementi pretermessi, in ipotesi idonei a giustificare una diversa decisione.

Con il sesto motivo la decisione di appello viene censurata per violazione e falsa applicazione del disposto del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 1 avendo ritenuto ed affermato la rilevanza impositiva della TIA, agli effetti dell’IVA. Il mezzo è fondato e va accolto, dovendosi escludere l’applicazione dell’IVA, avuto riguardo alla natura tributaria della TIA, riconosciuta dalla Corte Costituzionale con le decisioni n. 238 del 2009 e n. 64 del 2010 e confermata da questa Corte, con le decisioni delle SS.UU. n. 14903/2010 e n. 25929/2011. Con tali decisioni, che si condividono e dalle quali non si ravvisano ragioni per discostarsi, è stato, infatti, puntualizzato che l’inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l’entità del prelievo, porta ad escludere, in assenza di specifica previsione legislativa, la sussistenza del rapporto sinallagmatico, costituente presupposto dell’assoggettamento ad IVA, ex artt. 3 e 4, del cit. D.P.R..

Con il settimo ed ultimo mezzo si deduce insufficiente motivazione della decisione di appello in punto sanzioni ed interessi.

La censura risulta inammissibile, per il carattere della novità e per la genericità della formulazione, in violazione del principio di autosufficienza, dato che la questione non risulta essere stata prospettata nelle fasi di merito, restando del tutto estranea alla decisione resa in sede di appello, e che non viene richiamato il tenore della doglianza e l’atto con cui la stessa sarebbe stata proposta.

Conclusivamente va accolto il sesto motivo del ricorso e rigettati tutti gli altri mezzi; in relazione alla doglianza accolta, va cassata l’impugnata decisione e, tenuto conto che non si ravvisano esigenze di ulteriori accertamenti di fatto, va riconosciuto e dichiarato che la TIA non risulta imponibile agli effetti IVA. Le spese del giudizio, avuto riguardo al parziale accoglimento del ricorso ed alla complessità questioni esaminate, vanno interamente compensate.

P.Q.M.

accoglie il ricorso principale, nei limiti e nei sensi di cui alla parte motiva e rigetta tutti gli altri mezzi; cassa, in relazione alla censura accolta, l’impugnata decisione, – che conferma per il resto, e dichiara non dovuta l’IVA sulla TIA. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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