Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-05-2012, n. 7297

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La società Città d’Europa Cooperativa Edilizia a r.l. ricorre (successivamente depositando memoria ex art. 378 c.p.c.) nei confronti del Comune di Padova (che resiste con atto denominato "memoria", successivamente illustrato da ulteriore memoria) per la cassazione della sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avvisi di accertamento per ICI e relative sanzioni con riguardo agli anni 1995 e 1996, la C.T.R. Veneto confermava la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso della contribuente.

In particolare, per quel che in questa sede ancora rileva, i giudici d’appello evidenziavano: che gli avvisi opposti dovevano ritenersi adeguatamente motivati in quanto in essi erano chiaramente indicati i criteri adottati per il calcolo del valore dell’area ed esplicitato il criterio logico seguito nell’accertamento, così mettendo la contribuente in condizione di contestare adeguatamente la pretesa tributaria; che risultava evidente che nell’accertamento relativo all’area edificabile il Comune non aveva considerato il plusvalore determinato dal costo dei fabbricati in corso d’opera ma aveva tenuto conto esclusivamente dell’ubicazione, dell’indice di edificabilità e dei prezzi medi di mercato; che per l’accertamento relativo ai fabbricati il Comune aveva osservato il disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 6, a mente del quale, a partire dal giorno di ultimazione dei lavori di costruzione, la base imponibile ai fini ICI non va più riferita all’area edificatoria ma al fabbricato su di esso realizzato; che il calcolo dell’imponibile era stato effettuato sulla base delle rendite catastali esistenti almeno dal 25.3.1996 e non era applicabile nella specie l’invocato D.Lgs. n. 342 del 2000, art. 74, non trattandosi di immobili dichiarati con rendita presunta, ai quali soltanto è riferibile la norma suddetta; che è priva di fondamento la doglianza circa l’illegittimità delle sanzioni irrogate, posto che la sanzione intermedia irrogata, avuto riguardo alla definizione agevolata, risulta più conveniente per il contribuente; che non sussistono i presupposti per l’invocata applicazione della c.d. "continuazione", non risultando gli illeciti contestati legati da una "risoluzione criminosa". 2. Preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità del controricorso del Comune per difetto di procura (non indicandosi in nessun punto dell’atto il nominativo del soggetto che avrebbe sottoscritto la peraltro generica – procura stasa in calce), eccezione proposta da parte ricorrente nella memoria di cui all’art. 378 c.p.c..

In proposito, deve innanzitutto evidenziarsi che l’atto depositato tempestivamente in cancelleria dal Comune e tempestivamente notificato a controparte, ancorchè qualificato "memoria", va considerato controricorso, sussistendone tutti i requisiti di cui all’art. 370 c.p.c., siccome interpretato dalla giurisprudenza di questo giudice di legittimità.

E’ da aggiungere che sul retro dell’ultimo foglio del controricorso notificato alla controparte risulta in data 19 giugno 2007 rilasciata, dal sindaco pro tempore della città di Padova, procura agli avvocati Montobbio e Lorenzoni per il ricorso dinanzi alla corte di cassazione, e in calce a tale procura, prima della sottoscrizione, sotto le parole "Il Sindaco", sono riportati dattiloscritti e tra parentesi il nome e il cognome del suddetto sindaco ( Z. F.), dovendo peraltro aggiungersi che l’identità del sottoscrittore era in ogni caso individuabile, a prescindere dalla esplicitazione del nome e del cognome, attraverso l’indicazione di esso come il sindaco p.t. della città di Padova in data 19 giugno 2007, ed inoltre che in ogni caso non risulta in alcun modo dedotta l’illeggibilità della sottoscrizione.

Tanto premesso, occorre precisare, con riguardo alla dedotta genericità della procura, che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il rilascio perfino non datato della procura mediante timbro apposto a margine od in calce all’atto contenente il controricorso ed il ricorso incidentale conferisce alla procura stessa sia il carattere dell’anteriorità, che il requisito della specialità giacchè tale collocazione rivela uno specifico collegamento tra la procura ed il giudizio di legittimità (v. tra numerose altre cass. n. 25137 del 2010), ed inoltre che il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione (ovvero del controricorso) è per sua natura mandato speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale si rivolge, poichè in tal caso la specialità del mandato è deducibile dal fatto che la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso od il controricorso al quale essa si riferisce (v. ancora cass. n. 15692 del 2009).

Inoltre, quanto alla asserita mancata indicazione del nome del sottoscrittore della procura (fermo restando quanto sopra esposto circa la chiara indicazione non solo di tale nome ma anche di tutti gli elementi idonei ad identificarlo e circa la mancata allegazione della illeggibilità della firma), è appena il caso di evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, quando (anche solo) dagli atti di causa sia possibile identificare il nome del legale rappresentante della persona giuridica che ha conferito il mandato per ricorrere per Cassazione, (perfino) la mancata indicazione nell’intestazione del ricorso e nella procura del nome di detto rappresentante nonchè l’illeggibilità della firma non comportano l’inammissibilità del ricorso (v. SU n. 5764 del 1998).

Col primo motivo, deducendo nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49, la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano escluso la dedotta carenza di motivazione degli avvisi opposti sulla base di una mera argomentazione del contribuente senza valutare l’eccezione di nullità dei suddetti avvisi nel suo complesso. I giudici d’appello si sarebbero infatti limitati, secondo la ricorrente, ad affermare che erano stati indicati i criteri adottati per il calcolo del valore dell’area senza considerare che il contribuente aveva osservato che era meramente apparente e contraddittorio il criterio di stima indicato nell’atto perchè faceva riferimento al valore di mercato del bene senza tenere conto del fatto che l’area non era in comune commercio, essendo destinata all’edilizia economica e popolare, non equiparabile ad altre aree collocabili sul mercato senza vincoli, e che gli atti di compravendita utilizzati come comparazione erano irrilevanti perchè recanti valori assai dissimili tra loro, perchè riferibili ad aree residenziali e perchè non resi disponibili alla società nè allegati agli avvisi opposti.

La censura è infondata.

Il ricorrente denuncia in rubrica l’omessa pronuncia, ma tale omissione non sussiste in quanto i giudici d’appello si sono pronunciati sulla dedotta mancanza di motivazione degli avvisi opposti e l’hanno esclusa. Eventuali censure in ordine alla correttezza o meno di tale pronuncia non possono essere proposte denunciando un error in procedendo, tant’è che poi la ricorrente censura nei motivi che seguono la suddetta pronuncia (asseritamente omessa) sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione. E’ peraltro appena il caso di aggiungere che l’eventuale mancata considerazione di alcune delle argomentazioni sostenute dalla parte non costituisce omessa pronuncia ma potrebbe eventualmente costituire (ove tali argomentazioni riguardino fatti controversi e decisivi) vizio di motivazione.

Col secondo motivo, deducendo nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11 commi 1, 2, e 2 bis, nonchè art. 5, comma 5, L. n. 212 del 2000, art. 7 e L. n. 241 del 1990, art. 3, la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano ritenuto legittimamente motivati gli avvisi opposti senza considerare che detta motivazione faceva riferimento – per il calcolo del valore dell’area assoggettata a regime vincolato per l’edilizia economica e popolare- al criterio di stima del valore in comune commercio, utilizzando come elementi di comparazione atti non resi noti o disponibili al destinatario nè allegati e riferentisi ad aree con caratteristiche diverse da quelle dell’area da stimare, senza prendere in considerazione l’atto di cessione da parte del medesimo Comune al contribuente della stessa area, intervenuto appena due anni addietro.

La censura è in parte infondata e in parte inammissibile.

Occorre innanzitutto premettere che, pur censurando la decisione dei giudici d’appello in ordine alla ritenuta legittimità della motivazione degli atti opposti, in realtà la ricorrente pone un problema (non di esistenza ma) di "fondatezza" di detta motivazione, perciò di fondatezza della pretesa. In ogni caso la censura difetta di autosufficienza, posto che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso -, è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto in relazione ai quali si discute (v. tra le altre cass. n. 15867 del 2004), essendo da aggiungere che la motivazione di un atto va correttamente valutata nel suo complesso e nel suo contesto (considerando anche il tipo di imposta ed il tipo di atto cui afferisce) e pertanto risulta necessario che detta motivazione vada riportata testualmente ed integralmente.

In relazione alla dedotta omessa allegazione di atti non conosciuti dalla società ed ai quali si sarebbe fatto riferimento nella suddetta motivazione, occorre rilevare che l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche "per relationem", ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato, ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale (v. tra le altre cass. n. 6914 del 2011 e n. 1906 del 2008) e che nella specie non si esclude che il contenuto essenziale degli atti richiamati e non allegati sia stato riportato nella motivazione nè si riporta in ricorso l’intero testo della suddetta motivazione al fine di verificare tale circostanza.

Con i quattro motivi successivi, da esaminare congiuntamente perchè logicamente connessi, la ricorrente si duole del fatto che i giudici della C.T.R., non pronunciando su quanto in proposito evidenziato nell’atto d’appello, avrebbero ritenuto le legittimità degli avvisi opposti senza considerare, in punto di diritto e in punto di fatto, le seguenti circostanze: l’assoggettamento dell’area de qua (in quanto destinata ad edilizia popolare ed economica) ad uno speciale regime giuridico incidente sul relativo valore (quindi l’irrilevanza nella specie ai fini della stima dell’indice di edificabilità, dell’ubicazione e dei prezzi medi di aree genericamente destinate ad uso residenziale), e la vendita (avvenuta appena due anni prima) della suddetta area da parte del Comune alla società ad un prezzo molto inferiore al valore accertato in sede impositiva dallo stesso Comune.

Le censure esposte sono fondate esclusivamente nei termini e nei limiti di cui in prosieguo.

Giova innanzitutto rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, in relazione all’imposta comunale sugli immobili ed ai fini della determinazione del valore imponibile è indispensabile che la misura del valore venale in comune commercio sia ricavata in base ai parametri vincolanti previsti dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, che, per le aree fabbricabili, devono avere riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per gli eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche (v. cass. n. 14385 del 2010), con la conseguenza che, dovendo tali criteri normativamente determinati considerarsi tassativi, non può condividersi la tesi della ricorrente, secondo la quale il valore di riferimento per la determinazione della base imponibile ai fini dell’I.C.I. doveva essere costituito dal prezzo indicato nella convenzione di compravendita tra lo stesso Comune e la società, non rientrando tale criterio tra i parametri fissati dal citato articolo 5 e dovendo peraltro rilevarsi che tale prezzo non potrebbe in ogni caso ritenersi significativo, non foss’altro perchè il Comune (ente pubblico avente compiti istituzionali di natura non economica e quindi non necessariamente ed esclusivamente inteso al profitto, come ipotizzabile invece in caso di alienazione da parte di un privato) ben potrebbe essersi determinato (in relazione alla particolare destinazione della suddetta area) ad alienarla ad un prezzo inferiore a quello di mercato.

Tanto premesso, occorre tuttavia rilevare che i giudici d’appello non hanno accertato la corretta ed integrale applicazione da parte del Comune di Padova dei suddetti parametri siccome individuati dalla norma citata. I suddetti giudici infatti indicano i criteri adottati dal Comune per il calcolo del valore ("potenzialità edificatoria, ubicazione dell’area, vincoli esistenti e corretto raffronto con aree similari") senza però verificare se tali parametri sono stati adeguatamente valutati con riguardo alla fattispecie concreta e se sono stati considerati anche tutti gli altri parametri indicati nel citato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5. In particolare, essendo pacifico in causa che l’area in questione faceva parte di una zona ricompresa in un piano di edilizia economica e popolare ed era quindi gravata da vincoli di destinazione urbanistica, i giudici d’appello avrebbero dovuto espressamente considerare, sotto questo profilo, sia il parametro della zona territoriale di ubicazione dell’area de qua sia, soprattutto, il parametro della destinazione d’uso consentita (che invece dalla sentenza impugnata non risulta preso in considerazione negli avvisi opposti), mentre il riferimento al valore di altre aree avrebbe dovuto riguardare specificamente terreni aventi analoghe caratteristiche, laddove nella sentenza in esame non risulta precisato nè specificato se le aree circostanti, il cui valore è stato individuato come parametro di confronto, presentavano le stesse caratteristiche di quella oggetto della presente controversia, ricompresa in zona P.e.e.p., oppure si trattava di aree non sottoposte a vincoli e liberamente commerciabili (per analoghe considerazioni vedi cass. n. 19515 del 2003, con la quale la Corte ha cassato la sentenza del giudice di merito che nella sua decisione non aveva tra l’altro considerato che l’area fabbricabile faceva parte di una zona ricompresa in un piano di edilizia economica e popolare, gravata da vincoli di destinazione urbanistica, e che il riferimento al valore dei terreni circostanti avrebbe dovuto riguardare specificamente quelli aventi tali caratteristiche).

Col settimo motivo, deducendo nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2 e art. 5, comma 5 nonchè art. 8, la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe erronea nella parte in cui i giudici d’appello hanno ritenuto tassabile ai fini ICI il fabbricato di nuova costruzione fin dalla data della dichiarazione di ultimazione dei lavori, laddove dalla lettura coordinata degli articoli indicati in rubrica dovrebbe dedursi che la tassabilità a fini ICI decorre dalla data di utilizzo o utilizzabilità degli immobili medesimi, coincidente con la concessione dell’abitabilità.

La censura è infondata alla luce della consolidata giurisprudenza di questo giudice di legittimità secondo la quale, in relazione all’imposta comunale sugli immobili ed ai fini della decorrenza del tributo, l’iscrizione dell’unità immobiliare nel catasto edilizio (ovvero la mera sussistenza delle condizioni di iscrivibilità) costituisce di per sè presupposto sufficiente perchè l’unità stessa sia considerata "fabbricato" e, di conseguenza, assoggettata ad imposta, con la conseguenza che nel caso di fabbricato di nuova costruzione, il tributo decorre dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se antecedente, da quella della sua utilizzazione (v. tra numerose altre conformi, cass. n. 24924 del 2008).

Con l’ottavo motivo, deducendo nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2 e art. 5, comma 5 e L. n. 342 del 2000, art. 74, la ricorrente rileva che per l’anno 1996 non era possibile calcolare la base imponibile ai fini ICI con riferimento alla rendita attribuita e notificata in data 25.3.1996, posto che, giusta quanto previsto dalle norme indicate in epigrafe, la base imponibile di un fabbricato iscritto in catasto con attribuzione di rendita è, con i dovuti moltiplicatori, la rendita vigente al 1 gennaio dell’anno di imposizione.

La censura è fondata.

La base imponibile ai fini del calcolo dell’imposta comunale sugli immobili è individuata senza possibilità di equivoci dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2, mediante una stretta ed imprescindibile relazione tra iscrizione (o necessaria iscrivibilità) in catasto di una unità immobiliare e rendita vigente al primo gennaio dell’anno di imposizione (v. sul punto cass. n. 22124 del 2010), senza che possa rilevare in contrario (come erroneamente ritenuto dal Comune controricorrente) il disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. a), ovvero del comma 6 dell’art. 5 D.Lgs. citato, posto tali norme fanno riferimento alla data dell’ultimazione dei lavori (ovvero, se antecedente, a quella in cui il fabbricato è stato utilizzato) al fine di stabilire (la prima norma) il momento in cui il fabbricato di nuova costruzione è soggetto all’imposta e (la seconda norma) fino a quale momento deve essere considerata come base imponibile l’area fabbricabile (e non ancora il fabbricato), laddove il comma 2 del citato art. 5 indica (non da quale momento il nuovo fabbricato è soggetto ad imposta bensì) qual è il valore cui occorre fare riferimento per determinare la base imponibile del fabbricato (di nuova costruzione o meno).

Dal momento in cui è intervenuta l’ultimazione dei lavori il fabbricato di nuova costruzione è dunque soggetto ad imposta, tuttavia per stabilire il valore di esso ai fini della determinazione della base imponibile è possibile fare riferimento soltanto alle rendite che risultino in catasto al primo gennaio dell’anno di imposizione. Ne consegue che, in ipotesi di nuovo fabbricato i cui lavori siano stati ultimati in corso d’anno con successiva attribuzione della relativa rendita, tale rendita non può essere applicata ai fini della determinazione del valore del fabbricato, perchè non "Vigente" al primo gennaio dell’anno di imposizione, ma ciò non significa che il nuovo fabbricato non sia soggetto ad imposta fino al primo gennaio dell’anno successivo, significa semplicemente che, in mancanza di una rendita precedente (trattandosi di fabbricato di nuova costruzione), il valore deve essere determinato ai sensi del comma 4 del citato art. 5, secondo il quale per i fabbricati non iscritti in catasto il valore è determinato con riferimento alla rendita dei fabbricati similari già iscritti.

La riconosciuta fondatezza di alcune delle censure sopra esaminate, rimettendo in discussione la pretesa tributaria (o eventualmente il suo ammontare) comporta l’assorbimento del nono, decimo e undicesimo motivo, che censurano la sentenza impugnata con riguardo alle statuizioni concernenti le sanzioni irrogate con gli avvisi opposti.

3. Alla luce di quanto sopra esposto, il primo, il secondo e il settimo motivo devono essere rigettati, il terzo, quarto, quinto, sesto e ottavo motivo devono essere accolti, nei limiti e nei termini di cui alla motivazione che precede, mentre devono ritenersi assorbiti, a seguito dell’accoglimento di cui sopra, i motivi nono, decimo e undicesimo siccome relativi alle sanzioni irrogate. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alle censure accolte con rinvio ad altro giudice che provvederà a decidere la controversia facendo applicazione dei principi di diritto sopra esposti oltre che a liquidare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie per quanto di ragione i motivi 3, 4, 5, 6 e 8, rigetta i motivi 1, 2 e 7, dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Veneto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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