Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-10-2011) 08-11-2011, n. 40303

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 21 aprile 2010, la Corte d’ Appello di Roma, 2^ sezione penale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Rieti appellata da M.C.M., dichiarava non doversi procedere nei suoi confronti in ordine al delitto di circonvenzione di incapace perchè estinto per prescrizione; confermava nel resto la sentenza impugnata con la quale era stata condannata al risarcimento, in favore delle parti civili S.R., M. A. e M.I., dei danni materiali e morali da liquidarci in separata sede, con provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 15.000,00.

La Corte territoriale, rilevato preliminarmente che il reato era estinto per maturata prescrizione e che non ricorrevano elementi di evidenza che giustificassero il proscioglimento nel merito, osservava, ai fini della conferma delle statuizioni civili, che il compendio probatorio, dimostrativo dello stato di menomazione delle facoltà di discernimento al momento della redazione del testamento olografo (31 luglio 2000) da parte di G.B., era costituito dalle testimonianze di M.E., P. V., F.G., R.C., C.A., M.A. e M.Z. (gli ultimi due medici curanti del de cuius). Le contrarie dichiarazioni dei dipendenti della filiale della BNL erano inattendibili, perchè provenienti da soggetti interessati alla dimostrazione della validità ed efficacia dei contratti stipulati col G. e perchè contrastate anche da quelle dei dipendenti del Credito Italiano. L’opera di induzione era testimoniata da R.C. e da S.R.. Il pregiudizio alle ragioni delle parti civili era reso evidente dall’esistenza del precedente testamento olografo del 3.3.1992.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputata, che ne ha chiesto l’annullamento per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonchè inosservanza ed erronea applicazione delle norme penali che disciplinano la fattispecie, per non avere la Corte di appello preso in considerazione la documentazione depositata nel corso dell’udienza di discussione. L’affermata sussistenza di infermità mentale era contrastata dalla testimonianza del medico di famiglia M. Z. nonchè da quelle degli impiegati di banca P., D. S. e P. e dell’assistente sociale F.G.. In senso conforme era la testimonianza dell’avv. Marcucci avvalorata dalla partecipazione del G. all’udienza civile del 29 maggio 2000 dinanzi al Tribunale di Rieti, del cui verbale si chiede l’acquisizione.

Motivi della decisione

il ricorso è inammissibile perchè al fine di criticare la sentenza impugnata propone una ricostruzione alternativa dei fatti attraverso la sollecitazione del medesimo materiale probatorio già esaminato dai giudici di merito e sollecita una verifica del materiale probatorio, come tale non consentita in questa sede.

L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostenere il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

Esula infatti dai poteri della Corte di cassazione quello della "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30.4/2.7.97 n. 6402, ric. Dessimone e altri; Cass. S.U. 24.9-10.12.2003 n. 47289, ric. Petrella).

Peraltro per alcune testimonianze (in particolare quelle di M. Z. e F.G.) riferisce un contenuto delle dichiarazioni di segno opposto rispetto a quanto ritenuto nella sentenza impugnata.

Come noto, la formula novellata dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) ha introdotto come nuova ipotesi di vizio della motivazione (oltre alla mancanza e alla manifesta illogicità) la contraddittorietà della stessa, risultante non soltanto dal testo del provvedimento impugnato, ma anche "da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame".

Il dato normativo lascia inalterata la natura del controllo del giudizio di cassazione, che può essere solo di legittimità. Non si fa carico alla Suprema Corte di formulare un’ ulteriore valutazione di merito. Si estende soltanto la congerie dei vizi denunciabili e rilevabili. Il nuovo vizio è quello che attiene sempre alla motivazione ma che individua come tertium comparationis, al fine di rilevarne la mancanza l’illogicità o la contraddittorietà, non solo il testo del provvedimento stesso ma "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame". L’espressione adottata ("altri atti del processo") deve essere interpretata non nel senso, limitato, di atti a contenuto valutativo (come gli atti di impugnazione e le memorie difensive) ma anche in quello di atti a contenuto probatorio (come i verbali) al fine di rimediare al vizio della motivazione dipendente dalla divaricazione tra le risultanze processuali e la sentenza. La novella normativa introduce così due nuovi vizi definibili come: 1) travisamento della prova, che si realizza allorchè nella motivazione della sentenza si introduce un’ informazione rilevante che non esiste nel processo; 2) omessa valutazione di una prova decisiva ai fini della decisione. Attraverso l’indicazione specifica della prova che si assume travisata o omessa si consente alla corte di cassazione di verificare la correttezza della motivazione (sotto il profilo della sua non contraddittorietà e completezza) rispetto al processo. Questo ovviamente nel caso di decisione di appello difforme da quella di primo grado. Ed invero in caso di cd. doppia conforme il limite del devolutimi non può essere valicato ipotizzando recuperi in sede di legittimità (Cass.- Sez. 2, 22.3-20.4.2006 n. 13994; Case. Sez. 2. 12-22.12.2006 n. 42353; Cass. Sez. 2, 21.1-7.2.2007 n. 5223).

Il ricorrente avrebbe quindi dovuto dimostrare di aver rappresentato con l’appello il risultato probatorio del dibattimento per poter poi denunciare il vizio di mancanza di motivazione, in relazione all’omessa considerazione delle deduzioni difensive.

In ogni caso non ha adempiuto all’onere di allegazione dei verbali delle dichiarazioni asseritamene travisate, incorrendo nel vizio di genericità (violazione della regola della cd. autosufficienza del ricorso: vedi per tutte Cass. Sez. 5, 22.1-26.3.2010 n. 11910). Il ricorso deve in conseguenza essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione dei profili di colpa rinvenibili nelle rilevate causa di inammissibilità, si quantifica in mille/00 Euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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