Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-10-2011) 08-11-2011, n. 40294

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 25 settembre 2002, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto condannava S.R. alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione per il reato di falsa testimonianza. La Corte di Appello di Messina, con sentenza in data 23 giugno 2006, assolveva la S., con la formula perchè il fatto non sussiste, dai fatti descritti nel capo di imputazione alle lettere b) e c) e confermava la sentenza appellata con riferimento agli altri fatti descritti alle lettere a) e d).

A seguito di ricorso dell’imputata, la sezione sesta della Corte di Cassazione, con sentenza 8 maggio 2009, annullava la sentenza della Corte di Appello, limitatamente alla misura della pena inflitta, rilevando che "all’imputata era stato contestato il delitto di falsa testimonianza con riferimento a quattro diverse affermazioni di falsità, descritte in quattro separate lettere del capo di imputazione", ritenendo che "pur essendo mancata la formale contestazione e la statuizione, nel dispositivo della sentenza di primo grado, della pluralità di reati concorrenti, unificati nel vincolo della continuazione, la Corte di Appello – avendo assolto l’imputata dal delitto integrato dai fatti descritti nelle lettere b) e c) del capo di imputazione – avrebbe dovuto trame le coerenti conseguenze nella determinazione della pena", in quanto la mancata riduzione della pena integra il divieto di reformatio in peius.

La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza in data 8 marzo 2011, in sede di rinvio, rilevava che il Tribunale aveva individuato una pena base pari al minimo edittale ed aveva applicato al massimo raggio le circostanze attenuanti generiche, senza procedere ad alcun aumento di pena per i vari fatti descritti nel capo di imputazione, che non reca neanche la formale indicazione del capoverso dell’art. 81 c.p.; riteneva, pertanto, che l’ulteriore riduzione della pena implicherebbe la violazione del dato normativo in materia di minimo edittale e che il principio di legalità consentirebbe di superare il principio enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento, con la conseguenza che doveva essere confermata la precedente sentenza della Corte di Appello di Messina. Propone ricorso per cassazione il difensore di S.R., deducendo i seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 130 c.p.p., comma 2, e art. 125 c.p.p., comma 3, in quanto non sarebbe stato letto in udienza il dispositivo, come si ricaverebbe dal verbale di udienza e dal testo del dispositivo stesso, che risulta integrato con l’indicazione del nome di S. R. in orario successivo alla lettura.

2) violazione degli artt. 28, 121, 130 e art. 627 c.p.p., comma 3, in quanto la Corte di Appello avrebbe avuto solo tre possibilità: a) rilevare un conflitto con la Corte di Cassazione; b) trasmettere gli atti alla Corte di Cassazione per decidere ai sensi dell’art. 130 c.p.p.; c) ridurre la sanzione irrogata dal Tribunale.

3) applicazione degli artt. 372 e 157 c.p., in quanto già alla data della pronuncia della sentenza della Corte di Cassazione era maturata la prescrizione del reato.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Il motivo con il quale si deduce la omessa lettura del dispositivo in udienza è manifestamente infondato, poichè nel verbale di udienza sì da atto espressamente della lettura del dispositivo con riferimento al procedimento a carico di S.R., mentre la correzione alla quale fa riferimento il ricorrente non mette in discussione questo dato di fatto, ma serve solo ad individuare con maggiore chiarezza, in aggiunta alla indicazione della data e dell’autorità giudiziaria che l’ha pronunciata (trattandosi di sentenza emessa nei confronti di più imputati), la parte della sentenza oggetto del’impugnazione e confermata.

Non è censurabile la soluzione adottata dalla Corte di Appello in sede di rinvio. E’ infondata la tesi difensiva della possibilità di sollevare un conflitto con la Corte di Cassazione, poichè è evidente che in sede di rinvio non è configurabile alcun conflitto, dovendo in ogni caso prevalere la decisione della Corte Suprema sul principio di diritto affermato; ugualmente infondata è l’altra tesi difensiva della trasmissione degli atti alla Corte di Cassazione per decidere ai sensi dell’art. 130 c.p.p., poichè nella decisione di rinvio in esame la Corte si è limitata a rilevare che, a seguito di impugnazione dell’imputata, era stata adottata una formula parzialmente assolutoria, che avrebbe dovuto comportare "coerenti conseguenze nella determinazione della pena". Deve piuttosto osservarsi che nel formulare il suddetto principio la sentenza di annullamento con rinvio di cui si parla non ha preso posizione in ordine alla pena in concreto applicata e alla sua legalità, con la conseguenza che legittimamente il giudice di rinvio ha rilevato che la pena era stata applicata nel minimo edittale e che il principio di diritto non poteva trovare applicazione nel caso di specie, non potendo certo ritenersi che la Suprema Corte avesse imposto al giudice di rinvio l’irrogazione di una pena illegale perchè inferiore al minimo edittale, (cfr. Sez. 1, n. 32621 del 16/06/2009, Amoriello, Rv. 244299; Sez. 3, n. 39882 del 03/10/2007, Costanzo, Rv.

238009).

Infondata è anche l’affermazione difensiva della prescrizione maturata alla data della pronuncia della sentenza della Corte di Cassazione, dovendosi calcolare i termini in applicazione della disciplina previgente alla L. 5 dicembre 2005, n. 251, poichè la sentenza di primo grado è stata pronunciata in data 25 settembre 2002, determinando la pendenza in grado d’appello del procedimento, ostativa all’applicazione retroattiva delle norme più favorevoli (Sez. U, n. 47008 del 29/10/2009, D’Amato, Rv. 244810).

Il ricorso, dunque, deve essere rigettato, con la conseguenza della condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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