T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 12-12-2011, n. 3141 Carenza di interesse sopravvenuta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso depositato il giorno 11 maggio 2011, il condominio ricorrente ha impugnato il provvedimento in epigrafe, chiedendo al Tribunale di disporne l’annullamento, previa sua sospensione, in quanto viziato da violazione di legge ed eccesso di potere.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione resistente, chiedendo il rigetto del ricorso.

Disposta istruttoria con ordinanza del 26 maggio 2011 volta ad acquisire le NTA, con successiva ordinanza del 30 giugno 2011 n. 1062, il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare, ritenendo sussistente il fumus boni iuris.

La causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva all’odierna udienza del 2 dicembre 2011.

2. Il ricorso è divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

2.1. Come è noto, il ricorso va dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse quando il processo non possa per qualsiasi motivo produrre un risultato utile per il ricorrente. Tale situazione, in particolare, si verifica per effetto del mutamento della situazione di fatto e di diritto dedotta in sede di ricorso, rendendo priva di qualsiasi residua utilità giuridica, ancorché meramente strumentale o morale, una pronuncia del giudice adito sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio. L’istituto è una manifestazione del principio di unilateralità che regge il processo amministrativo posto a tutela delle posizioni soggettive appartenenti a chi ha introdotto il giudizio, rispetto alle quali gli interessi della parte resistente assumono rilevanza solo in funzione di contrasto della pretesa azionata. Ne consegue che, venuto meno l’interesse del ricorrente alla pronuncia di merito, il giudizio non può proseguire nel solo interesse della parte resistente alla decisione di rigetto. L’istituto processuale in questione, di notoria derivazione pretoria, è ora espressamente previsto nell’art. 35 c.p.a.

2.2. Come affermato in numerosi precedenti, il Collegio, nel valutare le conseguenze processuali di atti adottati in esecuzione di ordinanze emesse "ai fini del riesame", che comportano una completa riedizione del procedimento conclusosi con il provvedimento impugnato, finalizzata ad eliminare i vizi (sostanziali o formali) riconosciuti prima facie dal giudice cautelare come fondati, aderisce all’orientamento secondo il quale, essendo il remand una tecnica di tutela cautelare che si caratterizza proprio per rimettere in gioco l’assetto di interessi definiti con l’atto gravato, restituendo quindi all’amministrazione l’intero potere decisionale iniziale, senza tuttavia pregiudicarne il risultato finale, il nuovo atto, costituendo (nuova) espressione di una funzione amministrativa (e non di mera attività esecutiva della pronuncia giurisdizionale), porta ad una pronuncia di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, ove abbia contenuto satisfattivo della pretesa azionata dal ricorrente, oppure di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, trasferendosi l’interesse del ricorrente dall’annullamento dell’atto impugnato, sostituito dal nuovo provvedimento, a quest’ultimo (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 05 dicembre 2007 n. 12554; TAR Lazio, II quater, sentt. nn. 11061, 11062, 11063 dell’8.11.2007; T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 15 ottobre 2010 n. 3732). Il provvedimento adottato all’esito del remand, infatti, lungi dal costituire una mera integrazione della motivazione del precedente, si configura come espressione di nuove, autonome, scelte discrezionali dell’Amministrazione, in presenza delle quali non può non farsi applicazione del tradizionale e consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui la sostituzione dell’atto impugnato a mezzo di un nuovo provvedimento non meramente confermativo del precedente rende improcedibile il ricorso (Consiglio Stato, sez. IV, 15 settembre 2006 n. 5396; T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 05 aprile 2006 n. 355).

2.3. Nella specie, l’amministrazione, a seguito dell’accoglimento dell’istanza cautelare presentata dal condominio, ha proceduto ad un riesame della situazione oggetto di causa e ha riformulato le medesime conclusioni provvedimentali; nuova decisione che il ricorrente non ha provveduto ad impugnare con motivi aggiunti notificati al procuratore costituito ai sensi dell’articolo 43 c.p.a. Ne consegue che l’istante non potrebbe ricavare alcuna utilità dall’eventuale annullamento in parte qua dell’atto originariamente impugnato, dal momento che, anche in tale eventualità, rimarrebbe pur sempre efficace il nuovo provvedimento produttivo del medesimo effetto lesivo.

2.4. Coerentemente le parti del giudizio hanno congiuntamente (con memoria depositata il 30 novembre 2011) chiesto al Collegio di pronunciare l’estinzione del giudizio.

3. Residua la questione delle spese le quali, in applicazione della regola della soccombenza virtuale, devono porsi a carico dell’amministrazione resistente, reputando il Collegio di confermare la sussistenza del vizio, già rilevato in sede cautelare, consistente nella violazione delle prescritte garanzie partecipative; ciò sul presupposto che la classificazione nel PGT della porzione di suolo per cui è causa come "area privata ad uso pubblico" non abbia valore giuridico di vincolo preordinato all’esproprio (segmento procedimentale necessario, secondo la giurisprudenza della Sezione, anche in caso di "dicatio ad patriam") e che, in tal senso, può trarsi argomento di prova anche in ragione dell’inadempimento, da parte dell’amministrazione resistente, dell’ordinanza istruttoria del 26 maggio 2011 volta ad acquisire le NTA.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

DICHIARA improcedibile il ricorso.

CONDANNA l’amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite in favore del condominio ricorrente, che si liquida complessivamente in Euro 900,00, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, somma da cui va scomputato l’importo già riconosciuto in sede cautelare con ordinanza 30 giugno 2011 n. 1062. Resta altresì fermo a carico della parte soccombente l’onere di rimborso del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis1, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiunto dalla lettera e) del comma 35bis dell’art. 2, D.L. 13 agosto 2011, n. 138, nel testo integrato dalla legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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