Cass. civ. Sez. III, Sent., 11-05-2012, n. 7254

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel gennaio del 1993 A. e C.O. convennero dinanzi al tribunale di Brescia P.M. e F. M., esponendo:

Che, con atto notarile del dicembre 1979 i convenuti avevano acquistato un fondo rustico, poi oggetto di riscatto da parte di essi attori;

Che la legittimità di tale riscatto era stata definitivamente accertata con sentenza passata in regiudicata (Cass. 17.12.1991);

Che il P. aveva rifiutato l’offerta reale del prezzo, onde l’instaurazione, dinanzi al medesimo tribunale di Brescia, di altro giudizio volto alla convalida dell’offerta;

Che nel 1989, nelle more dei due procedimenti, essi attori avevano acquistato per asta pubblica la metà indivisa del fondo spettante al M.;

Che, da tale data, si sarebbe costituita una società incidentale con il P., onde il loro diritto ad ottenere il rendimento del conto, ai sensi dell’art. 2261 c.c.;

Che, sul fondo in questione, il P. e il M. avevano edificato un capannone industriale adibito a deposito di rifiuti speciali, incassando (il solo P.) i relativi canoni.

Tanto premesso, gli attori chiesero che il tribunale, previa sostituzione del P. con Ca.At. quale amministratore della società, ordinasse il deposito del rendiconto di tutto quanto percepito dalla conduzione del podere oggetto di riscatto, con condanna al versamento della quota del 50% a far data dal 14.12.1989 e con riserva di ogni altra utile azione restitutoria e risarcitoria.

L’istanza di sostituzione dell’amministratore della (presunta) società venne respinta dal GI sulla premessa che di mera comunione, e non di rapporto societario incidentale, fosse, nella specie, lecito discorrere.

Nelle more del giudizio, era pervenuta a sentenza la vicenda processuale afferente all’offerta reale del prezzo, con conseguente avveramento della condizione sospensiva del riscatto e conseguente acquisto, in capo agli attori, della piena proprietà del fondo e delle sue accessioni. Di qui, la domanda di inibitoria nei confronti del P. da ogni atto di gestione del fondo stesso e (nuovamente) di esibizione del conto di gestione.

L’istanza ex art. 669 bis c.p.c. venne accolta dal GI e confermata dal tribunale a seguito di reclamo.

Nel novembre del 1994 il P. provvide al deposito del conto (contestato nel suo contenuto da entrambi gli attori).

Nel luglio del 1996 il giudizio nei confronti del M. fu dichiarato estinto a seguito di rinuncia agli atti ritualmente accettata.

Con nuovo atto di citazione del maggio 1995, A. e C. O., premesso che gli affitti relativi al capannone erano stati riscossi sia dal P. sia dalla società "Elios" (da quest’ultimo amministrata), convennero entrambi i predetti soggetti in giudizio chiedendone (previa riunione dei due procedimenti) la condanna al pagamento di quanto dovuto e al risarcimento del danno, previo deposito, da parte del P., del rendiconto di gestione.

Disposta la riunione della cause, all’esito delle disposte CTU volte ad accertare il costo del capannone e il reddito agrario effettivo del fondo dal dicembre del 1979 al novembre 1994 il tribunale:

escluse la configurabilità di un rapporto tanto societario quanto di comunione;

respinse le domande attoree fondate sull’obbligo di rendiconto quanto alla gestione del fondo e degli affitti; dichiarò inammissibile per novità la riconvenzionale di condanna degli attori al pagamento dei costi per la costruzione del capannone proposta dal P. all’udienza di precisazione delle conclusioni;

accolse parzialmente la domanda risarcitoria proposta dai C. nel secondo procedimento, riferita all’occupazione illegittima del bene e al suo mancato godimento, quantificandola nella misura di 24.500,00 Euro, somma minore di quella accertata dal CTU, ma necessariamente contenuta entro tali limiti in consonanza con l’originario petitum attoreo (costituendo domanda nuova il riferimento ad una ipotetica "maggior somma" contenuto nell’atto di precisazione delle conclusioni). La corte di appello di Brescia, investita del gravame principale proposto da entrambi gli attori, lo rigettò, accogliendo in parte quello incidentale del P., che aveva chiesto la riforma della sentenza nella parte in cui era stata accolta la domanda risarcitoria, ovvero, in subordine, riconosciuta la spettanza della rivalutazione sulla somma dovuta.

La sentenza è stata impugnata da C.A. e dagli eredi di C.O. con ricorso per cassazione articolato in 2 motivi e illustrato da memoria. Resiste con controricorso P.M..

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2043 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Il motivo è privo di pregio.

Dall’illustrazione del motivo, difatti, da un canto, non è agevole comprendere quale delle domande sottoposte al vaglio della corte territoriale sarebbe stata illegittimamente pretermessa; dall’altro, esso si risolve in una non consentita narrazione, rivisitazione e reinterpretazione di fatti storici già accuratamente esaminati dal giudice di appello, il quale, all’esito di una completa ed esaustiva disamina di tutti gli aspetti del complesso e farraginoso iter processuale seguito dall’odierna vicenda, ha, con motivazione scevra da vizi logico-giuridici, legittimamente contenuto la condanna risarcitoria entro i limiti consentiti dalle regole processuali dettate in tema di immutatio libelli e di conseguenti preclusioni temporali delle domande, pervenendo a conclusioni in rito che il collegio interamente condivide, alla luce della costante giurisprudenza di questa corte regolatrice secondo la quale l’interpretazione del contenuto, della portata e dei limiti oggettivi dell’atto di citazione è riservata in via esclusiva al giudice del merito.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 263 c.p.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Il motivo – che lamenta una pretesa erroneità del decisum della corte bresciana in punto di ritenuta inammissibilità della domanda di rendiconto – è anch’esso infondato. Anche con riguardo a tale, peculiare aspetto della odierna vicenda processuale, il giudice territoriale ha fatto buon governo dei principi più volti predicati da questa corte regolatrice in tema di domanda di rendiconto (Cass. 2959/1986; 12463/99; 4765/2007), il cui obbligo di presentazione resta irredimibilmente escluso dalla mancanza di un positivo accertamento della esistenza di una rapporto negoziale o di una qualsivoglia altra relazione o situazione pendente inter partes – mancanza che risulta, nella specie, ritualmente accertata, come legittimamente opinato dal giudice territoriale con puntuale accertamento in fatto, come tale e per ciò solo sottratto tout court ad ogni valutazione di questa corte di legittimità.

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese – che possono per motivi di equità essere in questa sede compensate – segue come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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