T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, Sent., 12-12-2011, n. 2340 Provvedimenti di polizia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con ricorso, notificato il 10 gennaio 2011 e depositato il giorno 14 successivo, il signor L.V., esponeva che, con decreto Ctg. 11/A10 del 3 dicembre 2010, il Questore di Palermo aveva disposto la revoca della licenza, di cui era titolare, per la gestione di un esercizio di sala giochi.

Tale provvedimento era stato motivato con riferimento alla circostanza che il proprio fratello (L.A.) era stato tratto in arresto in esecuzione della ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 14570/09 R.G.G.I.P. emessa il 30 novembre 2011 dal GIP del Tribunale di Palermo per partecipazione ad associazione mafiosa e per avere costituito un punto di riferimento mafioso nella città di Palermo.

Si era, in particolare, fatto riferimento alla assenza del requisito della buona condotta, intesa come riferibile oltre che alla persona anche all’ambiente socio – familiare non idoneo.

Il ricorrente ha chiesto l’annullamento, previa sospensiva e vinte le spese, di tale provvedimento per il seguente unico articolato motivo:

Violazione e falsa applicazione: dell’art. 11 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.) e dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria. Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. Eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità.

Per le Amministrazioni intimate si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato.

Con ordinanza n. 113 del 31 gennaio 2011 l’istanza cautelare è stata accolta con la seguente motivazione: "il ricorso appare supportato da sufficiente fumus boni juris in relazione al lamentato difetto di motivazione, posto che il provvedimento impugnato si basa esclusivamente sulla circostanza che il fratello del ricorrente è stato tratto in arresto per reati mafiosi, circostanza questa che di per sé non è sufficiente a determinare il venir meno del requisito della buona condotta in capo al ricorrente medesimo, soggetto diverso e sulle cui frequentazioni (anche con il fratello) nulla dice l’Amministrazione resistente".

Con memoria depositata in vista dell’udienza, l’Avvocatura dello Stato ha chiesto il rigetto del ricorso, poiché infondato, vinte le spese.

Alla pubblica udienza del 23 novembre 2011, su conforme richiesta dei difensori delle parti, il gravame è stato posto in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso, che ha ad oggetto il provvedimento, con il quale il Questore di Palermo ha revocato una licenza per la gestione di una sala giochi, è fondato sotto il profilo del difetto di motivazione.

Preliminarmente va rilevato che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la legittimità del provvedimento amministrativo deve essere valutata sulla base della motivazione in esso contenuta, giacché le integrazioni della stessa prospettate negli scritti difensivi non possono assolvere al compito di sanare le lacune motivazionali, che caratterizzano l’atto impugnato (per tutte Consiglio di Stato, V, 28 marzo 2008, n. 1358).

Ne deriva che, ai fini della presente decisione, non può assumere rilievo il riferimento fatto (esclusivamente) nella memoria della difesa erariale ad una segnalazione all’A.G. del ricorrente ed all’accertamento della presenza di pregiudicati nella sala giochi al momento del ritiro della licenza.

Ciò premesso, va richiamato l’art. 11 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (c.d. TULPS), laddove si prevede che le autorizzazioni di polizia devono essere negate, oltre che negli specifici casi indicati, anche "a chi non può provare la sua buona condotta" e che le stesse devono essere revocate quando vengono a mancare i requisiti previsti per il loro rilascio, nonché "vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego dell’autorizzazione".

Tale disposizione è interpretata dalla giurisprudenza amministrativa nel senso che, ai fini della legittimità dei provvedimenti di polizia, in ragione del loro carattere preventivo rispetto ai fatti lesivi della sicurezza pubblica, non si richiede che vi sia stato un oggettivo ed accertato abuso della licenza, essendo sufficiente un giudizio probabilistico (tra le altre Consiglio di Stato, IV, 23 marzo 2004, n. 1502).

Per quanto riguarda, in particolare, l’esistenza di familiari "controindicati", va richiamato l’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale non si può affermare che la prognosi di possibile abuso dei titoli di polizia (specie se precedentemente posseduti) possa essere fondata solo ed esclusivamente sui pregiudizi penali gravanti su persona diversa pregiudicata, pur legata al ricorrente da vincoli di parentela, nei confronti del quale non sono stati, però, evidenziati rapporti tali, che possano far ragionevolmente dubitare del corretto uso dei detti titoli da parte del richiedente (in questi termini Consiglio di Stato, VI, 23 marzo 2009, n. 1722).

In altri termini, il rapporto di parentela può costituire valido elemento, dal quale l’Autorità di P.S. può desumere (anche in forma ipotetica) l’esistenza di un rischio di abuso del titolo di polizia, solo allorquando la condotta ascritta al familiare pregiudicato sia portatrice – per sue caratteristiche oggettive da indicare analiticamente – di un rischio, anche basato su un giudizio prognostico, circa il possibile abuso del titolo.

Ne deriva: sotto un primo profilo, che l’Amministrazione è tenuta ad indicare gli aspetti concreti, che fungono da presupposti per la formulazione di un giudizio di non affidabilità, evidenziando, con motivazione adeguata, le ragioni che consentono di pervenire, proprio sulla base degli aspetti indicati, ad un giudizio (attuale e prognostico) di segno negativo; sotto un secondo profilo, che tale giudizio largamente discrezionale non può essere sindacato se non sotto il profilo del rispetto dei canoni di ragionevolezza e della coerenza o del travisamento dei fatti.

Nella fattispecie in esame, la motivazione del provvedimento impugnato fa riferimento alla assenza del requisito della buona condotta, intesa come riferibile oltre che alla persona anche all’ambiente socio – familiare non idoneo, in quanto il fratello del titolare è stato tratto in arresto per partecipazione ad associazione mafiosa e per avere costituito un punto di riferimento mafioso a Palermo.

Orbene, trattasi di circostanza, che, seppur meritevole di particolare attenzione, in sé considerata ed in assenza di ulteriori elementi (convivenza o frequentazione qualificata, intervento nella gestione della sala giochi), non può essere ritenuta idonea a supportare, sotto il profilo motivazionale la, pur ampiamente discrezionale, revoca di una licenza di p.s..

Concludendo, per le ragioni suesposte, il ricorso è fondato e va accolto.

Le spese vanno poste a carico della parte soccombente e liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Pone a carico della parte soccombente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.000.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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