Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-09-2011) 08-11-2011, n. 40343Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

G.C. è stato condannato nei due gradi di merito – sentenze emesse dal GUP presso il tribunale di Modena il 25 marzo 2002 e dalla corte di appello di Bologna il 16 febbraio 2010 – per i delitti di bancarotta fraudolenta documentale e per distrazione nella sua qualità di amministratore della ditta individuale G. C. dichiarata fallita il 30 ottobre-5 novembre 1996, per avere, in concorso con altre quattro persone giudicate separatamente, sottratto o distrutto le scritture contabili della ditta ed avere distratto i numerosi beni puntualmente indicati nel capo di imputazione.

G. e gli altri coimputati sono implicati anche in altro procedimento penale per associazione per delinquere e truffa, essendo emerso che la ditta venne costituita allo scopo di truffare i fornitori; infatti, dopo alcune forniture regolarmente pagate, le altre non vennero onorate e la merce venne occultata in locali siti in Lombardia ed Emilia.

Secondo i giudici del merito la tesi difensiva di essere il G. un mero prestanome andava disattesa sia perchè il G. firmò numerosi documenti ed assegni, aprì tre conti correnti e fitto locali, ma anche perchè la ditta non operò mai lecitamente, cosicchè le dimensioni dell’illecito traffico non potevano sfuggire all’amministratore, che, peraltro, ad alcune distrazioni partecipò anche personalmente.

Con il ricorso per cassazione G.C. deduceva la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del G., mero prestanome, e la violazione degli artt. 157 e 160 cod. pen. per la omessa declaratoria di estinzione per prescrizione dei delitti contestati.

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da G.C. sono manifestamente infondati e generici.

In effetti il ricorso è caratterizzato da aspecificità perchè il ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione, ma non ha poi specificato in che cosa esso consistesse.

La tesi sostenuta è, comunque, che il G., mero prestanome, non si sarebbe mai interessato dell’amministrazione della ditta.

Ma i giudici di merito hanno dimostrato che il G. non fu un mero prestanome perchè firmò numerosi documenti relativi alla ditta, aprì conti correnti intestati alla ditta, firmò assegni in bianco e prese in affitto alcuni locali necessari per la ditta.

Si tratta di attività tipiche di un amministratore, che il ricorrente non ha contestato di avere posto in essere.

Inoltre, dalla motivazione della sentenza impugnata, risulta che la ditta non operò mai lecitamente, ma da subito acquistò merci e le occultò.

La dimensione dell’illecito traffico fu così imponente, che di sicuro non poteva sfuggire nemmeno ad un amministratore distratto.

Orbene in presenza di tali elementi di fatto, corretta è la conclusione dei giudici di merito perchè l’amministratore, ancorchè vi siano anche amministratori di fatto, non può sottrarsi all’obbligo legale di conservazione dei libri e delle scritture contabili; nel caso di specie molti libri erano inesistenti e le scritture contabili non vennero reperite.

Quanto alle distrazioni, sussiste un obbligo dell’amministratore di vigilare sull’andamento della attività e, quindi, anche sulla condotta dei suoi collaboratori.

Un traffico illecito delle proporzioni di quelle che risultano anche dalla sola lettura del capo di imputazione non poteva e non doveva sfuggire alla attenzione dell’amministratore, che, secondo la giurisprudenza, risponde delle distrazioni quando sia consapevole della condotta illecita degli amministratori di fatto. Ebbene nel caso di specie il G. non solo era consapevole dei traffici, come accertato dai giudici di merito, ma partecipò attivamente firmando contratti di locazione di immobili ove venne occultata la merce distratta.

Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di impugnazione perchè il termine prescrizionale, che in base al testo previgente dell’art. 157 cod. pen., applicabile al caso di specie perchè la sentenza di primo grado venne pronunciata il 25 marzo 2002, è di anni quindici e decorrerà soltanto il 30 ottobre 2011, essendo stato il reato consumato il 30 ottobre 1996, data della dichiarazione di fallimento della ditta.

Per le ragioni indicate il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento ed a versare la somma, liquidata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del procedimento ed a versare la somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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