Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-09-2011) 08-11-2011, n. 40334 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propongono ricorso per cassazione M.A. e C.E. avverso alla sentenza della Corte d’appello di Lecce in data 22 marzo 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado, emessa nel 2006, di condanna in ordine, quanto alla M., al reato di bancarotta fraudolenta aggravato, relativo al fallimento della società in accomandita semplice Edilmarmi da essa rappresentata, e, quanto all’ C.E., ad una duplice ipotesi di bancarotta fraudolenta parimenti aggravata, consumata l’una quale amministratore di fatto della Edilmarmi e l’altra quale responsabile della ditta individuale omonima. I fallimenti sono stati dichiarati il 9 aprile 1995.

Deducono i ricorrenti:

1) La violazione dell’artt. 516 e segg. c.p.p..

All’udienza del 18 marzo 2005 il pubblico ministero aveva modificato l’imputazione contestando il nuovo reato di bancarotta documentale ma non era stata eseguita correttamente la procedura per la notifica del verbale ai contumaci.

Infatti il verbale d’udienza era stato notificato al difensore per conto degli imputati cui domicilio non era più idoneo ma senza tenere conto che i difensori erano due e che la notifica doveva essere effettuata al difensore in nome per conto degli assistiti;

2) il vizio di motivazione in ordine alla posizione di M. A..

Le deposizione testimoniale del maresciallo P., richiamata testualmente nel ricorso, aveva evidenziato l’estraneità della M. dalla gestione della Edilmarmi Sas e l’assunzione della relativa amministrazione ad opera del solo C.;

3) il vizio di motivazione in ordine alla oggettività della distrazione contestata.

La stessa è stata desunta dall’emissione, avvenuta nel 94, di tre fatture per operazioni in realtà inesistenti e giustificate quindi dalla necessità di aggiustamenti contabili del C.E..

Anche il teste Ma. si era espresso in tal senso. In ogni caso non poteva ritenersi provata la sussistenza e l’effettiva disponibilità da parte degli imputati, delle somme che si assumono dagli stessi distratte;

4) la prescrizione dei reati.

I ricorsi sono inammissibili.

Il primo motivo di ricorso è formulato in termini generici e senza il rispetto dei criteri posti dall’art. 581 c.p.p. che richiede che siano indicate con precisione le circostanze di fatto e gli argomenti in diritto a sostegno del motivo di gravame.

In particolare la difesa, nel reiterare il motivo già formulato in appello e debitamente affrontato dalla Corte di merito, si limita ad affermare che gli imputati, all’atto della notifica del verbale contenente le nuove contestazioni, sarebbero stati assistiti da due differenti difensori, non ulteriormente indicati, e che di essi uno soltanto avrebbe affermato – secondo la sentenza di appello- di avere ricevuto la suddetta notifica.

L’esame del carteggio processuale evidenzia che la notifica del verbale è avvenuta personalmente a ciascuno degli imputati, come attestano le relate presenti a ff. 102 e 103 del fascicolo del Tribunale: relate sulla cui regolarità nulla il difensore officiato ha ritenuto di osservare tempestivamente.

Gli ulteriori due motivi di ricorso (sub 2 e 3) sono ugualmente formulati con modalità irricevibili atteso che la difesa ha argomentato in ordine alla assunta estraneità della M. ed alla assenza di prova sulla effettiva disponibilità dei beni distratti, citando elementi di fatto che la Cassazione non è deputata a valutare nuovamente ed autonomamente rispetto a quanto già effettuato dal giudice del merito.

In realtà, la ricostruzione prospettata dalla difesa contrasta insanabilmente e su un piano di puro fatto, con quella accreditata dai giudici i quali – tra l’altro – hanno dato atto della attiva compromissione della M. nella gestione della sas Edilmarmi e della ritenuta non attendibilità delle giustificazioni – riferite a presunti furti – date dagli imputati per giustificare la assenza di beni inventariati per somme rilevanti.

Anche la discordanza tra la situazione contabile e la effettività delle disponibilità costituisce il frutto di una parziale e opinabile interpretazione delle risultanze di causa, rappresentata dai ricorrenti senza il rispetto dei principi che sovrintendono alla impugnazione di legittimità, sede nella quale non i risultati della istruttoria possono essere rievocati ma la tenuta logica della loro interpretazione, così come ritenuta dai giudici del merito.

Viceversa, i ricorrenti non hanno posto ad oggetto dei rispettivi ricorsi la analisi compiuta dal giudice dell’appello, invero del tutto assente nei ricorsi, ma si sino limitati a sollecitare alla Cassazione un autonomo giudizio sugli esiti di prova, non consentito dal legislatore.

Per quanto infine concerne la prescrizione è da rilevare che la stessa non era maturata prima della sentenza di appello.

Infatti secondo il computo previsto dalla disciplina previgente (quello ritenuto dai giudici a quibus il più favorevole), il termine era destinato a scadere nel settembre 2011 per la M. (dovendosi computare anche 16 mesi di sospensione) e nel 2018 per C. il quale aveva visto concedere le circostanze attenuanti generiche nella forma solo equivalente, con la conseguenza che la pena edittale per il reato ad esso contestato rimaneva pari a dieci anni, pena per la quale il codice di rito, prima del 2005, fissava un termine prescrizionale di 15 anni, procrastinabili per effetto delle cause interruttive, fino a ventidue anni e sei mesi.

E’ anche da tenere conto che, diversamente da quanto sostenuto nei ricorsi, il nuovo testo dell’art. 159 c.p. (disposizione per cui, in caso di sospensione del processo per impedimento dell’imputato o del suo difensore, l’udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell’impedimento, con le conseguenze che ne derivano in tema di calcolo della sospensione del decorso del termine prescrizionale) si applica soltanto con riguardo ai rinvii disposti dopo la sua introduzione, avvenuta con la L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Sez. U, Sentenza n. 43428 del 30/09/2010 Ud. (dep. 07/12/2010) Rv. 248383).

Non si applica pertanto agli imputati, nei confronti dei quali i rinvii furono disposti prima del 2004, con la conseguenza che correttamente i giudici hanno calcolato, ai fini della sospensione del termine prescrizionale, tutto l’arco di tempo interessato dal rinvio anche per impedimento del difensore.

In base alla nuova prescrizione, d’altro canto, non rilevando il potere di elisione delle attenuanti, il termine di prescrizione per i reati aggravati sarebbe stato superiore ai 18 anni e quindi destinato a consumarsi nel 2013.

Discende da ciò che la richiesta di prescrizione, in ipotesi rilevante per la sola M. e con riferimento ad epoca successiva alla sentenza di appello, non può essere presa in considerazione in presenza di un ricorso, come detto, sotto gli altri profili inammissibile, incapace quindi di instaurare un valido rapporto processuale (Sez. U, Sentenza n. 33542 del 27/06/2001 Ud. (dep. 11/09/2001) Rv. 219531).

Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di Euro 1000.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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