Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-09-2011) 08-11-2011, n. 40327

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

T.M., tratto a giudizio per il delitto di ricettazione di un cellulare privo di carta SIM, veniva condannato in entrambi i gradi di merito per la violazione dell’art. 624 cod. pen. per essersi impossessato di una cosa smarrita, che, però, consentiva di risalire al proprietario tramite il codice IMEI. Con il ricorso per cassazione T.M. deduceva il vizio di motivazione rilevando che il codice IMEI è il codice identificativo dell’apparecchio e non del proprietario; non sono, inoltre, ravvisabili nel caso di specie gli elementi oggettivo e soggettivo del delitto di furto; sarebbe, tutto al più, ravvisabile il reato di cui all’art. 647 c.p..

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da T.M. non sono fondati.

In punto di fatto sembra di capire dalle due sentenze di merito che il T. abbia rinvenuto il cellulare, l’abbia usato per un poco di tempo e lo abbia poi rivenduto.

Orbene, come correttamente stabilito dai giudici dei primi due gradi di giurisdizione, non si tratta di appropriazione di cose smarrite, ma di furto perchè il telefono cellulare ha un codice stampato nel vano batteria, detto codice IMEI che consente di identificare l’apparecchio.

Tale codice, però, consente agevolmente anche di individuare il proprietario del cellulare attraverso l’abbinamento tra il codice stesso e le SIM impiegati per il suo funzionamento.

Possedendo siffatto codice identificativo, che consente di rintracciare facilmente il proprietario, o, comunque, il possessore del telefono non può parlarsi di appropriazione di cose smarrite, conservando il bene chiari segni di un legittimo possesso altrui (vedi Sez. 2, 16 giugno-28 settembre 1999, n. 11034 e Sez. 2, 26 aprile-8 luglio 2000, n. 8109, CED 216589, che hanno stabilito tale principio a proposito di assegni).

L’indirizzo è contrastato da altre pronunce della Suprema Corte (vedi Sez. 4, 2 maggio – 17 giugno 1997, n. 5844), che hanno posto in evidenza che anche l’assegno smarrito, ancorchè munito di segni esteriori di un precedente legittimo possesso altrui oramai non più esistente, integri il delitto di cui all’art. 647 c.p..

Il Collegio ritiene di condividere il primo orientamento indicato per le ragioni già indicate e perchè, al di fuori dei casi di dismissione volontaria del bene, la presenza di segni chiari di individuazione del possessore legittimo del bene denota che non è venuta meno la relazione materiale del titolare con la cosa.

In casi siffatti colui che abbia trovato l’oggetto deve provvedere alla restituzione dello stesso, altrimenti la sua condotta appropriativi integrerà sotto il profilo materiale e quello psicologico il delitto di furto.

Per le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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