Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-09-2011) 08-11-2011, n. 40325

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

F.G. propone ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello di Brescia 7 luglio 2010, con la quale è stata confermata la sentenza di primo grado che lo condannava alla pena di anni sei di reclusione per reati di bancarotta fraudolenta in concorso con altri soggetti. A sostegno del ricorso evidenzia un unico motivo così rubricato:

– contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione nonchè omessa motivazione e violazione dell’art. 192 c.p.p., ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) e b). In sostanza il F. contesta la propria responsabilità affermando che i giudici di merito hanno errato nel ritenere a lui attribuibili fatti di bancarotta, basando le loro considerazioni su una serie di assegni asseritamente emessi dal ricorrente ed invece risultati, per mezzo di una perizia calligrafica, firmati da altri soggetti. Lamenta, inoltre, il ricorrente che i giudici di merito avrebbero errato anche la valutazione delle altre prove, in quanto le dichiarazioni dei testi escussi al dibattimento non sarebbero sufficienti a ritenere accertato lo svolgimento di funzioni di amministrazione di fatto da parte del F. anche dopo la cessione delle sue quote societarie e dunque dopo la cessazione delle sue cariche amministrative formali.

Il Procuratore Generale di udienza ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, in quanto non autosufficiente (cita Cass. Sez. 6 del 2.12.2010 (Sez. 6, Sentenza n. 45036 del 02/12/2010 Ud. (dep. 22/12/2010) Rv. 249035: "Il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento;

b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchè della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato")). E’ comparso l’avv. Di Gioia, in sostituzione dell’avv. Barboni, per il ricorrente, che ha insistito nel ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato. Il lungo ricorso del F. si incentra quasi esclusivamente sulla perizia calligrafica, richiamata più volte; secondo il ricorrente la perizia avrebbe escluso che gli assegni apparentemente emessi o girati dal F. – su cui l’accusa ha prevalentemente fondato l’ipotesi accusatoria relativa allo svolgimento di funzioni amministrative di fatto anche dopo la cessione delle quote sociali – fossero da lui sottoscritti. Per tale motivo ritiene che tutta l’impostazione della sentenza di condanna debba cadere, in quanto prevalentemente fondata su questa prova documentale.

Ora, ricordando che al giudice di legittimità non è consentita la visione degli atti del giudizio di merito, salvo in casi particolari, si deve peraltro rilevare che è lo stesso ricorrente a pagina cinque del ricorso ad affermare che oggetto della perizia è stata la verifica delle firme di girata degli assegni del 15 giugno 95 (importo di lire 7.850.000), del 31 luglio 1995 (importo di lire 16.500.000) e del 31 agosto 1995 (importo di lire 14.714.295). Gli stessi assegni sono poi richiamati alle pagine 13 e 14 del ricorso.

Ebbene, anche a voler credere a quanto affermato nel ricorso, è sufficiente per il rigetto di questo motivo di censura rilevare che la corte d’appello, così come il primo giudice, ha fondato la propria decisione2 non sugli assegni suddetti, bensì su un assegno emesso il 30 aprile 1995 (importo di lire 13.090.000), un assegno emesso il 30 giugno 1995 (importo di lire 13.800.000), un assegno emesso il 3 agosto 1995 (importo di lire 10.115.000), nonchè, infine, altro assegno emesso il 30 luglio 1995 (importo di lire 10 milioni). Come si vede dal semplice raffronto tra questi quattro assegni e i tre indicati in ricorso non vi è coincidenza nemmeno per uno di essi. E’ dunque evidente che l’eventuale non riconducibilità dei tre assegni indicati nel ricorso alla mano del F., nulla toglie alle argomentazioni contenute nella sentenza di condanna. Nè va dimenticato che la corte d’appello, di fronte alla specifica contestazione relativa agli assegni, ha fornito idonea e specifica motivazione non solo della valenza probatoria di tali documenti, ma anche gli effetti della perizia calligrafica. Per altro verso il ricorso lamenta un’erronea valutazione delle testimonianze di causa ed in particolare dei testi N., B.M. e G.; al proposito va osservato che il giudizio di legittimità non è finalizzato ad una rivalutazione del materiale istruttorie, bensì esclusivamente alla verifica dell’esistenza e congruità della motivazione. Anche con riferimento alle dichiarazioni dei testi e alla loro valenza probatoria, ai fini di causa, la corte spende una specifica ed approfondita motivazione alle pagine 10 e 11, con ciò sottraendosi ad ogni censura in sede di legittimità.

Ritiene questa corte che per i motivi esposti il ricorso di F.G. debba essere respinto, con condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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