Cass. civ. Sez. VI, Sent., 14-05-2012, n. 7492

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il sig. M.M., di nazionalità pakistana, ricorse al Tribunale di Torino avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale pronunciato dalla Commissione territoriale il 16 marzo 2010, chiedendo in via principale il riconoscimento dello status di protezione sussidiaria e, in subordine, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Tribunale respinse il ricorso.

La Corte d’appello di Torino ha dichiarato inammissibile il conseguente reclamo, quanto alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, non proposta nel giudizio di primo grado, e lo ha respinto per il resto.

L’interessato ha quindi proposto ricorso per cassazione con tre motivi di censura, cui non ha resistito l’amministrazione intimata.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione di norme di diritto e insufficienza e carenza di motivazione, si censura la statuizione di inammissibilità della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, sostenendo che non può esservi mutatio libelli allorchè il richiedente la protezione internazionale adisca il giudice proprio per ottenere un riconoscimento che già avrebbe dovuto ottenere dalla Commissione in sede amministrativa.

1.1. – Il motivo è infondato.

Se la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale è tenuta a valutare, anche d’ufficio, tutte le possibili forme di protezione – in particolare lo status di rifugiato, lo status di protezione sussidiaria e la protezione umanitaria ( D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3) – lo stesso non può valere per il giudice civile, vincolato, invece, al principio della domanda.

Pertanto, non essendo stata la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato – che è domanda diversa sia per petitum che per causa petendi da quelle di riconoscimento dello status di protezione sussidiaria e di protezione umanitaria – proposta dal M. davanti al giudice di primo grado, non poteva poi essere formulata per la prima volta con il reclamo, perchè consentire domande nuove in sede di reclamo significherebbe snaturare il reclamo stesso quale mezzo di impugnazione, come tale destinato alla sola rimozione dei vizi del provvedimento impugnato (cfr. Cass. 1761/2008, 14022/2000, in tema di reclamo nel procedimento di revisione delle condizioni economiche del divorzio).

2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione di norme di diritto e carenza di motivazione, si ribadisce la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

Quanto al mancato riconoscimento dello status di rifugiato, va ricordato che la Corte d’appello ha dichiarato l’inammissibilità della relativa domanda proposta solo in sede di reclamo, sicchè le ulteriori considerazioni da essa svolte anche in punto di fondatezza della medesima domanda sono da ritenere estranee alla ratio decidendi, con la conseguente inammissibilità delle censure al riguardo formulate con il ricorso per cassazione (cfr. Cass. Sez. Un. 3840/2007 e successive conformi).

Quanto al mancato riconoscimento dello status di protezione sussidiaria, invece, l’inammissibilità delle censure deriva dal consistere le stesse in pure e semplici critiche di merito sulla valutazione della situazione pakistana.

3. – Con il terzo motivo, denunciando violazione di norme di diritto e contraddittorietà della motivazione, si sostiene, in definitiva, che la situazione di compromissione della stabilità di un paese – come il Pakistan – che si traduce nella quasi totale inesistenza delle minime libertà civili che devono essere assicurate da un ordinamento democratico integra i seri motivi umanitari previsti dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 a fondamento del rilascio del permesso di soggiorno, anche in mancanza di atti di persecuzione individuale ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1. 3.1. – Il motivo è infondato.

Il riconoscimento della protezione umanitaria è consentito solo in presenza dei presupposti previsti dalla legge, fra i quali non rientra la situazione di instabilità di un paese o la generica limitazione delle libertà civili, mentre anche la previsione generale di cui all’art. 19, comma 1, D.Lgs. cit. richiede la riscontrata sussistenza del pericolo di persecuzione, ai danni del richiedente, "per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali", nei limiti in cui tale persecuzione non giustifichi addirittura il riconoscimento dei più favorevoli status di rifugiato o di protezione sussidiaria.

4. – Il ricorso va in conclusione respinto.

In mancanza di attività difensiva dell’amministrazione intimata, non vi è luogo a provvedere sulle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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