Cass. civ. Sez. VI, Sent., 14-05-2012, n. 7484 Responsabilità disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il notaio B.C. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza del 19 luglio 2010, con la quale la Corte d’Appello di Torino, provvedendo a seguito di giudizio di rinvio disposto dalla sentenza n. 7170 del 2010 di questa Corte, che aveva parzialmente accolto il ricorso da essa ricorrente proposto avverso la precedente decisione della stessa Corte d’appello, che nell’ambito di un giudizio disciplinare l’aveva dichiarata colpevole della violazione della legge notarile, art. 147, comma 1, lett. a), irrogandole la sanzione disciplinare della sospensione per un mese dall’esercizio della professione.

2. Il procedimento disciplinare era stato iniziato con una incolpazione nella quale si addebitava al notaio di "aver falsamente attestato, allo scopo di farsi riconoscere quindici crediti formativi, la propria partecipazione ad un convegno a Milano nei giorni 30 e 31 marzo 2006, nonchè di aver falsamente attestato che la richiesta di attribuzione di crediti formativi sia avvenuta senza alcun controllo da parte dell’incolpata stessa, mentre risulta documentalmente come detta richiesta sia stata personalmente sottoscritta dal notaio B., con il che quest’ultima ha dapprima tenuto e poi reiterato un comportamento oggettivamente grave e del tutto incompatibile con la funzione e la dignità del notaio".

Tali comportamenti erano stati tenuti, per come contestati nell’atto di incolpazione: a) il primo con una lettera del 19 aprile 2006, con cui il notaio aveva inoltrato al Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Torino e Pinerolo l’originale dell’attestato di partecipazione ad un convegno organizzato in Milano, al quale in realtà non aveva partecipato, com’era risultato avendo rogato più atti nei due giorni nei quali si era tenuto il convegno; b) il secondo con una lettera del 1 aprile 2008, con la quale il notaio, rispondendo ad una contestazione rivoltale con nota del 12 marzo 2008 riguardo alla falsità della lettera del 19 aprile 2006, aveva riconosciuto di non aver partecipato al convegno pur essendo visi iscritta, per impegni improrogabili successivi, ed aveva dichiarato di aver trasmesso l’attestato di partecipazione – pervenutole dalla società organizzatrice del convegno – "senza alcun controllo". 3. Il giudizio disciplinare promosso in sede amministrativa dal Consiglio notarile davanti alla Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina (Co.Re.Di), si concludeva con la derubricazione dell’incolpazione in relazione ai due episodi da illeciti ai sensi della L n. 89 del 1913, art. 147, comma 1, lett. a)nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 249 del 2006, come era stato contestato nell’addebito disciplinare, ad illeciti di cui alla lett. b) della stessa norma, sempre nel detto testo. Gli illeciti veniva riconosciuti commessi a titolo di colpa e sanzionato con la censura.

4. La Corte d’Appello di Torino, nella sentenza poi parzialmente cassata da questa Corte, provvedendo sugli appelli separatamente proposti dal notaio e dal Consiglio, in accoglimento del secondo motivo di appello proposto dal notaio escludeva che integrasse un addebito disciplinare e, quindi, un illecito la lettera del 1 aprile 2008, ma, in accoglimento del primo motivo di appello del Consiglio riconosceva la natura dolosa dell’unico illecito così individuato e rideterminava la sanzione in mesi uno di sospensione dall’esercizio della professione.

5. Sul ricorso del notaio questa Corte, con la sentenza n. 7170 del 2010, provvedendo in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. (nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006), dopo un rinvio della trattazione adottato dal Collegio nella prima adunanza del 14 dicembre 2009, e disattendendo le conclusioni del Consigliere relatore, ravvisava – in ragione di una rinuncia ad esso proposta dal difensore della B. nella memoria depositata in vista dell’adunanza e reiterata all’atto della comparizione in essa – non luogo a provvedere sul primo motivo di ricorso della B. (con cui si era sostenuto che la Corte territoriale, una volta esclusa la natura di distinto addebito disciplinare della lettera del 1 aprile 2008, avrebbe dovuto prendere atto della riconducibilità dell’unico addebito sotto il vigore dell’art. 147 nel testo anteriore alla sostituzione operatane dal D.Lgs. n. 249 del 2006, con conseguente sua applicabilità ed esclusione di quella del testo nuovo, tra l’altro disposizione meno favorevole), pur rilevandone, sia pure per una ragione diversa da quella indicata dal Relatore, l’inammissibilità, mentre – disattendendo la valutazione del medesimo Relatore – in accoglimento del secondo e del terzo mezzo del notaio, cassava la sentenza impugnata per vizio di motivazione quanto alla determinazione della sanzione con aggravamento di quella irrogata dalla Commissione di disciplina.

6 Il ricorso contro la sentenza pronunciata dalla Corte torinese in sede di rinvio è affidato a tre motivi ed è stato proposto contro il Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Torino e Pinerolo, nonchè nei confronti del suo Presidente, del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Torino e del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione.

6.1. Il Consiglio Notarile ed il suo Presidente hanno resistito con controricorso.

7. Il Presidente della Sesta Sezione-3 di questa Corte ha ritenute sussistenti le condizioni per la decisione sul ricorso con il procedimento di cui all’art. 380-ter c.p.c. e, pertanto, sono state richieste le conclusioni al Pubblico Ministero presso la Corte.

Esse sono state depositate e notificate agli avvocati delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

In vista di essa le parti costituite hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente, in ragione dell’eccezione di inammissibilità della procedura di decisione disposta da questa Sezione, prospettata nella memoria dalla ricorrente e ribadita nell’adunanza della Corte da uno dei suoi difensori, va rilevato che con sentenza n. 4623 del 2012 questa Sezione ha ampiamente e nuovamente indicato le ragioni per le quali il procedimento di cassazione sul giudizio notarile disciplinare ricade necessariamente sotto l’ambito dell’ari. 380-ter c.p.c., sia pure con la particolarità della pronuncia della decisione con la forma della sentenza previa audizione in camera di consiglio dei difensori, ed è affidato alla decisione della Sesta Sezione della Corte.

1.1. Nelle motivazioni di detta decisione si sono svolte le seguenti considerazioni, che si riproducono testualmente:

"2. Nella sua memoria, con ampia argomentazione, il ricorrente ha sostenuto, in via preliminare, che irritualmente la Corte avrebbe disposto la trattazione del ricorso con il procedimento in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c. e ciò pur dando atto di conoscere il precedente favorevole di questa Sezione di cui a Cass. (ord.) n. 17704 del 2010, il quale, però, sarebbe stato affermato sulla base di una prassi applicativa formatasi anteriormente alla riforma di cui alla L. n. 69 del 2009, cioè vigente la disciplina di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006.

L’affermazione sarebbe stata fatta senza considerare due dati:

a) il primo sarebbe rappresentato dalla necessità di tenere conto che il legislatore del 2009, mentre ha lasciato immutato l’art. 380- ter c.p.c. nel suo richiamo all’art. 380-bis, comma 1 ha modificato il procedimento di cui all’art. 380-bis c.p.c., avendo istituito la cd. Sezione Filtro, cioè l’apposita Sezione (di cui all’art. 376 c.p.c.) che è denominata Sesta Sezione Civile e di cui questo Collegio è parte;

b) il secondo sarebbe dato dalla discutibilità dell’apparentamento del giudizio di cassazione sul procedimento disciplinare notarile ai procedimenti di regolamento di competenza e di giurisdizione, in quanto a decisione necessaria in camera di consiglio.

In riferimento al primo punto, la tesi è che, per effetto della novella della L. n. 69 del 2009, sarebbe sorto un problema di coordinamento fra l’art. 380-ter c.p.c., comma 1 ed l’art. 380-bis c.p.c., comma 2. Il problema sarebbe insorto per effetto della modifica di quest’ultimo, che, a differenza di quanto faceva nel testo precedente, evoca ora solo l’art. 375 c.p.c., nn. 1 e 5. Il difetto di coordinamento, in particolare, viene prospettato assumendosi che il presidente cui fa riferimento dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1 – al di fuori del caso di regolamento preventivo di giurisdizione (in cui il riferimento è da intendere al Primo Presidente, stante l’attribuzione della decisione alle Sezioni Unite da parte dell’art. 374 c.p.c. e considerato che l’art. 376, nel prevedere che tutti i ricorsi siano assegnati ad apposita sezione, cioè alla Sesta Sezione, fa appunto salvo quanto previsto dall’art. 374 c.p.c.) e, quindi, in pratica, nel caso di regolamento di competenza per quanto regolato direttamente – potrebbe essere sia il presidente della Sesta Sezione, sia quello della Sezione Semplice cui il processo pure a decisione necessaria in camera di consiglio sia trasmigrato per non essere stato trattato dalla Sesta Sezione.

2.1. Questo assunto non coglie, tuttavia, la novità della L. n. 69 del 2009, la quale, nel prevedere la costituzione dell’apposita sezione cui allude l’art. 376 c.p.c., ha inteso – a differenza di quanto accadeva nella disciplina previgente di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, attribuire l’applicazione del procedimento in camera di consiglio, in tutte le sue forme, tranne che per le ipotesi di cui all’art. 375 c.p.c., nn. 2 e 3 a detta apposita sezione, con la conseguenza che per i procedimenti a decisione necessaria in camera di consiglio (qual è nel codice il regolamento di competenza e fuori dal Codice quello disciplinare notarile) il ricorso è deciso sempre e soltanto dalla Sesta Sezione, senza possibilità di invio alla Sezione Semplice.

2.2. Il ragionamento che giustifica tali affermazioni può svolgersi argomentando rispetto al procedimento a decisione necessaria in camera di consiglio previsto dallo stesso codice e non affidato alla competenza delle Sezioni Unite, cioè il regolamento di competenza.

L’art. 376 c.p.c., comma 1 nel dire che il primo presidente, salvo che ricorrano le condizioni di cui all’art. 374 c.p.c., cioè che il ricorso sia da decidere dalle Sezioni Unite, assegna tutti i ricorsi all’apposita sezione, "che verifica se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375, comma 1, nn. 1) e 5)" e, quindi, soggiunge che "se la sezione non definisce il giudizio, gli atti sono rimessi al primo presidente, che procede all’assegnazione alle sezioni semplici".

Ora, la norma, quando dice che l’assegnazione è fatta per la verifica dei presupposti di cui all’art. 375, comma 1, nn. 1) e 5) non usa una formulazione che lascia intendere che i poteri di decisione della detta sezione siano limitati per tutti i ricorsi esclusivamente alla rilevazione delle ipotesi di cui ai detti numeri.

Non a caso essa usa l’espressione "verifica se" e non quella per la decisione se sussistono i presupposti". Questo significa che per tutti i ricorsi la sesta sezione deve verificare se ricorrano le ipotesi di cui ai nn. e 5 e lo deve fare anche per il regolamento di competenza, che, dunque, quale procedimento a decisione necessaria in camera di consiglio è assegnato sempre alla sesta sezione.

L’inciso finale dell’art. 376, comma 1, viceversa, si occupa della decisione, quando allude al caso in cui l’apposita sezione non definisca il giudizio, così sottintendendo che essa può definire il giudizio.

Ebbene, quando tale inciso prevede in contrario l’ipotesi che il giudizio sia definito dall’apposita sezione si presta a comprendere sia l’ipotesi in cui il ricorso venga deciso da essa perchè ricorre il caso di cui al n. 1 o al n. 5 dell’art. 375, sia l’ipotesi in cui, non ricorra questo caso e, tuttavia, la definizione possa avvenire comunque da parte della stessa sezione. Tale ipotesi è quella che la decisione debba avvenire necessariamente in camera di consiglio perchè il procedimento è a decisione necessaria camerale e nel codice essa è sostanziata dall’art. 380-bis a proposito del regolamento di competenza.

Tale sostanziazione trova conferma e si coglie nel riferimento che l’art. 380-bis c.p.c. fa al presidente nell’attribuirgli sul regolamento di competenza il compito di richiedere al pubblico ministero le sue conclusioni "se non provvede ai sensi dell’art. 380- bis c.p.c., comma 1", che ora fa riferimento ai casi di cui all’art. 375 c.p.c., nn. 1 e 5 Il presidente cui fa riferimento l’art. 380-bis, poichè formula la valutazione in una situazione in cui una delle alternative è la nomina del relatore di cui alla sezione sesta, al quale allude l’art. 380-bis, comma 1, non può che essere il presidente dell’apposita sezione sesta. La cosa non deve sembrare strana, poichè questa è certamente una sezione semplice e la sua figura rientra, in conseguenza, nella previsione del secondo inciso dell’art. 377 c.p.c., comma 1, là dove prevede che il presidente della sezione nomina il relatore per i ricorsi assegnati alle sezioni semplici.

Tale esegesi si impone, del resto, perchè la nomina del relatore di cui alla sezione sesta, evocato dall’art. 30-bis, comma 1, non è in altro modo regolata.

Ne discende che il presidente di cui all’art. 380-bis non può mai essere quello di una sezione semplice diversa dalla sesta sezione.

Alla sezione semplice, pertanto, il ricorso per regolamento di competenza, e quindi, quello a decisione necessaria in camera di consiglio, come il ricorso in materia disciplinare notarile, non può mai trasmigrare.

2.3. Il procedimento in camera di consiglio sia ai sensi dell’art. 380-bis, sia ai sensi dell’art. 380- bis per le ipotesi di cui l’art. 375 c.p.c. nn 1 e 5, non risulta in pratica mai applicabile dalla sezione semplice diversa dalla sesta sezione.

Un problema di applicazione del procedimento in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice diversa dalla sesta si può, in realtà porre solo con riferimento al procedimento di cui all’art. 380-bis c.p.c., comma 3 e 4 cioè relative ai casi di cui all’art. 375 c.p.c., nn. 2) e 3). Non a caso il comma 3 fa riferimento al relatore nominato ai sensi dell’art. 377, comma 1, ultimo periodo: tale relatore può essere sia quello di cui alla sesta sezione, se rilevi una delle ipotesi di cui ai nn. 2) e 3), quanto quello della sezione semplice cui il ricorso sia stato rimesso senza che dette ipotesi siano state rilevate. Ma naturalmente, nel caso di ricorso a decisione necessaria in camera di consiglio, non potendosi dare questa eventualità, anche l’applicazione dell’art. 380-bis, comma 3 sarà gestita sempre e soltanto davanti alla sesta sezione.

Non c’è, pertanto, alcuna disarmonia nell’essere stato lasciato immutato l’ari 380-bis c.p.c., comma 1 dopo l’istituzione della sezione filtro.

Il legislatore ha inteso restringere l’applicazione della decisione in camera di consiglio necessaria (non di competenza delle sezioni unite) esclusivamente alla sesta sezione.

2.4. Raggiunta questa conclusione, va esaminato il rilievo della memoria che avanza dubbi (generici) di costituzionalità su di essa, là dove la decisione della Sesta Sezione non si intenda limitata al caso in cui si ravvisi un’ipotesi riconducibile all’art. 375 c.p.c., nn. 1 e 5 e, quindi, si accolga un’esegesi per cui la sesta sezione, quando non ravvisi le condizioni per procedere ai sensi dell’art. 380- bis e, dunque, con la redazione di una relazione del consigliere nominato, dovrebbe rimettere il ricorso alla sezione semplice, in questo caso alla Terza Sezione, la quale dovrebbe – sembra di capire – procedere necessariamente ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c..

La ragione di questa esegesi è per il ricorrente che altrimenti si avrebbe una fase di filtro "al buio", cioè senza che eventuali ipotesi di cui all’art. 375 c.p.c., nn. 1 e 5 – evidentemente se esistenti – siano prospettate dalla Sezione Sesta, deputata alle funzioni di sezione cd. filtro, mediante la relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Ora, è vero che, se la scelta del presidente della sesta ai sensi dell’art. 380-bis è nel senso di dare corso alla trattazione con il rito di cui all’art. 380-ter c.p.c., in quanto non ritiene di provvedere ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, la conseguenza è che il collegio in questa adunanza può ritenere sussistenti le ipotesi di cui all’art. 375, nn. 1 e 5 senza che questo avviso sia stato esternato in una relazione. Quella scelta, infatti, non determina e non può determinare sia per il pubblico ministero sia per il collegio nell’adunanza fissata a seguito delle conclusioni del medesimo alcuna preclusione a ravvisare una inammissibilità o una improcedibilità o una manifesta fondatezza o una manifesta infondatezza, cioè le ipotesi di ci ai n. 1 e 5 citati.

E ciò in non diversa guisa di quanto accade per la stessa scelta della Sesta Sezione all’interno del procedimento di cui all’art. 380- bis c.p.c. di rimettere alla Sezione ordinaria, senza relazione o se del caso anche a seguito di adunanza dopo redazione di una relazione non condivisa. Anche detta scelta non determina alcuna preclusione ad un diverso avviso della sezione semplice ordinaria cui il ricorso sia rimesso, circa l’esistenza delle ragioni di cui all’art. 375 c.p.c., nn. 1 e 5 indicate nella relazione o comunque ipotizzabili (quanto la rimessione del fascicolo avviene senza redazione di una relazione poi non condivisa dal collegio nell’adunanza).

Ebbene deve rilevarsi, venendo al giudizio notarile che, se si reputasse che il ricorso in materia disciplinare notarile, in quanto ricorso a decisione necessaria in camera di consiglio, possa essere dec’so dalla Sesta Sezione solo con il procedimento di cui all’art. 380-bis dovendo essere altrimenti deciso dalla sezione semplice per così dire ordinaria necessariamente con il procedimento di cui all’art. 380-ter, il preteso inconveniente per il ricorrente nella detta materia di vedersi rilevate le ipotesi di cui all’art. 375, nn. 1 e 5 senza che esse siano "messe in tavola" in un progetto di sentenza, si perpetuerebbe davanti alla sezione de qua, sicchè l’unica conseguenza sarebbe che invece della Sezione semplice Sesta il ricorso sarebbe deciso dalla Sezione semplice ordinaria (nella specie la Terza), il che non si vede quale anche modesto inconveniente per il diritto di difesa del ricorrente (ma anche del resistente) possa cagionare.

Si deve, poi, osservare che nella struttura del processo di cassazione il fatto che il ricorrente possa, per così dire, essere provocato a contraddire dal progetto di sentenza espresso dalla relazione o in altro modo, non è una garanzia, ma appartiene esclusivamente al modo di organizzazione della trattazione dei ricorsi della Corte di cassazione. Lo conferma il fatto che quando un ricorso non a decisione necessaria in camera di consiglio, per un’erronea o omessa valutazione della Sesta Sezione, tanto come s’è detto a seguito di relazione non condivisa dall’adunanza, quanto a seguito di rimessione senza relazione, viene giudicato dalla sezione ordinaria, questa, se rileva l’esistenza di una causa di inammissibilità o improcedibilità a norma dell’art. 375 c.p.c., n. 1 o altra similare impediente, oppure la manifesta fondatezza o manifesta infondatezza del ricorso a norma dell’art. 375 c.p.c., n. 5, non deve applicare l’art. 384 c.p.c., comma 3, (si veda Cass. (ord.)n. 15694 del 2011; n. 16401 del 2011; (ord.) n. 17779 del 2011) e nemmeno il nuovo art. 101 c.p.c., comma 2, posto che il concetto di questione rilevata d’ufficio colà evocato, nel processo di impugnazione non sembra comprendere il rilievo delle condizioni di ammissibilità e procedibilità dell’impugnazione, che il ricorrente sa di essere tenuto comunque ad osservare quale condizione per la decisione sul merito della sua impugnazione e che il giudice investito dell’impugnazione deve controllare proprio perchè giudice di un’impugnazione. E meno che mai sembra comprendere il rilievo della manifesta infondatezza o fondatezza in iure della domanda di impugnazione, posto che il loro carattere manifesto esclude che il loro rilievo dia luogo a "sorpresa" per l’impugnante, tradizionalmente ravvisata nella prospettazione di una cd. terza via decisionale.

2.5. Per completezza va rilevato, inoltre, che la riconducibilità del giudizio di cassazione sul procedimento disciplinare notarile alla competenza interna della Sesta Sezione secondo le alternative procedimentali espresse negli artt. 380-ter e 380-bis c.p.c. non può essere messa in dubbio sotto un altro e diverso profilo, cioè dando rilievo ad una connotazione certamente peculiare che il detto giudizio in origine presentava nel modello delineato ab origine dalla legge notarile. Nelle norme che quella legge dettava nell’art. 156 a proposito del ricorso per cassazione, infatti, il comma 2 prevedeva che "il ricorso deve essere fatto nei modi e termini prescritti dall’articolo precedente" e, poichè il precedente articolo 155, nel disciplinare il procedimento in appello, nel comma 4 disponeva che fossero osservate le norme degli artt. 152, 153 e 154 della Legge, dettate per il procedimento davanti al tribunale, fra le quali era ricompreso l’art. 154, comma 1 che come modus procedendi che "il tribunale, sentito il notaro, ove sia comparso, ed il pubblico ministero, pronunziasse in camera di consiglio sulle istanze proposte", ne derivava la conseguenza che davanti alla Corte di cassazione la decisione sul ricorso dovesse avvenire "in camera di consiglio", cioè senza udienza pubblica, ma con la garanzia che il notaio, rappresentato nelle forme necessarie nel giudizio di legittimità fosse sentito. Ne seguiva che il procedimento si discostava sotto tale profilo dal modello del procedimento camerale delineato dal combinato disposto dell’art. 138 disp. att. c.p.c. e dall’art. 375, nel testo originario, posto che in esso non era prevista l’audizione delle parti nella camera di consiglio, ma solo, dall’art. 375, comma 2 la possibilità che le parti presentassero memorie. Il che era stato ben sottolineato da Cass. n. 908 del 1999, che si occupò di individuate il regime delle rinuncia agli atti in relazione alla particolarità del procedimento, ma ribadì il carattere pur sempre camerale del procedimento.

Lo scostamento venne mantenuto anche dal testo dell’art. 375 novellato dalla L. n. 353 del 1990, ma scomparve per effetto delle riforma dell’art. 375 di cui alla L. n. 89 del 2001, perchè il nuovo comma 4 dell’art. 375 previde che in alcuni casi le parti potessero essere sentite nel procedimento in camera di consiglio. Di modo che la particolarità del procedimento notarile, costituita dal doversi le pari sentire, sia pure in un’adunanza e non in un’udienza pubblica divenne in tutto omologa alle ipotesi previste dal detto comma 4.

Successivamente alle riforme del D.Lgs. n. 40 del 2006 ed all’articolazione del procedimento in camera di consiglio in cassazione con le due figure del procedimento camerale eventuale e del procedimento in camera di consiglio necessario ai sensi rispettivamente degli artt. 380-bis e 380-ter l’assenza di scostamento da tali modelli risultò confermata sia per l’uno che per l’altro, atteso che nel primo la facoltà di chiedere l’audizione era sempre riconosciuta e nel secondo lo era per uno dei due procedimenti contemplati, il regolamento preventivo di giurisdizione, il che evidenziava che quando la Corte avesse dato corso allo schema dell’art. 380-ter la necessità dell’audizione non rappresentava affatto un’anomalia.

Sopravvenute le modifiche della legge notarile di cui al D.Lgs. la coordinazione della nuova norma della L. n. 89 del 1913, nuovo art. 158-ter, comma 4, là dove stabilisce che "La Corte di cassazione pronuncia con sentenza in camera di consiglio, sentite le parti", se introdusse un nuovo innocuo scostamento, quello della forma della decisione, lasciò la situazione relativa alla ribadita necessità dell’audizione delle parti (estesa espressamente a tutte le parti, cosa che, però, risultava implicita anche nei microsistemi precedenti, per l’ovvio rispetto del contraddittorio) assolutamente immutata in termini di piena compatibilità sia con il modello dell’art. 380-ter sia con il modello dell’art. 380-bis (come non mancarono di notare Cass. n. 6935 del 2010 ed ulteriormente e con maggiore ampiezza Cass. n. 17704 del 2010.

Situazione rispetto alla quale la L. n. 69 del 2009, con cui è stata istituita la cd. apposita sezione, non ha introdotto alcun mutamento.

2.5.1. Va notato che la qui ribadita collocazione del procedimento di legittimità per il disciplinare notarile nel sistema degli artt. 380- bis e 380-ter nei modi su indicati potrebbe essere superata soltanto se si reputasse che gli ampi cambiamenti introdotti nella legge notarile dal D.Lgs. n. 249 del 2006, in quanto estesi anche al giudizio di cassazione, abbiano avuto il significato, con la previsione della decisione con sentenza e non con la forma dell’ordinanza, di stabilire una sorta di regime del giudizio di cassazione, su generis, per cui la Corte di cassazione deve decidere a seguito di un’adunanza che si svolge in camera di consiglio senza cioè pubblicità, ma con la facoltà delle parti di essere sentiti.

Tale forma particolare comporterebbe però per un verso, non trattandosi di decisione a seguito di udienza pubblica della possibilità di depositare memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. e, nell’ottica del procedimento camerale di cui agli artt. 30-bis e 380- ter le memorie colà sempre previste, per altro verso non toglierebbe che l’intervento del nuovo art. 376 c.p.c. e la creazione dell’apposita sezione, una volta inteso il comma 1 della norma nei sensi di cui sopra – cioè in modo che la rimessione al primo presidente per l’assegnazione alle altre sezioni semplici avviene solo se la Sesta Sezione non decide o ai sensi dell’art. 375, nn. 1 e 5 con il procedimento di cui all’art. 380-bis o, nei casi di procedimento camerale necessario ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. – comporti la conseguenza che la decisione necessaria con il procedimento di cui all’art. 158-ter, comma 4, ricostruito come sopra debba spettare sempre alla Sesta Sezione.

E’ palese, però, che l’opzione ermeneutica appena formulata, cioè di considerare sottratto al regime degli artt. 380-bis e 380-ter e a quello della pubblica udienza il giudizio di cassazione sul procedimento notarile sarebbe molto meno garantista per il notaio, tenuto conto che egli non solo non potrebbe depositare memorie scritte, ma nemmeno potrebbe conoscere preventivamene l’avviso del Pubblico Ministero, come gli è consentito nello schema dell’art. 380- ter c.p.c..

Non va sottaciuto, infatti, che quanto si adotta tale schema il deposito di conclusioni scritte del Pubblico Ministero, cioè di un soggetto che certamente è parte del procedimento nell’interesse della legge e, quindi, dell’osservanza della legge disciplinare, si risolve in una garanzia per il notaio, poichè Esso è messo in condizioni di poter replicare sia con memoria sia all’adunanza.

2.6. Deve allora conclusivamente precisarsi che, dopo la L. n. 69 del 2009 il procedimento di decisione del ricorso in cassazione in materia disciplinare notarile è affidato alla decisione della apposita sezione di cui all’art. 376 c.p.c. e può avere luogo o con il procedimento di cui all’art. 380-bis, nei casi di cui all’art. 375 c.p.c., o con il procedimento di cui all’art. 380-bis c.p.c.. Ciò, per il tramite della scelta del presidente della detta sezione, evocato in quest’ultima norma.

Non è luogo a rimettere la trattazione alla Terza Sezione ordinaria". 1.3. Le riportate motivazioni comportano, a questo punto, una volta ribadito il principio di diritto espresso a chiusura di esse, il rigetto dell’eccezione della B. e la conferma della piena legittimazione dì questa Sezione alla decisione con il procedimento attivato.

2. Nelle sue conclusioni il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso.

2.1. Il Collegio non condivide le conclusioni del Pubblico Ministero e ritiene che il ricorso, in accoglimento del primo motivo, che propone una questione di prescrizione dell’azione disciplinare, debba essere accolto e la sentenza cassata senza rinvio con declaratoria dell’intervenuta prescrizione di detta azione ed assorbimento conseguente dei residui motivi di ricorso.

Queste le ragioni.

2.2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia "omessa rilevazione e declaratoria d’ufficio dell’improcedibilità dell’azione disciplinare, per intervenuta prescrizione: violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè del D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, art. 54, comma 2, e dell’art. 146, comma 1, L. N., nel testo anteriore allo stesso D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 54, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nullità del procedimento e, quanto meno in via derivata, della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4".

Vi si sostiene, innanzitutto, che tanto dalla sentenza della Corte d’Appello di Torino già impugnata con il primo ricorso per cassazione, quanto dalla sentenza di questa Corte n. 7170 del 2010, emergerebbe che l’illecito commesso dal notaio sarebbe consistito unicamente nella lettera del 19 aprile 2006 e che anzi la statuizione sul punto della detta sentenza della Corte torinese non era stata impugnata, onde su di esso si era formato giudicato.

Si assume, quindi, che ai sensi del D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 54, comma 2, è stato disposto che ai fatti commessi anteriormente al 26 agosto 2006, cioè alla data della sua entrata in vigore, continuano ad applicarsi, se più favorevoli, alcune delle norme della 1. n. 89 del 1913 modificate dallo stesso D.Lgs. e fra esse quella modificata dall’art. 29, cioè l’art. 146, il quale, nel testo anteriore, doveva, per come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, considerarsi norma più favorevole, là dove l’applicazione della prescrizione colà prevista in quattro anni (e no in cinque come nel nuovo regime) dalla commissione dell’infrazione, non subiva interruzione ancorchè vi fossero stati atti di procedura.

Se ne fa discendere che l’illecito addebitato alla B. si era prescritto alla data del 19 aprile 2010 e che la Corte territoriale, adita in riassunzione sul rinvio, decidendo il 9 luglio 2010 con la sentenza qui impugnata, depositata poi il 19 successivo, avrebbe dovuto dichiarare d’ufficio la prescrizione dell’azione di disciplinare.

2.3. Su questo motivo il Consiglio Notarile ha replicato che alla pagina tre della memoria depositata il 3 febbraio 2010 in vista dell’adunanza della Corte in funzione della decisione di cui alla sentenza n. 7170 del 2010 adottata nell’adunanza dell’8 febbraio successivo, il difensore della B. aveva, non solo rinunciato al primo motivo del ricorso allora in decisione, con cui si era censurata la prima sentenza di appello per non avere applicato – una vota riconosciuto che la B. rispondeva di un unico illecito, quello di cui alla lettera del 19 aprile 2006 – la norma dell’art. 147 della L. notarile nel testo anteriore alla sostituzione operatane dal D.Lgs. n. 249 del 2006, in quanto doveva ritenersi disposizione più favorevole rispetto a quella risultante dalla sostituzione, ma aveva motivato la rinuncia al fine di "immunizzare la serenità del giudizio dal decorso del tempo di prescrizione dell’illecito, laddove stabilito, in base alla legge previgente e che si farebbe senz’altro cogente all’esito dell’accoglimento del motivo in parola, nella data del 16 aprile prossimo".

Ad avviso della difesa del Consiglio in tal modo la B. avrebbe rinunciato alla prescrizione.

2.3.1. L’eccezione è infondata.

Nel regime della legge notarile la prescrizione dell’azione disciplinare era rilevabile – conforme alla apparentabilità della disciplina dell’illecito a quello penale – d’ufficio (ex multis, da ultimo Cass. n. 9521 del 2007 e Cass. n. 644 del 2007) e correva effettivamente anche durante il corso del giudizio disciplinare, così avendo inteso la consolidata giurisprudenza di questa Corte il riferimento agli atti di procedura.

L’unico limite all’operare della prescrizione, almeno in sede di giudizio di legittimità, era stato individuato nell’esistenza di una causa di inammissibilità del ricorso (ex multis, Cass. n. 24350 del 2008 e (ord.) n. 5447 del 2010).

Nel nuovo regime dell’art. 146 introdotto dal D.Lgs. n. 249 del 2006 la situazione non è mutata per quanto concerne il rilievo d’ufficio, ma lo è sia per quanto concerne la durata della prescrizione, sia per quanto attiene all’esclusione del suo corso durante l’esercizio dell’azione disciplinare.

Cass. (ord.) n. 2031 del 2011 ha, infatti, precisato che "In tema di prescrizione degli illeciti disciplinari dei notai, la L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 146 nella sua formulazione originaria, continua a trovare applicazione ai fatti commessi anteriormente alla entrata in vigore (28 agosto 2006) della modifica introdotta dal D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, art. 29 in ragione di quanto stabilito dalla norma transitoria di cui allo stesso D.Lgs. n. 249, art. 54. Infatti, il testo originario dell’art. 146 prevede una disciplina più favorevole all’incolpato, posto che le nuove disposizioni dispongono, invece, l’allungamento del termine prescrizionale dell’illecito da quattro a cinque anni e, diversamente dal regime precedente, attribuiscono efficacia interruttiva alla richiesta di apertura del procedimento disciplinare"; in precedenza già Cass. n. 677 del 2007 citata.

Successivamente: Cass. (ord.) n. 5913 del 2011).

Ora, l’applicazione nella specie dei principi penalistici in tema di prescrizione comporta che l’istituto della rinuncia alla prescrizione in ambito di giudizio disciplinare notarile sia regolato, peraltro senza soluzione di continuità fra il regime anteriore al D.Lgs. n. 249 del 2006 e quello successivo, dai principi che regolano la rinuncia in sede penale, con la conseguenza che – come esattamente replicato nella memoria della ricorrente – la rinuncia ipoteticamente effettuata nel corso dello svolgimento del primo giudizio di cassazione, indipendentemente dalla questione ulteriore della legittimazione a farla (su cui sarebbe da vedere se essa possa competere al difensore, o non piuttosto personalmente alla parte:

all’uopo si tratterebbe di vedere se debba trovare applicazione il consolidato principio secondo cui "La rinuncia alla prescrizione non rientra nel novero degli atti processuali che possono essere compiuti dal difensore a norma dell’art. 99 cod. proc. pen., in quanto costituisce, dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 157 nella parte in cui non prevedeva tale possibilità a favore dell’imputato, un diritto personalissimo dello stesso che è a lui personalmente ed esclusivamente riservato. (Fattispecie in cui la Corte di cassazione ha escluso altresì la possibilità che il silenzio dell’imputato, in presenza di una richiesta avanzata dal difensore, possa essere equiparato ad un comportamento concludente diretto a manifestare una positiva volontà alla rinuncia)": Cass. sezione seconda pena,, n. 23412 del 2005. Questione questa che la Corte, però, no dee risolvere), non sarebbe stata in alcun modo efficace in quanto intervenuta quando ancora il termine prescrizionale di cui al vecchio art. 146 della legge notarile non era maturato.

La giurisprudenza penale, infatti, è ferma nell’affermare che "La rinunzia dell’imputato alla prescrizione è inefficace se il termine di prescrizione non è ancora maturato al momento della rinunzia" (ex multis: Cass. sez. quarta pen., n. 119 del 2010).

I principi che vengono in rilievo sono dunque i seguenti: nel nuovo regime dell’art. 146 della Legge notarile, non diversamente che nel vecchio (cioè in quello anteriore alla sostituzione della norma operata dal D.Lgs. n. 249 del 2006), la prescrizione dell’azione disciplinare notarile, essendo la sua disciplina ispirata al regime della prescrizione penale, è rilevabile d’ufficio. La rinuncia alla prescrizione, per la stessa ragione, è possibile soltanto se il corso della prescrizione è già maturato.

2.4. Fermo quanto osservato, il Collegio rileva che nella fattispecie l’accoglimento del primo motivo di ricorso deve misurarsi però con un’altra questione non considerata dal dibattito fra le parti.

Essa discende dalla circostanza che la sentenza di questa Corte dispositiva del rinvio, nello scrutinare il primo motivo di ricorso in allora proposto dalla B. ebbe ad occuparsi di una questione di diritto transitorio riguardo al presente giudizio con riferimento alla pretesa della B. che l’unico illecito pacificamente individuato e sanzionato dalla prima sentenza della Corte territoriale sul reclamo sarebbe stato da ricondurre alla norma dell’art. 147 della Legge notarile nel testo anteriore al D.Lgs. n. 249 del 2006.

La sentenza dispositiva del rinvio ha considerato inammissibile il detto motivo e, pertanto, si è formato giudicato interno sulla riconducibilità dell’illecito della B. alla disciplina dell’art. 147 nel testo successivo alla riforma del 2006.

Si potrebbe allora dubitare che tale giudicato implichi che, soggiacendo l’illecito a detta disciplina, lo debba essere anche per quanto attiene alla disciplina della prescrizione, di modo che la prescrizione non sarebbe interrotta dalla pendenza del giudizio disciplinare, secondo quel che prevede il nuovo art. 146 c.p.c..

Tale ipotesi non è sostenibile, perchè il giudicato interno si è formato solo sulla applicabilità della norma del nuovo art. 147 e non della vecchia e non sull’applicabilità del nuovo art. 146 anzichè del vecchio art. 146. E’ vero che l’art. 54, comma 2, del D.Lgs. prevede sia per l’art. 146 che per l’art. 147 un medesimo criterio di individuazione della disciplina applicabile sotto il profilo del regime transitorio, e lo fa con il concetto identico per l’uno e per l’altro di disposizione più favorevole, ma la valutazione circa l’essere la norma nuova o la vecchia più favorevole è dalla norma previsto che debba avvenire separatamente con riferimento ad ognuna delle norme sostituite dal D.Lgs. n. 249 del 2006. Per cui la discussione in giudizio sul uno dei due aspetti e, quindi, la decisione su di esso, lascia impregiudicata la discussione sull’atro.

Ne consegue che nessun giudicato interno si può essere formato per effetto della declaratoria di inammissibilità del primo motivo del primo ricorso per cassazione e, dunque, la questione della norma regolatrice della prescrizione era deducibile ed esaminabile d’ufficio nel giudizio di rinvio.

Tanto comporta che, non potendo dubitarsi che alla B. fosse più favorevole il regime del vecchio art. 146, di esso la Corte territoriale in sede di rinvio doveva fare applicazione, il che comportava che Essa avrebbe dovuto dichiarare d’ufficio improcedibile l’azione disciplinare per intervenuta prescrizione al 19 aprile 2010, 3. In questa sede ne deriva l’accoglimento del primo motivo e la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata. Gli altri motivi restano assorbiti.

Non occorrendo accertamenti di fatto ai fini della declaratoria della prescrizione, dev’essere adottata decisione di merito sul reclamo applicativa della prescrizione e, quindi, dichiarativa della improcedibilità dell’azione disciplinare.

4. Le spese dell’intero giudizio possono essere compensate, tenuto conto che per il presente giudizio di cassazione si rinvengono giusti motivi nella singolarità della questione di rinuncia alla prescrizione esaminata quanto al secondo giudizio, mentre per il resto del giudizio rileva che la prescrizione, pur maturata prima della decisione della Corte territoriale non venne fatta valere dalla B..

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso. Dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione e, pronunciando nel merito, dichiara improcedibile l’azione disciplinare per intervenuta prescrizione della pretesa punitiva alla data del 19 aprile 2010.

Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 8 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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