Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1.- La sentenza attualmente impugnata rigetta l’appello di R. A. avverso la sentenza del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto n. 142/2008, con la quale è stato dichiarato il diritto della R. a percepire l’assegno di invalidità dal marzo 2002, mentre è stato negato il diritto della ricorrente alla riscossione della indennità di accompagnamento.
La Corte d’appello di Messina, per quel che qui interessa, precisa che;
a) la sentenza di primo grado deve essere confermata;
b) la domanda giudiziale originariamente proposta era diretta ad ottenere soltanto l’assegno di invalidità;
c) poichè la domanda diretta ad ottenere l’indennità di accompagnamento non è compresa in quella riguardante il suddetto assegno, essendo diversi i presupposti sanitari ed economici, delle due indicate provvidenze, è da escludere che la pronuncia del Tribunale sul punto sia erronea;
d) d’altra parte, non è possibile esaminare in appello una domanda nuova e totalmente diversa da quella originaria, sulla quale non è stato possibile al convenuto controdedurre, sicchè la relativa "pretesa proposta nel giudizio di appello per la prima volta appare infondata". 2.- Il ricorso di R.A. domanda la cassazione della sentenza per un motivo; resiste, con controricorso, l’INPS, mentre il Ministero dell’Economia e delle Finanze non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione
1 – Profili preliminari 1.- Preliminarmente deve essere dichiarata l’infondatezza della censura di inammissibilità del ricorso prospettata nel controricorso in riferimento alla mancata formulazione dei quesiti di diritto per l’illustrazione del motivo di ricorso.
Va, infatti, ricordato che, diversamente da quanto sostenuto dall’Istituto controricorrente, essendo stata la sentenza attualmente impugnata pubblicata in data 17 ottobre 2009, al presente ricorso non si applica l’art. 366-bis cod. proc. civ..
Il suddetto articolo, inserito nel codice di rito (con decorrenza 2 marzo 2006) dall’art. 6 del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 marzo 2006), è stato abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), entrata in vigore il 4 luglio 2009.
La cit. L. n. 69, art. 58 è espressamente dedicato alle "disposizioni transitorie".
Il comma 1 del suddetto articolo – cui fa riferimento il contro ricorrente, che però nei propri atti difensivi non ne riporta la significativa parte iniziale – detta il regime transitorio generale e stabilisce testualmente: "Fatto salvo quanto previsto dai commi successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, art. 366-bis cod. proc. civ.".
Il testo del successivo comma 5 – espressamente dedicato alla disciplina transitoria delle modifiche del codice di procedura civile afferenti il giudizio di cassazione, contenute nel precedente art. 47 – è il seguente: "le disposizioni di cui all’art. 47 si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge" (vedi, fra le tante:
Cass. 8 aprile 2011, n. 8059; Cass. 10 marzo 2011, n. 5752; Cass. 12 ottobre 2010, n. 21079; Cass. 27 settembre 2010, n. 20323; Cass. 24 marzo 2010, n. 7119).
Ne consegue che è sufficiente leggere il testo integrale del comma 1 e del comma 5 del suindicato art. 58 per avere chiaro che l’art. 366 bis cod. proc. civ. non si applica nel presente giudizio, visto che la attualmente sentenza impugnata con il ricorso per cassazione è stata pubblicata dopo il 4 luglio 2009.
Peraltro, vi è una copiosa, uniforme e condivisa giurisprudenza di questa Corte che si è occupata dalla suddetta problematica (vedi, fra le tante: Cass. 17 ottobre 2011, n. 21431; Cass. 8 aprile 2011, a 8059; Cass. 10 marzo 2011, n. 5752; Cass. 12 ottobre 2010, n. 21079;
Cass. 27 settembre 2010, n. 20323; Cass. 24 marzo 2010, n. 7119).
2 – Sintesi del ricorso.
2.- Con il motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 149 disp. art. cod. proc. civ..
Si sottolinea che il c.t.u. nominato nel corso del giudizio di primo grado ha espressamente accertato la sussistenza in capo alla R. dei requisiti per la corresponsione dell’indennità di accompagnamento.
A fronte di tale accertamento non può certamente essere escluso il riconoscimento del relativo diritto soltanto per la circostanza che nell’originaria domanda l’interessata ha fatto esclusivo riferimento al riconoscimento della invalidità civile.
Infatti, in base alla costante giurisprudenza, qualora sia stata avanzata domanda di attribuzione dell’assegno di invalidità e, in corso di causa, siano accertati aggravamenti della situazione patologica o nuove infermità tali da dare luogo alla sussistenza dei requisiti dell’indennità di accompagnamento, l’interessato può proporre la relativa domanda nel corso del giudizio, ai sensi dell’art. 149 disp. att. cod. proc. civ., come è accaduto nella specie.
Ne consegue l’erroneità della statuizione della Corte d’appello di Messina di conferma della decisione del Giudice di primo grado ove è stato negato il diritto della ricorrente all’indennità di accompagnamento, sul rilievo che la domanda proposta era diretta esclusivamente ad ottenere l’assegno di invalidità. 3 – Esame delle censure.
3- Il ricorso deve essere respinto, per le ragioni di seguito precisate.
3.1- Come già rilevato da questa Corte in un giudizio analogo all’attuale (Cass. 4 aprile 2005, n. 6941) in merito alla ricomprensione o meno nell’ambito applicativo dell’art. 149 disp. att. cod. proc. civ. anche dell’indennità di accompagnamento (in caso di giudizio introdotto per il riconoscimento di una prestazione assistenziale dovuta per i mutilati e gli invalidi civili) si è registrata, nella giurisprudenza di questa Corte, una difformità di soluzioni tra due diversi orientamenti.
In base ad un primo orientamento interpretativo il suddetto art. 149 disp. att. c.p.c., imponendo di valutare gli aggravamenti incidenti sul complesso invalidante verificatisi nel corso del procedimento amministrativo e giudiziario, trova applicazione in quanto espressione di un principio generale di economia processuale nonchè in base al canone interpretativo desunto dal precetto costituzionale di razionalità e di uguaglianza per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assistenziali dovute ai mutilati e invalidi civili ai sensi della L. 30 marzo 1971, n. 118, anche con riferimento alla particolare prestazione dovuta agli invalidi non autosufficienti, vale a dire anche con riferimento all’indennità di accompagnamento di cui alla L. n. 18 del 1980 (Cass. 21 maggio 1998, n. 5093; Cass. 4 aprile 2002, n. 4834; Cass. 8 luglio 2004, n. 12658).
Conseguentemente, (Cass. 23 agosto 2003, n. 12408 e 12 dicembre 2003, n. 19005) il giudizio inteso a ottenere l’indennità di accompagnamento, come quello relativo alle prestazioni assistenziali in genere, ha per oggetto non già l’atto amministrativo di reiezione della domanda, ma l’esistenza del diritto dell’assicurato alla pensione e, quindi, dei relativi presupposti che in applicazione del citato art. 149 disp. att. c.p.c., devono essere accertati non solo con riferimento alla data dell’atto amministrativo di reiezione, bensì con riguardo al periodo successivo e fino alla pronuncia giudiziaria (Cass. 23 agosto 2003, n. 12408 e 12 dicembre 2003, n. 19005).
Secondo un diverso orientamento interpretativo, invece, la presentazione di specifica domanda amministrativa volta al conseguimento dell’indennità di accompagnamento di cui alla L. n. 18 del 1980, art. 1 costituisce, unitamente ai previsti requisiti sanitari, ontologicamente diversi, un elemento necessario per l’attribuzione di tale beneficio, con la conseguenza che deve escludersi che la relativa domanda debba ritenersi compresa in quella diretta al conseguimento di un beneficio diverso come quello della pensione di inabilità o dell’assegno di invalidità, senza che in contrario possa invocarsi il disposto di cui all’art. 149 disp. att. c.p.c., atteso che la citata norma prevede solo che il giudice tenga conto anche dei successivi aggravamenti verificatisi in sede giudiziaria ma sempre e solo ai fini del beneficio previdenziale o assistenziale richiesto con l’originaria domanda (Cass. 17 dicembre 1998, n. 12643; Cass. 24 febbraio 2004, n. 3679). La sentenza n. 3679 del 2004, a ulteriore sostegno di tale secondo orientamento interpretativo, ha precisato che in materia di pensione di inabilità (o di assegno di invalidità) in favore degli invalidi civili di cui alla L. n. 118 del 1971 la domanda amministrativa costituisce presupposto necessario per il diritto a tali prestazioni assistenziali (e all’indennità agli invalidi per la frequentazione del corso di addestramento professionale) sia perchè ciò risulta espressamente dal disposto dell’art. 11, Legge citata, sia perchè la richiesta del riconoscimento dello status dell’invalido civile potrebbe essere proposta non soltanto per ottenere i benefici di cui alla L. n. 118 del 1971 ma anche ad altri fini, quali il diritto all’assunzione obbligatoria o il congedo per cure ai sensi dell’art. 26 della citata Legge.
A partire dalla citata sentenza n. 6941 del 2005, il secondo orientamento interpretativo si è consolidato (vedi per tutte, da ultimo: Cass. 20 gennaio 2011, n. 1271; Cass. 9 febbraio 2009, n. 3186).
A tale indirizzo si è uniformata la Corte messisene e ad esso il Collegio intende dare continuità, condividendo le ragioni su cui esso si fonda, soprattutto alla luce dell’evoluzione del quadro normativo di riferimento.
Va, infatti, osservato che il principio costituzionale di razionalità legislativa e di economia processuale deve essere circoscritto alla non necessità di un altro giudizio al fine di fare accertare gli aggravamenti delle infermità relative al beneficio in relazione al quale è stato promosso il giudizio dopo il necessario procedimento amministrativo, in quanto ragionando diversamente sarebbe contrario al suddetto principio costituzionale lo stesso sistema di preclusioni previsto dal rito del lavoro, la cui applicazione è stata invece estesa anche al rito ordinario.
Non ha alcuna rilevanza, poi, la circostanza che il giudizio per ottenere una prestazione previdenziale o assistenziale non abbia per oggetto l’atto amministrativo di reiezione ma la sussistenza o no del diritto, ponendosi l’istanza amministrativa con la definizione del relativo procedimento ai sensi dell’art. 443 c.p.c., comma 1 come regola generale imposta a pena di improcedibilità nei confronti di chi promuove l’azione giudiziaria nei confronti della P.A. per il conseguimento della prestazione dalla medesima negata, mentre non ha necessità di promuovere il giudizio colui che si e visto riconoscere già in sede amministrativa il diritto reclamato.
Quel che rileva, invece, è la circostanza che l’indennità di accompagnamento, come prevista dalla L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1 si basa su presupposti sanitari del tutto diversi da quelli richiesti per i mutilati e gli invalidi civili, poichè le infermità denunciate, ai fini del conseguimento del diritto, devono essere tali non già da ridurre o escludere permanentemente la capacità di lavoro – come per l’assegno o la pensione di inabilita – costituendo, anzi, un presupposto del richiedente il fatto che egli abbia lo status di invalido civile totalmente inabile, bensì tali da comportare permanenti impossibilità di deambulazione o di compimento degli atti quotidiani della vita in modo autonomo.
L’accertamento della peculiare natura di tali infermità o minorazioni, a norma della citata L. n. 18 del 1980, art. 3 può essere, infatti, preventivamente richiesto ad apposite Commissioni mediche istituite presso le ASL soltanto da coloro che già siano stati dichiarati invalidi civili totalmente inabili al lavoro, salva l’ipotesi degli ultrasessantacinquenni.
Per la regola generale di cui al citato art. 443 cod. proc civ., predisposta in favore della P.A. al fine consentire alla medesima di sottrarsi all’onere delle spese di lite con il riconoscimento spontaneo del diritto invocato, l’interessato deve esaurire preventivamente il procedimento amministrativo a pena di improcedibilità dell’azione giudiziaria.
A tutto ciò consegue che è necessario, a pena di improcedibilità, il preventivo procedimento amministrativo per la richiesta giudiziale dell’indennità di accompagnamento. In conclusione le infermità richieste per l’indennità di accompagnamento, per i diversi presupposti di rilevanza ai fini di tale beneficio, non possono essere considerati come un aggravamento ex art. 149 disp. att. c.p.c. delle infermità richieste ai fini del riconoscimento dell’invalidità civile, che, peraltro, costituisce il presupposto non soltanto per il diritto all’assegno o all’indennità di accompagnamento, ma anche per altri benefici, quali il diritto all’assunzione obbligatoria, il diritto ai permessi retribuiti, agli speciali corsi di addestramento e qualificazione professionale per gli invalidi, etc..
Comunque, si deve tenere presente che, onde evitare che l’eventuale ritardo nello svolgimento degli accertamenti sanitari, non imputabile all’avente diritto, si risolva in suo danno, la L. n. 18 del 1980, art. 3 fa decorrere l’indennità di accompagnamento dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa; tale decorrenza è differita solo se la commissione medica, nel verificare la sussistenza del presupposto sanitario del diritto, ne riferisca il perfezionamento, sulla scorta di elementi adeguatamente significativi, ad un’epoca successiva alla domanda amministrativa (Cass. 31 gennaio 2012, n. 1398; Cass. 27 agosto 2003, n. 12564).
3.2- In questa situazione non assume alcuna rilevanza la circostanza che, nella specie, la Corte d’appello non abbia tenuto conto del fatto che il ctu. nominato nel corso del giudizio di primo grado aveva espressamente accertato la sussistenza in capo alla R. dei requisiti per la corresponsione dell’indennità di accompagnamento.
Va, infatti, rilevato al riguardo, che, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:
a) le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice ed egli può legittimamente disattenderle, purchè lo faccia attraverso una valutazione critica che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. nonchè, trattandosi di una questione meramente tecnica, fornendo adeguata dimostrazione di avere potuto risolvere, sulla base di corretti criteri e di cognizioni proprie, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione (Cass. 29 agosto 2011, n. 17720; Cass. 3 marzo 2011, n, 5148; Cass. 30 ottobre 2009, n. 23063);
b) peraltro, la consulenza tecnica ha un limite intrinseco consistente nella sua funzionalità alla risoluzione di questioni di fatto presupponenti cognizioni di ordine tecnico e non giuridico, sicchè così come i consulenti tecnici non possono essere incaricati di accertamenti e valutazioni circa la qualificazione giuridica di fatti e la conformità al diritto di comportamenti, analogamente se per ipotesi il consulente effettua, di propria iniziativa, simili valutazioni non se ne deve tenere conto, a meno che esse vengano vagliate criticamente e sottoposte al dibattito processuale delle parti (arg. ex Cass. SU 6 maggio 2008, n. 11037; Cass. 4 febbraio 1999, n. 996, nonchè Cass. 29 agosto 2011, n. 17720) cit.).
Nella specie è del tutto evidente che la valutazione – di tipo medico – espressa dal consulente in merito alla sussistenza dei requisiti per la corresponsione dell’indennità di accompagnamento non poteva non essere disattesa dalla Corte territoriale, vista la pacifica mancanza del requisito della domanda da parte dell’interessata, requisito che essendo di tipo giuridico e non tecnico, esula dai limiti propri della consulenza stessa.
3.3.- Va, infine, precisato che, non essendo in contestazione che l’unica provvidenza per la quale, nella presente controversia, si discute dell’applicabilità dell’art. 149 disp. att. cod. proc. civ. è l’indennità di accompagnamento, mentre è fuori dal thema decidendum l’eventuale attribuzione -sub specie aggravamento – della pensione di inabilità, non viene in considerazione l’orientamento espresso in Cass. 19 agosto 2003, n. 12128 e Cass. 27 marzo 2001, n. 4385 (citate nel ricorso) nonchè in altre sentenze di questa Corte (vedi, per tutte: Cass. 8 luglio 2004, n. 12658), in base al quale ove l’assicurato abbia proposto domanda di attribuzione di assegno di invalidità e nel corso del giudizio sopravvenga il requisito reddituale o quello dell’incollocazione al lavoro, lo stesso assicurato, ai sensi dell’art. 149 disp. att. cod. proc. civ., può avanzare nel medesimo giudizio domanda di pensione di inabilità, atteso che, in caso contrario, egli sarebbe costretto ad attendere l’esito del giudizio, secondo quanto dispone la L. n. 222 del 1984, art. 11 ed a ricominciare successivamente l’iter amministrativo, con la oggettiva preclusione di una piena tutela del suo diritto (proprio in una situazione in cui egli avrebbe maggior bisogno di una tutela sollecita in ragione del grave stato di salute e della conseguente inabilità ad ogni proficuo lavoro), tale da apparire lesiva di diritti fondamentali, quali quelli garantiti dagli artt. 3, 24 e 38 Cost..
Va, comunque, precisato che, anche nel suddetto ambito, il riportato orientamento non è unanime, in quanto non è condiviso da altre sentenze secondo cui la richiesta di riconoscimento dell’assegno di invalidità non preclude la possibilità di presentare, nella competente sede amministrativa, domanda per l’attribuzione della pensione di inabilità, dovendosi ritenere che il divieto, previsto dalla L. n. 222 del 1984, art. 11 di presentare una nuova domanda fino a che non sia concluso l’iter amministrativo di quella precedentemente avanzata ovvero, in caso di ricorso in sede giudiziaria, non sia intervenuta sentenza passata in giudicato, miri ad evitare la duplicazione delle istanze che abbiano ad oggetto "la stessa prestazione" e non anche il caso di domande per prestazioni distinte e diversamente disciplinate dalla legge, quali sono l’assegno di invalidità e la pensione di inabilità. Ne consegue che, ove l’interessato abbia chiesto in via amministrativa unicamente l’assegno di invalidità, è improponibile la domanda formulata nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per l’attribuzione della pensione di inabilità attesa, per tale prestazione, la mancanza della preventiva richiesta amministrativa ai sensi del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 (Cass. 17 maggio 1999, 4782; 7 ottobre 2011, n. 20664).
4 – Conclusioni.
4.- Per le suesposte considerazioni la sentenza impugnata appare immune dalle prospettate censure e quindi il ricorso deve essere respinto.
Nulla per le spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo precedente all’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, nella specie applicabile ratione temporis (Cass. 27 gennaio 2011, n. 1943).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.
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