Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2011) 08-11-2011, n. 40354

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 20 febbraio 2007 il Tribunale di Enna ha dichiarato C.S. e T.F. responsabili del reato di cui all’art. 648-ter cod. pen., aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, perchè, in concorso tra loro, nella qualità di soci della Valtrasport S.r.l. ( T. dal 15 ottobre 1987 al 5 maggio 1993 e C. dalla data della costituzione al 28 settembre 1999), avevano utilizzato e reimpiegato nell’attività economica relativa proventi di sicura provenienza illecita, riconducibili a M.G. che della detta società era socio occulto e vero dominus, escludendo la rilevanza penale delle condotte contestate come commesse dal 1987 al maggio 1990.

Con la detta sentenza il Tribunale ha ritenuto di riconoscere, in sede di determinazione delle pene, l’applicazione della disciplina del reato continuato tra le condotte attribuite in questo processo e il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso,, per il quale gli imputati avevano riportato condanna con sentenza passata in giudicato, e, ritenuta per il C. la continuazione con il reato di cui alla sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta del 7 marzo 2000 e per il T. la continuazione con i reati di cui alle sentenze della stessa Corte del 15 aprile 1999 e dell’8 giugno 2000, ha condannato il primo alla pena di un anno di reclusione ed euro duemila di multa e il secondo a quella di sei mesi di reclusione ed euro millecinquecento di multa, in aggiunta per entrambi alla pena già inflitta con le indicate sentenze.

2. La Corte d’appello di Caltanissetta, con sentenza del 25 maggio 2010, ha confermato la decisione di primo grado.

3. Il materiale probatorio su cui le sentenze di merito hanno fondato l’affermazione della responsabilità penale degli imputati era costituito:

a) dalle dichiarazioni plurime e convergenti rese dai collaboratori di giustizia escussi nel dibattimento di primo grado:

– P.C., uomo d’onore della famiglia di Sommatino dal 1989, beneficiario dell’attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8 per il percorso collaborativo intrapreso, aveva in particolare riferito che M.G., capo della provincia mafiosa di Caltanissetta, era solito investire in attività imprenditoriali, per mezzo di prestanome, i proventi delle sue attività illecite, e che la società Valtrasport di Valguarnera, che si occupava del movimento terra, era una di dette attività imprenditoriali, gestita, per conto del M., da C.S. e dal nipote dello stesso M., T.F.;

– V.C., uomo d’onore della famiglia di Vallelunga Pratameno dal 1990, rappresentante provinciale per un decennio fino al 1999 e beneficiario a sua volta dell’attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8 per il percorso collaborativo intrapreso, aveva riscontrato quanto dichiarato dal P. in merito alla qualità di " M.P.", ovvero M.G., quale socio occulto della società Valtrasport, e alla gestione della stessa da parte di " C.T. e T.F.", il secondo dei quali era divenuto uomo d’onore nel 1985, mentre il primo era un avvicinato, anche addetto alla riscossione del pizzo dalle imprese, cui effettuava le forniture;

– R.C., uomo d’onore della famiglia di Riesi, pure beneficiario della indicata attenuante, aveva riferito che il M. era socio del nipote T.F. e condivideva con lo stesso la proprietà degli automezzi, impiegati per l’attività di movimento terra, in impresa gestita nell’ennese dallo stesso T. con altra persona originaria di Enna;

b) dalle dichiarazioni del teste S.V.M., nominato amministratore giudiziario della società Valtrasport in sede di sequestro preventivo disposto dal G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta, che aveva ripercorso le vicende della società dalla sua costituzione, avvenuta il 15 ottobre 1987 tra T.F. e C.S., riferendo in merito alle cessioni interne di quote tra i due soci fino alla loro parità il 30 ottobre 1991, alla cessione della sua intera quota sociale dal T. al C. il 5 maggio 1993 e alla ricostituzione della pluralità dei soci da parte di quest’ultimo con la cessione del 10% delle quote alla figlia P., e riferendo anche in merito alla crescita esponenziale dei ricavi della società fino alla data della totale dismissione delle sue quote da parte del T. nel 1993;

c) dalle deposizioni dei testi L.A.F. e M. F., entrambi in servizio presso il GICO della Guardia di Finanza di Caltanissetta;

d) dagli esiti delle intercettazioni tra presenti eseguite nell’auto di B.C.;

e) dai contenuti delle sentenze irrevocabili di condanna pronunciate nei confronti degli imputati per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso.

4. In base a tale complesso di elementi probatori, entrambe le sentenze di merito hanno ritenuto comprovata l’ipotesi di reato contestata agli imputati, valorizzando, a comprova dell’interesse personale di M.G., il cospicuo fatturato registrato nei primi sei anni di vita della società e il suo sensibile calo a partire dal 1993 quando T.F., nipote del M., era uscito dalla società con cessione delle sue quote, inizialmente pari a quattordici milioni di lire, per duecentocinquanta milioni di lire.

5. La Corte d’appello, alla stregua di tali rilievi, dopo aver sintetizzato le doglianze mosse con gli atti di appello da parte degli imputati e del Procuratore Generale di Caltanissetta, ha proceduto alla disamina della posizione di ciascun appellante pervenendo alla decisione sopra indicata.

5.1. La Corte ha, in particolare, ritenuto, quanto all’imputato C.S. che:

– la richiesta, di cui al primo motivo d’appello, volta a ottenere la declaratoria di non luogo a procedere, per il divieto del ne bis in idem, in relazione alla intervenuta condanna dello stesso per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., aggravato anche ai sensi del comma 6, stesso articolo, con sentenza del G.u.p. del Tribunale di Caltanissetta del 5 luglio 1999, era infondata sul rilievo che il delitto di cui all’art. 648-ter cod. pen. può avere come presupposto il delitto associativo e il concorrente nel detto delitto può rispondere di riciclaggio anche in relazione ai proventi dei delitti- fine dell’associazione;

– l’assunto difensivo del difetto di prova della indisponibilità di risorse finanziarie autonome per l’attività di impresa era contraddetto dalle dichiarazioni plurime e concordanti dei collaboratori di giustizia;

– la tesi difensiva del difetto di prova dell’elemento soggettivo del reato era resa non credibile dalla particolare vicinanza dell’imputato all’associazione mafiosa Cosa Nostra, per la quale aveva riportato condanna definitiva;

– era integrata la contestata aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, avuto riguardo alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e degli elementi ulteriori acquisiti in merito al sicuro conseguimento di notevoli risultati economici da parte della società Valtrasport per l’interesse personale del M. e per la sua personale influenza.

5.2. Quanto all’imputato T.F. la Corte ha ritenuto che:

– era irrilevante la dedotta compatibilità dell’investimento iniziale effettuato per la costituzione della società con le risorse economiche, personali e familiari, avuto riguardo alle plurime e convergenti dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia, alla inidoneità del valore nominale iniziale del capitale sociale a esprimere lo spessore e la consistenza reale dell’attività svolta dalla società, al consistente volume d’affari realizzato dalla stessa in pochi anni e senza preventivo aumento del capitale sociale, e al corrispettivo della cessione delle quote conseguito dallo stesso imputato dopo soli sei anni;

– era infondata la richiesta di assoluzione perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, non influendo l’introduzione della norma incriminatrice con L. n. 55 del 1990 sulla valutazione della condotta delittuosa a partire dall’entrata in vigore della legge fino al 5 maggio 1993, data della fuoriuscita dell’imputato dalla società;

– era infondata la deduzione della carenza del presupposto della mancanza di concorso nel reato presupposto in conseguenza della già intervenuta condanna per il reato associativo, non riguardando la clausola si cui all’art. 648-ter cod. pen. i reati-fine commessi nell’ambito di un’associazione per delinquere di stampo mafioso;

– in merito all’assunta violazione del divieto del ne bis in idem valevano le considerazioni svolte per l’imputato C..

5.3. Quanto all’appello della Procura Generale, ad avviso della Corte, l’individuazione del reato più grave nel reato oggetto di questo processo era stata fatta dalla sentenza in concreto e la determinazione dell’aumento era congrua in relazione all’effettivo disvalore della condotta e della personalità degli imputati.

6. Avverso la citata sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori di fiducia, entrambi gli imputati.

6.1. C.S. ricorre per mezzo avv. Rosa Maria Giannone.

6.1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 1 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta provenienza delittuosa dei conferimenti societari a lui riferibili.

Il ricorrente assume, in particolare, che la Corte d’appello, apparentemente motivando in ordine alle doglianze mosse con l’atto di appello, ha omesso di valutare la documentazione prodotta relativa alle risorse finanziarie, autonome e lecite, di esso ricorrente e del suo nucleo familiare, sufficienti anche temporalmente rispetto alle acquisizioni societarie.

6.1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 416-bis e 648-ter cod. pen., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea interpretazione di legge, in ordine alla ritenuta operatività della clausola di sussidiarietà in presenza del delitto associativo quale reato presupposto. Secondo il ricorrente, la Corte ha omesso di dimostrare che provenissero dai delitti-fine dell’associazione le somme investite nell’acquisto delle quote, peraltro modeste nella loro entità e in rapporto alle sue disponibilità finanziarie e reddituali.

6.1.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 649 cod. proc. pen., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea interpretazione del principio del ne bis in idem, sul rilievo della non legittima superabilità della preclusione processuale dedotta con l’acritico riferimento alla non completa sovrapponibilità dei fatti contestati.

6.2. T.F. ricorre per mezzo dell’avv. Salvatore Catania Milluzzo.

6.2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 1 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta provenienza delittuosa del conferimento societario alla società Valtrasport, quantificato in lire quattordici milioni, riferito a esso ricorrente.

Il ricorrente assume, in particolare, che la Corte d’appello ha omesso di motivare circa l’assunto difensivo, sostenuto con l’atto di appello, in merito alla compatibilità del modesto investimento con le possibilità economiche e gli usi del nucleo familiare di appartenenza, avvalorata dal provvedimento del 12 novembre 1999 della stessa Corte, che aveva ritenuto lecito l’acquisto effettuato dal suo nucleo familiare nel maggio 1991 per l’acquisto di un appartamento per lire centoventuno milioni.

6.2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 648-ter cod. pen., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea applicazione di legge, in ordine alla ritenuta natura permanente del medesimo delitto.

Secondo il ricorrente, la circostanza che il conferimento di quattordici milioni di lire è avvenuto il 15 ottobre 1987 comporta l’individuazione in detta data del tempus commissi delicti, attesa la natura di reato istantaneo con effetti permanenti sia dell’art. 648- ter cod. pen., introdotto con L. n. 55 del 1990, sia dell’omologo reato di cui all’art. 648 cod. pen., senza che rilevi il riferimento fatto dalla Corte di merito a condotta posta in essere da esso ricorrente dopo l’entrata in vigore della L. n. 55 del 1990, non specificata nè specificabile, non essendovi stati ulteriori conferimenti in denaro dopo quello iniziale.

6.2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 416-bis e 648-ter cod. pen., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea interpretazione di legge, in ordine alla ritenuta inoperatività della clausola di sussidiarietà in presenza del delitto associativo quale reato presupposto.

La Corte, ad avviso del ricorrente, ha omesso di valutare e dimostrare la sua partecipazione a un reato presupposto, avendo, invece, egli solo riportato condanna per il reato di cui all’art. 416- bis cod. pen., ed è incorsa in erronea interpretazione della giurisprudenza di questa Corte in merito alla inoperatività della clausola di sussidiarietà solo in presenza di proventi frutto dei reati-scopo dell’associazione.

6.2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 649 cod. proc. pen., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea interpretazione del principio del ne bis in idem, sul rilievo della non legittima superabilità della preclusione processuale dedotta con riferimento a due sentenze di condanna per il reato associativo, emesse dalla stessa Corte il 15 aprile 1999 e l’8 giugno 2000, unificate per continuazione con la sentenza impugnata, con l’acritico riferimento alla non completa sovrapponibilità dei fatti contestati.

6.2.5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 157 cod. pen., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per assoluta mancanza di motivazione in termini grafici ed erronea applicazione della legge in ordine alla mancata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Secondo il ricorrente, il reato è prescritto a prescindere dalla sua natura, atteso che il reato, se il suo momento consumativo è il 15 ottobre 1987, non era previsto dalla legge come reato nel momento in cui è stato commesso, e in ogni caso si è prescritto con la nuova normativa il 28 aprile 2004; mentre, considerando il reato permanente fino al 5 maggio 1993, il termine di prescrizione si è compiuto il 18 novembre 2009, tenuto conto del decorso de termine massimo di sedici anni (12 anni per il reato + Va per gli atti interruttivi + tre sospensioni per complessivi sei mesi e tredici giorni).

Motivi della decisione

7. Il ricorso proposto da C.S. è infondato in ogni sua deduzione.

7.1. Le censure svolte con il primo motivo, attinenti al vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta provenienza illecita dei conferimenti nella società Valtrasport riferibili al ricorrente, si articolano sul duplice versante dell’omessa valutazione della documentazione prodotta afferente le risorse finanziarie, autonome e lecite, dello stesso e della sua famiglia, e della mancanza di prova della conoscenza da parte del medesimo dell’impiego nell’attività economica di beni di provenienza illecita, incidente sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato.

L’infondatezza di tali censure consegue al rilievo che la valutazione, che si assume omessa, è stata compiutamente condotta dalla Corte di merito secondo un iter logico, che è stato sviluppato in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, dep. 04/06/1992, P.M., p.c., Musumeci e altri, Rv. 191229; Sez. 1, n. 17309 del 10/03/2008, dep. 24/04/2008, Calisti e altri, Rv. 240001; Sez. 1, n. 11455 del 17/11/2010, dep. 22/03/2011, Narcisio, non massimata).

7.1.1. La sentenza impugnata, come quella di primo grado, nel suo sviluppo decisionale ha chiaramente argomentato, all’esito di un’analisi completa degli elementi probatori specificatamente richiamati, in merito alla integrazione della contestata ipotesi di impiego di proventi illeciti, avuto riguardo alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e alla concorde riferita immissione nella società di capitali di provenienza illecita da parte del socio occulto M.G., rispetto al quale i soci C. e T. erano meri prestanome, e avuto riguardo alla non credibile dedotta ignoranza della detta provenienza illecita dei capitali da parte del ricorrente, già condannato in via definitiva per la sua partecipazione all’associazione mafiosa.

Le risposte, in tal modo, coerentemente e logicamente fornite ai rilievi della difesa sviluppati con i motivi di appello, secondo i quali sarebbero mancate le prove che l’imputato appellante non avesse avuto sue risorse finanziarie per costituire e proseguire l’attività d’impresa e la prova dell’elemento soggettivo del reato, sono state ignorate nel ricorso, che non ha nè contestato le dichiarazioni dei collaboratori, nè la loro congruenza e valenza probatoria.

7.2. Con il secondo motivo è dedotta l’incorsa violazione di legge per la ritenuta inoperatività della clausola di sussidiarietà, contenuta nell’art. 648-ter cod. pen., in presenza dell’art. 416-bis cod. pen. quale reato presupposto.

Non risulta che la censura sia stata sottoposta all’esame della Corte d’appello con i motivi ritualmente proposti, nè si è denunciata l’omessa motivazione sul punto da parte della stessa Corte, solo richiamandosi il principio giurisprudenziale citato nella sentenza impugnata con riferimento alla diversa questione del ne bis in idem.

7.2.1. Deve rilevarsi che il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato dall’art. 609 c.p.p., comma 1, che ribadisce in forma esplicita un principio già enuclearle dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti, funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata e all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione.

La correlazione di detta disposizione con quella dell’art. 606 c.p.p., comma 3, nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello, impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello (Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, dep. 15/09/1999, Piepoli, Rv. 213981; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214793), a meno che non si tratti di deduzioni di pura legittimità o di questioni di puro diritto insorte dopo il giudizio di secondo grado in forza di ius superveniens o di modificazione della disposizione normativa di riferimento conseguente all’intervento demolitorio o additivo della Corte costituzionale (Sez. 1, n. 2378 del 14/11/1983. dep. 17/03/1984, Guner Cuma, Rv.

163151; Sez. 4, n. 4853 del 03/12/2003, dep. 06/02/2004, Criscuolo e altri, Rv. 229373).

7.2.2. Alla stregua di detti rilievi, la doglianza come sopra proposta, non dedotta in precedenza, è, pertanto, aspecifica e come tale inammissibile.

7.3. E’ infondato il terzo motivo, con il quale è dedotta la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen. per erronea interpretazione del principio del ne bis in idem.

Secondo la prospettazione difensiva, dalla circostanza che il ricorrente è stato condannato per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso con l’aggravante del comma sesto dell’art. 416-bis cod. pen., che "sanziona espressamente il finanziamento di attività economica di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo attraverso il provento dei delitti", non può trarsi legittimamente il giudizio del G.u.p. di non completi sovrapponibilità dei fatti contestati, nè quello della Corte di non influenza della circostanza sulla definizione del giudizio per la non configurabilità della dedotta violazione, richiamando a conforto giurisprudenza di merito.

7.3.1. Questa Corte ha più volte affermato che il concorrente nel delitto associativo di tipo mafioso, non essendovi tra il delitto di riciclaggio e quello di associazione per delinquere alcun rapporto di "presupposizione" e non operando, pertanto, la clausola di riserva – "fuori dei casi di concorso nel reato" – che qualifica la disposizione incriminatrice del delitto di riciclaggio, può essere chiamato a rispondere del delitto di riciclaggio dei beni provenienti dall’attività associativa, sia quando il delitto presupposto sia da individuarsi nei delitti fine attuati in esecuzione del programma criminoso dell’associazione (Sez. 2, n. 10582 del 14/02/2003, dep. 06/03/2003, Bertolotti S., Rv. 223689; Sez. 2, n. 40793 del 23/09/2005, dep. 09/11/2005, Cardati e altri, Rv. 232524; Sez. 2, n. 44138 del 08/11/2007, dep. 27/11/2007, P.G. in proc. Rappa e altro, Rv. 238311), sia quando il delitto presupposto sia costituito dallo stesso reato associativo di per sè idoneo a produrre proventi illeciti, rientrando tra gli scopi dell’associazione anche quello di trarre vantaggi o profitti da attività economiche lecite per mezzo del metodo mafioso (Sez. 1, n. 6930 del 27/11/2008, dep. 18/02/2009, P.M. in proc. Ceccherini, Rv. 243223; Sez. 1, n. 1439 del 27/11/2008, dep. 16/01/2009, P.M. in proc. Benedetti, Rv. 242665).

7.3.2. Sono coerenti con tali principi, che il Collegio condivide e riafferma anche con riguardo all’art. 648-ter cod. pen. per l’identità di ratto, il rilievo della Corte di merito della non configurabilità nella specie della violazione del divieto del ne bis in idem, in conseguenza della già intervenuta condanna del ricorrente per il reato associativo, e la decisione di conferma della sentenza di primo grado, che aveva escluso la medesima violazione per la ricorrenza di ipotesi di concorso formale dei reati per la non completa sovrapponibilità dei fatti costituenti il reato di cui all’art. 648-ter cod. pen. (che punisce l’impiego, e quindi l’utilizzo per un qualsiasi scopo, di denaro, beni o altre utilità in attività economiche e finanziarie) e di quelli costituenti l’aggravante di cui all’art. 416-bis c.p., comma 6, (integrata dal finanziamento, e quindi dal semplice investimento in denaro, nelle sole attività di cui gli associati intendano assumere o mantenere il controllo), e per la non perfetta coincidenza dei beni giuridici tutelati (tutelando l’art. 648-ter cod. pen. anche il patrimonio, oltre all’ordine pubblico economico, tutelato anche dall’art. 416-bis cod. pen..

7.4. Il ricorso di tale imputato deve, quindi, essere rigettato.

8. Infondato è anche il ricorso proposto da T.F..

8.1. Con il primo motivo si deduce che la Corte d’appello ha omesso di motivare in merito alle circostanze rappresentate con i motivi di appello, e relative alla costituzione della società Valtrasport e alle variazioni del capitale sociale e della compagine societaria, e in particolare alla compatibilità del conferimento iniziale nel 1987 di quattordici milioni di lire, oggettivamente modesto, con le possibilità economiche e gli usi della famiglia di origine, che nel 1991, come accertato dalla Corte d’appello di Catania con provvedimento del 12 novembre 1999, aveva provveduto all’acquisto per centoventuno milioni di lire di un appartamento per il figlio, odierno ricorrente, per il suo matrimonio, ritenuto in "evidente relazione temporale" con "lo storno dei fondi provenienti dal patrimonio dei suoi genitori".

La specifica motivazione condotta dalla Corte, anche con riguardo alle circostanze che si assumono omesse, ha analizzato in modo logico e coerente le risultanze processuali, e ha ritenuto irrilevante la circostanza della dedotta compatibilità dell’investimento iniziale effettuato dal ricorrente per la costituzione della società indicata con le risorse economiche, personali e familiari, e "riduttiva e sicuramente miope" una lettura delle emergenze processuali fondata solo su tale dato.

Il richiamo alle convergenti dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia, alla concorde riferita riconducibilità della società a M.G. che vi aveva immesso capitali di provenienza illecita, alla rilevata crescita esponenziale del volume di affari, alla entità del corrispettivo della cessione della sue quote conseguito dal ricorrente, operato in sede di merito con congrui richiami ai dati probatori diffusamente esposti e analizzati, è stato, invece, trascurato dal ricorrente, che, non prendendolo in considerazione e insistendo su un dato già ritenuto irrilevante e, in ogni caso, indimostrato (a differenza dello "storno dei fondi" per l’acquisto dell’appartamento), ha formulato una censura sostanzialmente inammissibile per la sua aspecificità. 8.2. Il secondo motivo attiene alla dedotta violazione di legge in cui la Corte è incorsa per avere ritenuto il delitto contestato di natura permanente, invece che reato istantaneo con effetti permanenti, la cui consumazione è avvenuta il 15 ottobre 2007, in occasione del conferimento iniziale nella società, antecedentemente alla data di entrata in vigore della L. n. 55 del 1990 che ha introdotto la norma incriminatrice, e per non essere stata provata alcuna condotta di conferimento da parte del ricorrente, successiva alla detta data.

8.2.1. Tale censura è infondata.

Nella contestazione mossa all’imputato è descritto l’impiego da parte del medesimo, in concorso con il C., nella società Valtrasport, dalla sua costituzione al 5 maggio 1993, di "denaro di provenienza illecita, essendo stata accertata la mancanza di risorse finanziarie idonee a instaurare e continuare l’impresa commerciale".

La condotta incriminata, pertanto, è riferita, sul piano fattuale, non soltanto, come si assume, al momento del conferimento iniziale, ma anche alle condotte successive, correttamente limitate dal primo giudice a quelle tenute a partire dal maggio 1990 (essendo entrata in vigore il 7 maggio 1990 la legge n. 55 del 1990), che hanno comportato immissioni di denaro illecito e la crescita economica della società, la cui funzione di copertura agli investimenti illeciti ha conferito funzione permanente a modalità progressive di impiego.

Tale rilievo, che è coerente con i caratteri del delitto contestato, la cui consumazione istantanea raccordata alla forma libera della sua espressione ne comporta il possibile atteggiarsi come reato eventualmente permanente, quando il suo autore lo progetti e lo esegua con modalità frammentarie e progressive (in tal senso, Sez. 2, n. 34511 del 29/04/2009, dep. 07/09/2009, Raggio, Rv. 246561), rende le conclusioni del Giudice di merito insensibili alle critiche svolte dal ricorrente, fondate sull’affermata rilevanza del solo conferimento iniziale e sul totale silenzio con riguardo alle contestate successive immissioni di capitali che hanno consentito l’oggettivo incremento del volume di affari.

8.3. Anche il terzo motivo è infondato.

La censura svolta con detto motivo, attinente alla dedotta inoperatività della clausola di sussidiarietà in presenza del delitto associativo di cui all’art. 416-bis cod. pen., quando il delitto presupposto del reato di cui all’art. 648-ter cod. pen. sia un delitto-fine dell’associazione, e al difetto di prova della provenienza della somma di quattordici milioni di lire da uno dei delitti-fine, è infondata, perchè il delitto contestato non è vincolato ad alcuna tassativa indicazione dei reati che possono costituirne il presupposto ed è in contrasto con la motivazione della sentenza.

Il richiamo, fatto dalla Corte alla sentenza n. 44138 del 2007 di questa Corte (Sez. 2, n. 44138 del 08/11/2007, Rv. 238311, già citata), non conforta, infatti, la tesi per cui l’attività di impiego illecito potrebbe avere per presupposto solo il provento dei reati-fine della associazione mafiosa, essendo il detto richiamo riferito alla diversa questione delia possibilità, in relazione alla clausola di riserva "fuori dei casi di concorso nel reato", che il concorrente nel reato associativo, e cioè il partecipante alla associazione, possa essere chiamato a rispondere anche del delitto di impiego dei beni o dei profitti provenienti dai reati-fine, senza limitare la natura del possibile reato presupposto.

8.4. Infondato è il quarto motivo, che riguarda la dedotta erronea interpretazione del principio del ne bis in idem, collegata alla intervenuta condanna del ricorrente per il reato associativo con due sentenze di condanna della stessa Corte di merito del 15 aprile 1999 e dell’8 giugno 2000.

Si tratta di censura in ordine alla quale valgono i rilievi già svolti con riferimento all’analoga censura svolta dal ricorrente C. (sub 7.3.).

8.5. Con il quinto motivo si deduce l’intervenuta prescrizione del reato, avuto riguardo al termine prescrizionale previsto dalla nuova normativa e alle intervenute sospensioni del processo per un totale di sei mesi e tredici giorni, alla data del 29 aprile 2004 e, in ogni caso, alla data dell’8 novembre 2009, a seconda che sia individuato il momento consumativo del reato il 15 ottobre 1987 o il 5 maggio 1993, e si censura l’omessa motivazione al riguardo nella sentenza di appello.

Il motivo è infondato, poichè la prescrizione nè era maturata alla data della pronuncia di appello, nè è maturata alla data odierna.

Il ricorrente, infatti, pur movendo dalla esatta premessa della applicabilità nella specie della disciplina dettata – quanto alla prescrizione – dalla L. n. 251 del 2005, e dal corretto riferimento al periodo di sospensione del termine di prescrizione, trascura, da un lato, il rilievo che le condotte a lui contestate sono relative al periodo compreso tra il mese di maggio 1990 e il 5 maggio 1993 e, dall’altro, il rilievo della contestazione, con riguardo al reato contestato, della circostanza aggravante di cui alla L. n. 202 del 1990, art. 7.

Tale ultima circostanza, la cui ricorrenza neppure ha formato oggetto di censura e la cui presenza impone che si deve tener conto dell’aumento massimo di pena per esso previsto, esclude, in rapporto alle indicate date di commissione del reato, che il termine di prescrizione (pari a dodici anni, aumentato della metà per l’aggravante, di un quarto per le interruzioni, oltre la sospensione) sia decorso alla data odierna.

8.6. Il ricorso di T.F. deve essere, pertanto, rigettato.

9. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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