T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 13-12-2011, n. 9707

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel premettere parte ricorrente una ricognizione della disciplina introdotta dalla gravata Delibera, avuto particolare riguardo alla materia degli indennizzi applicabili nella definizione delle controversie tra operatori e utenti finali e degli indennizzi automatici, riconosciuti applicabili anche nei confronti degli operatori che forniscono un servizio radiotelevisivo a pagamento, deduce avverso la stessa i seguenti motivi di censura:

I – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del D.Lgs. 1 agosto 2003 n. 259 nonché degli artt. 1 e 2, comma 12, della legge 14 novembre 1995, n. 481. Incompetenza.

Con riferimento all’ambito di applicazione soggettivo del Regolamento, esteso alle imprese autorizzate a fornire un servizio radiotelevisivo, contesta parte ricorrente le motivazioni contenute nella gravata Delibera a sostegno di tale estensione, affermando l’inapplicabilità del Regolamento alle imprese che forniscono un servizio televisivo a pagamento in quanto non annoverabili tra quelle che offrono servizi di comunicazione elettronica o servizi di pubblica utilità, e che come tali sarebbero svincolate dai limiti e dagli obblighi sanciti dal Codice delle comunicazioni elettroniche e dalla legge n. 481 del 1995 sui servizi di pubblica utilità.

La società ricorrente, in particolare, in quanto non fornitrice di servizi di telecomunicazioni né di servizi di trasmissione, erogando tramite pay tv servizi di intrattenimento televisivo di natura voluttuaria ed operando quale aggregatore e venditore di contenuti propri e di terzi, non potrebbe qualificarsi quale operatore che offre servizi di comunicazione elettronica ai sensi dell’art. 1 del D.Lgs. n. 259 del 2003, dovendo trovare applicazione nei confronti della stessa l’art. 2, par. 2, lettera a) del Codice delle comunicazioni elettroniche.

Essendo, quindi, la società ricorrente estranea all’ambito di operatività del Codice delle comunicazioni elettroniche e della legge n. 481 del 1995, fornendo essa contenuti televisivi e non avendo i contratti dalla stessa stipulati ad oggetto servizi di accesso condizionato, che sarebbero meri strumenti tecnici di erogazione, l’intervento regolatorio attuato tramite l’impugnata delibera sarebbe viziato da difetto di competenza.

Contesta, inoltre, parte ricorrente, la possibilità di fondare la competenza dell’Autorità su precedenti delibere dalla stessa adottate, e segnatamente la delibera 173/07/CONS, in mancanza di una disposizione di legge che tale competenza espressamente attribuisca.

Né l’impugnata delibera potrebbe essere considerata costituire il naturale completamento della delibera 173/07/CONS, come nella prima affermato, stante la portata di tale ultima delibera.

II – Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della Costituzione, dell’art. 1, commi 11, 12 e 13 della legge 31 luglio 1997 n. 249, dell’art. 84 del D.Lgs. 1 agosto 2003 n. 259 e dell’art. 2, comma 12, della legge 14 novembre 1995 n. 481. Difetto di potestà regolamentare.

Nel riferire parte ricorrente come la gravata delibera indichi, quali parametri normativi del potere esercitato, l’art. 84 del Codice delle comunicazioni elettroniche e l’art. 2, comma 12, della legge n. 481 del 1995, contesta l’idoneità di tali norme a costituire la base normativa del gravato Regolamento, affermando come nessuno degli obblighi introdotti dall’Autorità sia disciplinato dalla legge, né all’Autorità sia stato attribuito un potere integratorio, riportandosi in proposito all’art. 23 della Costituzione e deducendo l’intervenuta violazione della riserva di legge ivi prevista.

In particolare, l’art. 2, comma 12, della legge n. 481 del 1995, oltre a disciplinare i servizi di pubblica utilità, cui non può essere riconducibile l’attività svolta dalla ricorrente, consente solo la determinazione dei casi di indennizzo automatico, escludendo quindi la possibilità di imporre indennizzi predeterminati, mentre l’art. 84 del Codice delle comunicazioni elettroniche fa esclusivo riferimento alla facoltà di prevedere un sistema di rimborso o di indennizzo, cui sarebbe estranea la determinazione di parametri di calcolo fissi ed obbligatori da applicarsi in sede di controversie, i quali solo apparentemente sarebbero derogabili da parte degli operatori in sede contrattuale.

Ne conseguirebbe l’intervenuta violazione della riserva di legge sia nella parte in cui la Delibera individua i casi di indennizzo automatico, sia per la parte in cui stabilisce i criteri di calcolo degli indennizzi da applicare in sede di definizione delle controversie.

III – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1219, 1256, 1258, 1225, 1226, 1227, 2056 e 2059 del codice civile. Eccesso di potere nelle figure sintomatiche della mancanza dei presupposti, illogicità e contraddittorietà manifeste. Violazione degli artt. 24, 25 e 11 della Costituzione.

Lamenta parte ricorrente l’irrazionale ed iniqua equiparazione tra servizi differenti – quali quelli delle comunicazioni elettroniche, quelli di pubblica utilità e quelli televisivi a pagamento – ai fini della quantificazione degli indennizzi, laddove tali servizi hanno natura differente e sono volti a soddisfare interessi non sovrapponibili.

Denuncia, inoltre, parte ricorrente come i previsti indennizzi non siano graduati in relazione al diverso tipo di servizio fruito dall’utente ed alla diversa entità del pregiudizio, con la conseguenza che verrebbero sottoposti al medesimo regime sanzionatorio e risarcitorio inadempimenti e danni di diversa entità e di differente tipo, con conseguente violazione dei principi di equità e proporzionalità.

Le previsioni di cui al gravato Regolamento – laddove viene presunta l’esistenza di danni e ne viene predeterminato l’ammontare a prescindere dall’accertamento della riconducibilità del disservizio all’operatore – si porrebbero altresì in contrasto con i principi civilistici che regolano la materia della responsabilità del debitore e del risarcimento dei danni, che richiedono l’accertamento dell’inadempimento e la costituzione in mora del debitore, imponendo al danneggiato l’onere di dimostrare l’esistenza e l’entità del pregiudizio, nonché la sussistenza di un nesso causale tra il comportamento del danneggiante ed il pregiudizio lamentato.

Evidenzia, in proposito, parte ricorrente come la gravata Delibera esonera l’utente da qualsiasi onere probatorio nel caso degli indennizzi automatici, precludendo agli operatori la possibilità di fornire la prova contraria circa l’esistenza di un inadempimento e di danno risarcibile, potendo tali indennizzi essere esclusi solo nelle ipotesi di caso fortuito e forza maggiore.

Quanto agli indennizzi da corrispondersi in sede di definizione delle controversie deferite alla competenza dell’Autorità, gli stessi trovano una causa di esclusione solo nelle ipotesi di utilizzo anomalo o non conforme del servizio da parte dell’utente, così delineando una forma di presunzione assoluta di responsabilità.

Ancora, sarebbe violato l’art. 1226 del codice civile laddove consente la liquidazione equitativa del danno laddove il diritto al risarcimento sia certo nella sua esistenza ontologica e non sia suscettibile di determinazione nella sua entità, risultando altresì violato l’art. 2059 del codice civile laddove l’indennizzo liquidato dall’Autorità debba essere inquadrato nell’ambito dei danni non patrimoniali, la cui risarcibilità è ammessa nei soli casi previsti dalla legge e solo con riferimento a pregiudizi recati a diritti di rilevanza costituzionale, non ipotizzabili a fronte del servizio di pay tv.

Inoltre, l’intervenuta sottrazione alla sede giurisdizionale della cognizione degli elementi integrativi della responsabilità integrerebbe una violazione degli artt. 24, 25 e 11 della Costituzione.

Si è costituita in resistenza l’intimata Autorità sostenendo, con articolate argomentazioni, l’infondatezza del ricorso, con richiesta di corrispondente pronuncia.

Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha controdedotto a quanto ex adverso sostenuto, insistendo nelle proprie deduzioni.

Alla Pubblica Udienza del 23 novembre 2011 la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.

Motivi della decisione

Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso la Delibera 73/11/CONS con cui l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (hic hinde Autorità o AGCOM) ha adottato il "Regolamento in materia di indennizzi applicabili nella definizione delle controversie tra utenti ed operatori", individuando le fattispecie di disservizio in cui deve farsi luogo alla corresponsione di indennizzi automatici e definendo i criteri di calcolo e gli importi minimi per la quantificazione degli indennizzi da liquidare all’utente in sede di definizione stragiudiziale delle controversie deferite alla cognizione dell’Autorità.

L’impianto ricorsuale si snoda attraverso, innanzitutto, la contestazione della possibilità di applicazione del gravato Regolamento alle imprese che forniscono servizi televisivi a pagamento in quanto asseritamente estranee all’ambito di applicazione del Codice delle comunicazioni elettroniche e della legge n. 481 del 1995, richiamati dalla gravata Delibera, precisando in proposito la società ricorrente di operare quale mero aggregatore e venditore di contenuti propri e di terzi.

Contesta, altresì, parte ricorrente l’idoneità delle norme richiamate nella gravata delibera quali parametri normativi del potere esercitato – e segnatamente l’art. 84 del Codice delle comunicazioni elettroniche e l’art. 2, comma 12, della legge n. 481 del 1995 – a costituire la base normativa del gravato Regolamento lamentando, conseguentemente, l’intervenuta violazione della riserva di legge prevista dall’art. 23 della Costituzione.

Sotto altro profilo, deduce parte ricorrente l’irrazionale ed iniqua equiparazione tra servizi differenti – quali quelli delle comunicazioni elettroniche, quelli di pubblica utilità e quelli televisivi a pagamento – ai fini della quantificazione degli indennizzi, la mancata graduazione degli indennizzi in relazione al diverso tipo di servizio fruito dall’utente ed alla diversa entità del pregiudizio con conseguente violazione dei principi di equità e proporzionalità, il contrasto delle previsioni regolamentari che si basano sulla presunzione assoluta di responsabilità e dell’esistenza di danni predeterminandone l’ammontare con i principi civilistici che regolano la materia della responsabilità del debitore e del risarcimento dei danni, nonché la violazione degli artt. 24, 25 e 11 della Costituzione per effetto dell’intervenuta sottrazione alla sede giurisdizionale della cognizione degli elementi integrativi della responsabilità.

Così sinteticamente riferito il contenuto del ricorso introduttivo del presente giudizio, il Collegio, nella gradata elaborazione logica delle questioni sottoposte al suo vaglio, e seguendo nella loro trattazione l’ordine suggerito dalla prospettazione delle relative censure, è chiamato innanzitutto a pronunciarsi in ordine al profilo inerente la contestata estensione dell’ambito soggettivo di applicazione del gravato Regolamento alle imprese, quale la ricorrente, che forniscono servizi televisivi a pagamento.

Al riguardo la ricorrente, nel qualificarsi quale mero aggregatore e venditore di contenuti propri e di terzi, afferma che debba trovare applicazione, nei propri confronti, l’art. 2, par. 2, lettera a) del Codice delle comunicazioni elettroniche, ai sensi del quale non formano oggetto del Codice le disposizioni in materia di "servizi che forniscono contenuti trasmessi utilizzando reti e servizi di comunicazione elettronica o che comportano un controllo editoriale su tali contenuti", con conseguente affermata non applicabilità, nei suoi confronti, delle norme dettate dal Codice delle comunicazioni elettroniche e dalla legge n. 481 del 1995 in materia di servizi di pubblica utilità.

La delibazione in ordine alla proposta censura transita necessariamente attraverso l’esatta qualificazione della società ricorrente da effettuarsi mediante la ricognizione dell’attività della stessa svolta, al fine di verificarne la soggezione alla disciplina dettata dal Codice e, conseguentemente, a quella introdotta dal gravato Regolamento.

Il Codice, nel recepire la distinzione già elaborata in sede comunitaria tra fornitori di servizi e fornitori di contenuti, esclude dal proprio campo di applicazione questi ultimi per effetto della richiamata norma, invocata da parte ricorrente, di cui l’art. 2, par. 2, lettera a), e per effetto dell’art. 1, lettera gg), il quale ricomprende nel servizio di comunicazione elettronica "i servizi, forniti di norma a pagamento, consistenti esclusivamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettronica, compresi i servizi di telecomunicazioni e i servizi di trasmissione nelle reti utilizzate per la diffusione circolare radiotelevisiva, ad esclusione dei servizi che forniscono contenuti trasmessi utilizzando reti e servizi di comunicazione elettronica o che esercitano un controllo editoriale su tali contenuti…".

Ciò posto, l’auspicata riconducibilità della ricorrente all’ambito indicato come sottratto all’applicazione del Codice delle comunicazioni elettroniche non può trovare favorevole esame.

Invero, non risulta persuasiva l’argomentazione con cui parte ricorrente mira ad accreditarsi unicamente quale mero aggregatore e venditore di contenuti, essendo indubitabile che la stessa operi sul mercato delle attività televisive sulla base di due concessioni radiotelevisive e di una abilitazione per la trasmissione di canali televisivi analogici, nonché sulla base di autorizzazioni alla fornitura di contenuti e servizi di radiodiffusione televisiva in tecnica digitale terrestre.

La società ricorrente agisce, inoltre, quale fornitore di servizi di accesso condizionato, distribuendo agli utenti i pacchetti necessari per l’attivazione dei contenuti televisivi, propedeutici alla visione degli stessi.

Ad escludere la possibilità di qualificare la società ricorrente quale mero fornitore di contenuti, come tale espressamente sottratto alla nozione di servizio di comunicazione elettronica ai sensi delle citate norme, interviene inoltre il rapporto diretto intercorrente tra la stessa e l’utente finale – mancante in presenza di un mero fornitore di contenuti che si avvale della mediazione di un soggetto terzo – trasmettendo la società, in forma codificata, i pacchetti aggregati direttamente presso l’abitazione dell’utente, con il quale intrattiene rapporti contrattuali, al quale viene consegnato il kit necessario alla ricezione delle trasmissioni.

La società ricorrente risulta, pertanto, in quanto fornitrice – oltre che di contenuti anche – di servizio televisivo ad accesso condizionato, soggetta al regime di autorizzazione generale di cui all’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997, in cui ricadono tutti i fornitori di servizi di comunicazione elettronica, ivi compresi i fornitori di servizi di radiodiffusione televisiva a pagamento, ricadendo, conseguentemente, nell’ambito applicativo della disciplina dettata in materia di comunicazioni elettroniche dal Codice.

L’estensione, di cui alla gravata Delibera ed all’allegato Regolamento, del relativo ambito di applicazione anche nei confronti degli operatori di servizi radiotelevisivi a pagamento non risulta, quindi viziata sotto il denunciato profilo, né affetta da incompetenza, trovando tale intervento ulteriore fondamento normativo nell’art. 84 del Codice delle Comunicazioni elettroniche che, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente – per come più avanti si andrà ad illustrare – non risulta nella specie violato.

Giova in proposito rilevare che – correttamente – la gravata delibera, al punto II.i, dedicato alla base giuridica del provvedimento, indica nell’art. 84 del Codice delle comunicazioni elettroniche il fondamento normativo dell’intervento di individuazione dei casi per i quali, in sede di definizione delle controversie, applicare le misure di indennizzo minimo.

Stabilisce tale norma che "l’Autorità, ai sensi dell’articolo 1, commi 11, 12 e 13 della legge 31 luglio 1997, n. 249, adotta procedure extragiudiziali trasparenti, semplici e poco costose per l’esame delle controversie in cui sono coinvolti i consumatori e gli utenti finali, relative alle disposizioni di cui al presente Capo, tali da consentire un’equa e tempestiva risoluzione delle stesse, prevedendo nei casi giustificati un sistema di rimborso o di indennizzo".

Il Regolamento, di cui all’Allegato A della Delibera 73/11/CONS, stabilisce i criteri per la definizione, in sede di decisione delle controversie tra operatori ed utenti, degli indennizzi applicabili alle varie ipotesi di disservizio al fine di assicurare uniformità di trattamento delle varie fattispecie di disservizio indipendentemente dall’operatore interessato, individuando un adeguato criterio minimo di calcolo per gli indennizzi dovuti, che la stessa Autorità, o i Corecom delegati, saranno chiamati ad applicare nell’attività di definizione delle controversie tra utenti ed operatori, mirando altresì a prevedere un’adeguata differenziazione a seconda della gravità della violazione sanzionata, creando un sistema di indennizzi che garantisca, nella fase di definizione delle controversie, certezza del diritto.

Richiamato, per quanto qui interessa, il contenuto della gravata Delibera e dell’allegato Regolamento, ritiene il Collegio che, una volta assegnato all’Autorità il compito di adottare procedure extragiudiziali trasparenti, semplici e poco costose, prevedendo nei casi giustificati un sistema di rimborso o di indennizzo, risulta rientrare nel medesimo ambito di attribuzione anche il potere per l’Autorità di elaborare un sistema di quantificazione degli indennizzi da riconoscere agli utenti in sede di definizione extragiudiziale delle controversie per i casi di accertata violazione contrattuale, da effettuarsi in contraddittorio con l’operatore, in tal modo assicurando uniformità di trattamento tra gli operatori e gli utenti e garantendo la certezza del diritto.

Deve, inoltre, rilevarsi che la portata della norma dettata dal citato art. 84 del Codice delle comunicazioni televisive va coniugata con l’art. 1, comma 6, lettera b), n. 2 della legge n. 249 del 1997, istitutiva dell’AGCOM, ai sensi del quale l’Autorità "emana direttive concernenti i livelli generali di qualità del servizio e per l’adozione, da parte di ciascun gestore, di una carta del servizio recante l’indicazione di standard minimi per ogni comparto di attività".

Di tale norma è stato valorizzato il generico riferimento al gestore del servizio, da intendersi come riferibile a tutti i gestori dei servizi di telecomunicazioni e radiotelevisivi (Consiglio di Stato, Sez, VI, 5 aprile 2006, n. 1769), comprensivi dei servizi di rilevanza imprenditoriale e di carattere eminentemente commerciale, sull’assunto che il Legislatore abbia inteso sottoporre alla regolazione dell’Autorità tutti i soggetti e gli operatori comunque coinvolti nella realizzazione del servizio televisivo.

L’ampia latitudine da attribuire alla nozione di gestore utilizzata nella citata norma, non suscettibile di interpretazione restrittiva, nel ricomprendere qualsiasi soggetto svolgente attività nel settore delle telecomunicazioni, risulta conforme alle esigenze di tutela dell’utenza proprie del settore delle comunicazioni, in ragione della invasività del mezzo radiotelevisivo che giustifica lo stesso conferimento di poteri regolatori all’AGCOM anche nei confronti di operatori imprenditoriali, conferendo poteri limitativi dell’autonomia privata e della libertà di impresa in un settore, quale quello dei servizi di telecomunicazione, connotato da forti poteri privati, al fine di garantire che sia assicurata la tutela degli interessi generali di protezione del consumatoreutente.

L’ampia nozione di gestore, come sopra illustrata, va coniugata con il rilievo che l’art. 84 del Codice delle comunicazioni elettroniche, nell’attribuire all’Autorità la competenza in ordine all’adozione di procedure extragiudiziali per la definizione delle controversie in cui sono coinvolti i consumatori e gli utenti finali, non reca alcuna specificazione in ordine alla tipologia di gestore, e ciò coerentemente con l’imprescindibile necessità di apprestare una tutela a tutti gli utenti dei servizi di comunicazione, ivi compresi quelli televisivi a pagamento che, altrimenti, resterebbero privi di protezione e ciò in contrasto con le stesse finalità sottese all’istituzione dell’Autorità di regolazione ed all’attribuzione dei relativi poteri.

Inoltre, il Capo in cui è collocato il citato art. 84 si riferisce alla materia del servizio universale e di diritti degli utenti, senza ulteriori specificazioni che possano ridurne la portata applicativa legittimando l’esclusione dal relativo ambito degli operatori di servizi televisivi a pagamento.

Alla luce delle considerazioni sopra illustrate, l’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione della gravata Delibera e dell’allegato Regolamento, effettuata per il tramite della definizione di "operatorè contenuta nella gravata Delibera, riferita ad "ogni impresa autorizzata a fornire una rete pubblica di comunicazioni, o una risorsa correlata o un servizio di comunicazione elettronica o un servizio radiotelevisivo a pagamento’, risulta essere conforme e coerente con la disciplina di riferimento e con le finalità sottese all’attribuzione dei poteri regolatori all’Autorità, nonché con l’esigenza di apprestare una compiuta tutela a tutti gli utenti dei servizi di comunicazione siano essi telefonici che radiotelevisivi, anche a pagamento.

Al riguardo, deve altresì ricordarsi che l’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997, prevede che "L’Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze…", riconducendo a tale nozione di soggetto autorizzato tutti i fornitori di servizi di comunicazione, anche radiotelevisiva a pagamento.

Ancora, non può ritenersi, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, che l’art. 84 del Codice delle comunicazioni elettroniche sia stato nella specie violato, consentendo esso la sola facoltà di prevedere un sistema di rimborso o di indennizzo, con preclusione alla possibilità di determinare criteri di calcolo fissi ed obbligatori per la quantificazione degli indennizzi da corrispondere agli utenti in sede di definizione delle controversie, in quanto, a così ritenere, si svuoterebbe la portata della norma che espressamente prevede l’adozione di un "sistema di rimborso o di indennizzò al fine di consentire un’equa e tempestiva risoluzione delle controversie.

Deve, infatti, ritenersi coerente con la ratio della norma e connaturale al potere conferito all’Autorità di definire le controversie insorte tra operatori ed utenti, l’attribuzione alla stessa anche della competenza a determinare i criteri di quantificazione degli indennizzi, da applicare proprio nell’esercizio del potere di decisione sulle controversie, così superando il precedente sistema di calcolo basato sulle previsioni degli operatori, che aveva dato luogo a fenomeni di disparità di trattamento consentendo che la stessa fattispecie potesse essere indennizzata in misura anche notevolmente differente a seconda dell’operatore coinvolto, e con possibile inadeguatezza della somma stabilita.

Il gravato atto regolatorio dell’Autorità trova, altresì, il proprio fondamento, avuto riguardo alla determinazione degli indennizzi automatici, nell’art. 2, comma 12, lettera g), della legge n. 481 del 1995 – recante norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità ed istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità – il quale indica, tra le funzioni assegnate a ciascuna Autorità, quella con cui "controlla lo svolgimento dei servizi con poteri di ispezione, di accesso, di acquisizione della documentazione e delle notizie utili, determinando altresì i casi di indennizzo automatico da parte del soggetto esercente il servizio nei confronti dell’utente ove il medesimo soggetto non rispetti le clausole contrattuali o eroghi il servizio con livelli qualitativi inferiori a quelli stabiliti nel regolamento di servizio…".

Tale norma prevede, pertanto, espressamente, il potere dell’Autorità di procedere alla determinazione dei casi di indennizzo automatico e su tale previsione trova legittimo fondamento la determinazione, di cui alla gravata Delibera, inerente i casi di disservizio in cui debba corrispondersi l’indennizzo automatico.

Va, inoltre, ricordato, in proposito, che il modello cui si ispira la regolazione dei settori di competenza delle Autorità indipendenti si basa, in sostanza, su norme di indirizzo che, stabiliti i poteri e le finalità delle Autorità, cui sono attribuiti poteri pubblicistici di regolazione, si completano con gli interventi regolatori dalle stesse adottati volti a riempire di contenuto le finalità stabilite dalle norme, dettando le relative regole generali che, in esito al previsto procedimento che prescrive precise garanzie di partecipazione, appaiono le più idonee a regolare le fattispecie.

La legge n. 481 del 1995, così come molte leggi istitutive delle Autorità indipendenti, costituiscono in sostanza leggi di indirizzo che costruiscono funzionalmente le attribuzioni di potere delle Autorità e che poggiano su rinvii al futuro esercizio del potere che dia concretezza alle finalità o a concetti indeterminati (Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 ottobre 2005 n. 5827), essendo le Autorità di vigilanza investite di ampi poteri definiti per obiettivi.

Ancora, il potere normativo delle autorità indipendenti si esprime sia attraverso regolamenti che attuano i principi generali fissati dalla legge (avvicinandosi molto ai regolamenti esecutivi, di attuazione e completamento della disciplina legislativa) sia attraverso regolamenti (affini a quelli "indipendenti" del Governo) che si caratterizzano per un mero riferimento alla materia oggetto di regolamentazione o, al più, a concetti giuridici indeterminati o a finalità generali, con il solo limite, con riguardo all’ammissibilità di tali ultimi, che la materia regolata non sia sottoposta a riserva di legge e che nella stessa legge istitutiva dell’autorità o comunque in altra fonte primaria (anche di livello comunitario), siano rinvenibili i criteri di fondo per l’esercizio del potere normativo dell’Autorità di regolazione.

Deve, pertanto, ritenersi ammissibile l’esercizio del potere regolamentare da parte delle Autorità indipendenti sulla base di una lettura finalistica dei poteri alle stesse attribuiti, cui accede la funzione normativa generale ed astratta.

Deve, inoltre, rilevarsi che il potere di determinare i casi di indennizzo automatico, annoverato dall’art. 2, comma 12, lettera g), della legge n. 481 del 1995 tra le funzioni affidate all’Autorità al fine di tutelare gli interessi degli utenti, si completa con il potere dell’Autorità, previsto dalla lettera h) del medesimo comma, di emanare "le direttive concernenti la produzione e l’erogazione dei servizi da parte dei soggetti esercenti i servizi medesimi, definendo in particolare i livelli generali di qualità riferiti al complesso delle prestazioni e i livelli specifici di qualità riferiti alla singola prestazione da garantire all’utente, sentiti i soggetti esercenti il servizio e i rappresentanti degli utenti e dei consumatori, eventualmente differenziandoli per settore e tipo di prestazione..".

Il combinato disposto delle due previsioni consente, quindi, di ritenere che alle Autorità di regolazione sia attribuita la competenza alla definizione dei livelli generali di qualità dei servizi da fornire agli utenti, cui fa da corollario il potere complementare di stabilire le ipotesi in cui debba corrispondersi un indennizzo automatico laddove tali livelli non siano garantiti.

In corretta applicazione di tali norme, l’Autorità ha quindi stabilito – all’art. 2 della gravata delibera – in quali casi gli operatori sono tenuti a corrispondere agli utenti, in maniera automatica, a seguito di segnalazione del disservizio, gli indennizzi contrattualmente previsti. Segnatamente, tali indennizzi automatici sono stati previsti per i casi di ritardata attivazione del servizio, di sospensione e di cessazione del servizio.

Discende, dalla considerazioni sopra illustrate, che la determinazione dei casi in cui debba corrispondersi l’indennizzo automatico, di cui alla gravata delibera, conosce una precisa copertura legislativa, da individuarsi nella citata norma di cui all’art. 2, comma 12, della legge n. 481 del 1995, tuttora vigente e compatibile con il nuovo assetto impresso alla materia dalla normativa successivamente intervenuta, con refluente infondatezza della corrispondente censura.

In ragione delle illustrate argomentazioni, deve disattendersi la tesi di parte ricorrente in base alla quale l’Autorità si sarebbe auto attribuita una competenza – non prevista a livello normativo – mediante il richiamo alla sua precedente Delibera 173/07/CONS, che ha equiparato, a fini deflattivi del contenzioso, le controversie coinvolgenti gli utenti dei servizi televisivi a quelli dei servizi di comunicazione elettronica, costituendo tale delibera non già il fondamento del potere esercitato ma un precedente intervento regolatorio in cui sono stati equiparati gli operatori di telecomunicazione e di televisione a pagamento, e trovando il potere nella specie esercitato dall’Autorità valido fondamento normativo nelle disposizioni sopra richiamate.

Sempre nelle considerazioni sopra illustrate risiedono, altresì, le ragioni dell’infondatezza della dedotta violazione, ad opera del gravato intervento regolamentare, della riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione, dovendo al riguardo rilevarsi come – a fronte del carattere relativo di tale riserva – la gravata disciplina trovi espressa legittimazione normativa e rientri pienamente tra le attribuzioni conferite all’Autorità.

Inoltre, avuto riguardo alla portata dell’intervento, deve rilevarsi come nessuna determinazione autoritativa della misura degli indennizzi automatici sia, nella specie, stata introdotta dall’Autorità, la quale si è limitata ad individuare le fattispecie di disservizio a fronte della quali dovranno essere corrisposti gli indennizzi automatici nella misura stabilita dalle condizioni contrattuali dei singoli operatori, la cui libertà contrattuale è, quindi, salvaguardata avuto riguardo al quantum di tali indennizzi.

La misura dell’indennizzo automatico da corrispondere agli utenti è, infatti, quello determinato dalle condizioni contrattualmente previste, cosicché nessuna illegittima incisione dell’autonomia negoziale e della libertà di iniziativa economica risulta essersi verificata, dovendo comunque rilevarsi come, in linea generale, la libertà contrattuale può ricevere legittima compressione in ragione della tutela degli interessi connessi all’ambito di regolazione cui è preposta l’Autorità.

Inoltre, quanto al Regolamento, di cui all’Allegato A della Delibera 73/11/CONS, lo stesso stabilisce i criteri per la definizione, in sede di decisione delle controversie tra operatori ed utenti, degli indennizzi applicabili alle varie ipotesi di disservizio al fine di assicurare uniformità di trattamento delle varie fattispecie di disservizio a prescindere dalla tipologia di operatore interessato, individuando un criterio minimo di calcolo per gli indennizzi dovuti destinato ad essere applicato dall’Autorità o dai Corecom delegati nell’attività di definizione delle controversie tra utenti ed operatori, completando così la disciplina del "sistema di rimborso o di indennizzo" di cui all’art. 84 del Codice delle comunicazioni elettroniche e fornendo certezza e parità di trattamento agli utenti, prevedendo, peraltro, tale Regolamento, un regime di persistente vigenza temporale delle disposizioni contrattualmente stabilite dagli operatori.

Avuto riguardo al profilo di censura con cui parte ricorrente lamenta l’irrazionale equiparazione, nella determinazione degli indennizzi, tra servizi tra loro differenti rispondenti ad interessi non sovrapponibili, osserva il Collegio come la contestata disciplina, nel trovare adeguato supporto normativo, risponde ad esigenze di certezza ed uniformità di trattamento degli utenti, non potendo farsi discendere la meritevolezza della tutela da apprestare agli stessi, a fronte di disservizi e di mancato rispetto, da parte degli operatori, degli standard qualitativi promessi, dalla tipologia di servizio fruito, affondando le ragioni sottese alla previsione di indennizzi, siano essi automatici o da corrispondersi in sede di definizione delle controversie, in maniera uniforme per le varie tipologie di servizi, nella mancata osservanza della qualità del servizio promessa.

Ciò conformemente alle previsioni di cui all’art. 2, comma 12, lettera g), della legge n. 481 del 1995, già precedentemente illustrate, in base alle quali gli indennizzi automatici sono riferiti al mancato rispetto delle clausole contrattuali od all’erogazione del servizio con livelli qualitativi inferiori a quelli stabiliti – prima – dal regolamento di servizio – e ora – dalla carta dei servizi.

Quanto ai profili di censura con cui parte ricorrente lamenta la violazione dei principi civilistici dettati in materia di responsabilità e di risarcimento del danno, l’infondatezza delle argomentazioni poste a sostegno della stessa risiedono, innanzitutto, nella fisionomia dell’indennizzo, il quale non è, all’evidenza, riconducibile alle categorie civilistiche inerenti la materia della responsabilità e del risarcimento del danno, assolvendo alla funzione ristoratrice di un disagio subito che, nei casi previsti dall’ordinamento – come nel settore delle comunicazioni elettroniche per effetto dell’art. 2, comma 12, lettera g) della legge n. 481 del 1995 e dell’art. 84 del Codice delle comunicazioni elettroniche – consente una agevole riparazione di pregiudizi subiti dagli utenti che sottoscrivono contratti standardizzati, disancorata dall’accertamento degli elementi costitutivi della responsabilità civile e basata sul mancato rispetto, da parte degli operatori, degli standard prestazionali promessi.

Ferma restando la possibilità di adire la sede giurisdizionale per eventualmente ottenere il risarcimento del danno – con riveniente infondatezza della censura al riguardo sollevata – la previsione di un sistema di riparazione del pregiudizio discendente da disservizi dovuti a mancato rispetto delle condizioni contrattuali risponde ad esigenze di tutela degli utenti e di celerità nella definizione delle controversie suscettibili di trattamento standardizzato, dovendo in proposito precisarsi che gli indennizzi automatici posti a carico degli operatori sono quelli dagli stessi determinati nelle condizioni generali di contratto, la cui debenza è esclusa nei casi in cui il disservizio sia imputabile a causa di forza maggiore e a caso fortuito.

Coerente con la funzione cui risponde la materia degli indennizzi nello specifico settore e con la fisionomia dell’istituto, risulta quindi essere la circostanza che il diritto all’indennizzo sorga a fronte della mera constatazione del disservizio, il quale costituisce una violazione delle pattuizioni contrattuali intercorse tra l’operatore e l’utente, che costituisce la fonte del diritto all’indennizzo, ferma la possibilità per l’operatore di provare l’inesistenza del disservizio, il caso fortuito o il caso di forza maggiore, ed esclusa la debenza dell’indennizzo nei casi in cui lo stesso dipenda da un cattivo uso da parte dell’utente.

Inoltre, la misura degli indennizzi automatici – da corrispondersi comunque dietro segnalazione da parte dell’utente – è stata dall’Autorità graduata in relazione alla gravità del disservizio, e le ipotesi cui tale tipo di indennizzo si riferisce sono quelle in cui il relativo accertamento risulta particolarmente agevole, con esclusione di quelle caratterizzate da obiettive difficoltà di imputazione della responsabilità, quali le procedure in cui è richiesta la collaborazione di più soggetti.

Quanto agli indennizzi da corrispondersi in sede di definizione delle controversie in esito al positivo accertamento dell’esistenza del disservizio cagionato dall’operatore, la relativa misura è stata stabilita in relazione alla gravità del pregiudizio subito dall’utente operando una mediazione tra i valori contrattualmente stabiliti dagli operatori nelle Carte dei servizi e quelli ritenuti congrui dalle controparti in sede di consultazione pubblica.

Trovando la corresponsione degli indennizzi stabiliti nella gravata Delibera e nell’allegato Regolamento la propria ragione giustificativa nella obiettiva non corrispondenza tra la prestazione promessa e quella erogata, al di fuori degli schemi civilistici dell’accertamento di responsabilità e degli elementi costitutivi dell’illecito, perde rilievo la censura con la quale parte ricorrente lamenta l’introduzione di una illegittima presunzione assoluta di responsabilità, collocandosi il previsto meccanismo di indennizzo al di fuori dell’ambito di applicazione degli schemi civilistici dettati in materia di responsabilità e di risarcimento del danno.

In conclusione, alla luce delle considerazioni sin qui illustrate, il ricorso in esame deve essere rigettato stante la riscontrata infondatezza delle questioni con lo stesso sollevate.

La novità delle questioni suggerisce di disporre la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

– Roma – Sezione Seconda

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 4242/2011 R.G., come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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