Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-05-2012, n. 7461

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che:

1. la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di prime cure che aveva rigettato la domanda, proposta da P.A. nei confronti di Poste Italiane s.p.a., avente ad oggetto la declaratoria dell’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato fra la lavoratrice e la società convenuta in primo grado;

2. per la cassazione di tale sentenza P.A. ha proposto ricorso; Poste Italiane s.p.a. ha resistito con controricorso;

3. la ricorrente è stata assunta con un contratto a termine protrattosi dal 18 luglio 1997 al 30 settembre 1997, stipulato a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre;

4. la Corte territoriale ha affermato la legittimità del suddetto contratto avendo ritenuto, in sostanza, che la fattispecie prevista dalla norma collettiva sopra ricordata non implicasse l’obbligo di specificare il collegamento fra il singolo contratto e le esigenze aziendali essendo sufficiente che lo svolgimento del contratto fosse ricompreso nel periodo giugno-settembre degli anni di vigenza del contratto collettivo, periodo nel quale, di norma, i dipendenti fruiscono di ferie;

tale statuizione è stata ampiamente censurata dalla ricorrente, che ha denunciato violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e art. 2728 cod. civ. deducendo che, nella fattispecie in esame, in caso di contestazione, graverebbe sul datore di lavoro l’onere di provare la sussistenza delle condizioni che giustificavano l’assunzione a termine de qua;

5. tale censura è priva di fondamento;

con riferimento ad una fattispecie simile a quella in esame questa Corte Suprema (cfr., ex plurimis, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la necessità di uno specifico collegamento fra il singolo contratto e le esigenze aziendali e che aveva ritenuto, in particolare, la sussistenza di un obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito; siffatta sentenza, ad avviso della S.C., era infatti viziata da violazione di norme di diritto e da un vizio di interpretazione della normativa collettiva;

la violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito aveva negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie; è stato rilevato in proposito che siffatta pronuncia del giudice del merito si poneva in contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588; in base al suddetto principio, infatti, la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge;

per quanto concerne il vizio di interpretazione della normativa collettiva è stato osservato che la statuizione del giudice del merito, nell’escludere che l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo possa contemplare, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie, ha dimostrato una carenza di indagine sull’intenzione espressa dagli stipulanti; ed infatti il quadro legislativo di riferimento impone l’esame del significato delle espressioni usate dalle parti stipulanti, ed in particolare un’indagine sulle ragioni dell’uso di una formula diversa da quella della legge, priva di riferimenti alla sostituzione di dipendenti assenti, sostituiti dalla precisazione del periodo per il quale l’autorizzazione è concessa (pur potendo le ferie essere fruite in periodi diversi), onde verificare se la necessità di espletamento del servizio faccia riferimento a circostanze oggettive, o esprima solo le ragioni che hanno indotto a prevedere questa ipotesi di assunzione a termine, nell’intento di considerarla sempre sussistente nel periodo stabilito, in correlazione dell’uso dell’espressione in concomitanza;

inoltre altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678) hanno confermato la decisione di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie;

la sentenza impugnata, che non è incorsa nei suddetti vizi avendo fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati deve essere, pertanto, confermata con riferimento alla statuizione concernente il contratto de quo;

6. il secondo motivo, col quale parte ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per non avere la Corte territoriale esaminato i motivi di impugnazione con i quali si censurava la decisione di prime cure nella parte in cui aveva ritenuto risolto il rapporto per mutuo consenso, deve considerarsi assorbito in relazione al rigetto del primo motivo di ricorso, che implica l’affermazione della legittimità del termine apposto al contratto in esame e, conseguentemente, la cessazione del rapporto alla scadenza del termine stesso;

7. in definitiva il ricorso deve essere rigettato;

8. in applicazione del criterio della soccombenza la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 50 per esborsi, Euro 3000 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 marzo 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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