Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-05-2012, n. 7459 Cassa integrazione guadagni Retribuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – La sentenza attualmente impugnata, in parziale accoglimento dell’appello della ITCA Produzione s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Cassino n. 1067 del 27 ottobre 2006: 1) dichiara valido il provvedimento amministrativo di ammissione della società ITCA al beneficio della CIGS e dichiara la società stessa inadempiente rispetto all’obbligo di rotazione; 2) conseguentemente, condanna la società stessa al pagamento in favore di A.F. del risarcimento del relativo danno.

La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:

a) nella premessa dell’accordo sindacale del 23 luglio 2002 si da atto dell’informazione sindacale intervenuta il precedente 18 luglio 2002, la genericità di tale ultima informazione, affermata dal Tribunale, non sussiste o comunque si è dimostrata irrilevante, visto che non ha impedito la conclusione dell’accordo con le organizzazioni sindacali con le specificazioni e i criteri di rotazione ivi previsti;

b) la clausola dell’accordo sindacale sulla rotazione, nonostante la formulazione poco felice, deve essere interpretata nel senso che le parti contraenti hanno voluto la rotazione come regola – specificata dalla precisa individuazione delle posizioni lavorative sulle quali la scelta sarebbe poi effettivamente caduta (produttive e/o di struttura, con cadenza rispettivamente differenziata) – e che hanno concordato che, rispetto alla suddetta regola, la mancata rotazione sarebbe stata l’eccezione;

da ritenere legittima solo se giustificata da esigenze tecniche, produttive e organizzative;

c) ne consegue che nessun vizio è riscontrabile nel procedimento, sicchè l’analisi si deve spostare sul piano individuale per verificare se l’ A. ricoprisse una posizione lavorativa interessata dalla CIGS e, in caso positivo, se potesse beneficiare della rotazione (di cui non ha goduto), ovvero se sussistesse un’eccezione tale da giustificare la mancata rotazione;

d) tale verifica – considerate le insanabili e gravi omissioni probatorie in cui è incorsa la società in merito al dedotto adempimento dell’accordo sindacale e all’infungibilità della posizione lavorativa del ricorrente – porta a concludere che il lavoratore, collocato in CIGS a settembre 2002, in base al suddetto accordo, sarebbe dovuto rientrare al lavoro dopo il primo trimestre di CIGS e cioè il 1 dicembre 2002;

e) inoltre l’ A., poichè ricopriva una posizione lavorativa "produttiva", aveva diritto alla rotazione mensile;

f) tutto ciò non è avvenuto e quindi la società è inadempiente, non sussistendo alcuna delle esigenze eccezionali che avrebbero potuto giustificare la mancata rotazione;

g) il danno risarcibile è da commisurare alla differenza tra la retribuzione ordinaria cui il lavoratore avrebbe avuto diritto per effetto della rotazione e il trattamento di integrazione salariale effettivamente percepito, oltre agli accessori di legge.

2 – Il ricorso di A.F. domanda la cassazione della sentenza per un unico articolato motivo; resiste, con controricorso, la ITCA Produzione s.p.a., che propone, a sua volta, ricorso incidentale per un motivo, cui replica l’ A. con controricorso.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi perchè proposti contro la medesima sentenza.

1 – Sintesi del motivo del ricorso principale.

1.- Con il motivo del ricorso principale si denuncia: 1) violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5, nonchè della L. 23 luglio 1991, n. 233, art. 1, commi 7 e 8, in relazione all’accordo sindacale del 23 luglio 2002; 2) violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 cod. civ., in relazione al medesimo accordo sindacale; 3) omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si rileva che nella giurisprudenza di legittimità – a partire da Cass. SU 11 maggio 2000, n. 302 – si è consolidato l’orientamento secondo cui: "in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacati, ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che debbono essere sospesi (in base al combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, e L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5), tale illegittimità potendo essere fatta valere dai lavoratori interessati davanti al giudice ordinario, in via incidentale, per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non integrata".

E’ stato anche ripetutamente precisato che non è conforme alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale assolutamente generica in ordine ai criteri in base ai quali pervenire all’individuazione dei dipendenti interessati alla sospensione, tale da rendere impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere.

Insieme con tali principi si è altresì affermato quello secondo cui la violazione dell’obbligo della suddetta comunicazione può essere sanata dalla sottoscrizione di un accordo sindacale, purchè il contenuto di tale accordo sia idoneo a soddisfare le stesse finalità conoscitive e di esternazione cui sono preordinate le comunicazioni preventive.

Tale non può considerarsi – diversamente da quanto affermato dalla Corte romana – l’accordo sindacale del 23 luglio 2002, applicabile nella specie (integralmente trascritto nel ricorso).

Infatti, dalla relativa lettura si desume chiaramente non solo che nella premessa non viene menzionata alcuna informazione preventiva fornita alle OOSS e alla RSU in ordine all’adozione del criterio della rotazione ma anche che esso, nel suo complesso, è privo di un sufficiente grado di certezza in merito all’effettiva adozione del criterio della rotazione (privilegiato dal legislatore).

Da esso, infatti, risulta soltanto la dichiarazione della società di effettuare "compatibilmente alle esigenze tecniche, produttive e organizzative … la rotazione, trascorso almeno un trimestre".

La Corte d’appello ha tratto dalla suddetta dichiarazione la conclusione dell’avvenuta precisazione dell’impegno della società di rispettare, in via principale, la rotazione, a meno che ciò non le fosse consentito dalle esigenze tecniche, produttive e organizzative.

Tale statuizione – contestata dal ricorrente – risulta sfornita di idonea giustificazione, risultando quasi assiomatica l’affermazione dell’avvenuta menzione della rotazione come regola certa, seppure derogabile, anzichè come semplice eventualità, da attuare in funzione delle esigenze dell’impresa.

Questo è il fulcro delle censure in quanto si assume che la suddetta affermazione – che è quella centrale di tutta la sentenza impugnata – sia allo stesso tempo priva di congrua motivazione e in contrasto con la normativa richiamata dal ricorrente.

Il – Sintesi del motivo del ricorso incidentale.

2.- Con il motivo di ricorso incidentale si denuncia: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 244, 356, 420 e 437 cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Si contesta il capo della sentenza impugnata, nel quale la Corte d’appello non ha ammesso la prova testimoniale richiesta dalla società ai fine di dimostrare le ragioni giustificatrici della mancata rotazione del ricorrente.

Si sostiene l’erroneità della suddetta statuizione sul principale assunto secondo cui l’onere della prova dell’inadempimento dell’accordo sindacale in oggetto avrebbe dovuto essere assolto dal lavoratore.

Si aggiunge che la motivazione posta a base della disposta inammissibilità della prova – consistente nella mancata indicazione, da parte della società, dei nominativi e delle precedenti esperienze lavorative degli altri due colleghi rispetto ai quali l’ A. è stato ritenuto infungibile e per questo collocato in CIGS – sarebbe eccessivamente formalistica e contrastante con la prevalente giurisprudenza di legittimità e di merito in materia di deduzione dei mezzi istruttori nel rito del lavoro.

3 – Esame del ricorso principale.

3 – Il ricorso principale è da accogliere, per le ragioni di seguito precisate.

3.1.- La Corte romana muove infatti dall’erroneo presupposto secondo cui la lamentata genericità dell’informazione alle organizzazioni sindacali del 18 luglio 2002 sia insussistente e comunque si sia dimostrata irrilevante perchè non ha impedito la stipulazione dell’accordo sindacale del 23 luglio 2002 avente un contenuto specifico (quanto ai criteri di scelta del personale da sospendere e all’adozione di meccanismi di rotazione nella sospensione), accordo che non avrebbe potuto essere concluso se realmente la suddetta informazione preventiva fosse stata generica.

In riferimento al contenuto dell’accordo, la Corte territoriale sottolinea che la suddetta specificità – esclusa dal giudice di primo grado – sarebbe desumibile, in particolare, dal fatto che la clausola dell’accordo sindacale sulla rotazione, nonostante la formulazione poco felice, deve essere interpretata nel senso che le parti contraenti hanno voluto la rotazione come regola – specificata dalla precisa individuazione delle posizioni lavorative sulle quali la scelta sarebbe poi effettivamente caduta (produttive e/o di struttura, con cadenza rispettivamente differenziata) – e che hanno concordato che, rispetto alla suddetta regola, la mancata rotazione sarebbe stata l’eccezione, da ritenere legittima solo se giustificata da esigenze tecniche, produttive e organizzative.

Tale assunto si basa su una non condivisibile ricostruzione della portata e della ratio della normativa di riferimento nonchè della relativa giurisprudenza di questa Corte.

In particolare la Corte territoriale non considera che l’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte in materia – ivi comprese le pronunce citate nella sentenza impugnata – ha tuttora il suo fulcro nel principio, originariamente affermato da Cass. SU 11 maggio 2000, n. 302, secondo cui in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, in base al combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, e della L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5.

Il suddetto principio si è, infatti, del tutto consolidato del tempo, trovando continue e molteplici conferme nella giurisprudenza di legittimità, anche recente (vedi, per tutte: Cass. 23 aprile 2004, n. 7720; Cass. 4 maggio 2009, n. 10236; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393; Cass. 21 settembre 201 l,n. 19235).

Inoltre, in applicazione del suddetto principio, è stato altresì precisato che:

a) per l’attuazione della finalità perseguita dal legislatore, la specificità dei criteri di scelta, che si possono definire generali in quanto rivolti ad una collettività di lavoratori, consiste nella idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. 23 aprile 2004, n. 7720);

b) il provvedimento di sospensione dell’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro (sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione, sia in caso contrario) ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, ovvero di concordare con le stesse, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, ed ai quali criteri la scelta dei lavoratori deve poi effettivamente corrispondere (Cass. 28 novembre 2008, n. 28464);

c) ai fini della legittimità della sospensione della retribuzione per i lavoratori collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria, l’azienda è tenuta a comunicare la individuazione dei lavoratori da sospendere e i motivi per i quali non vengono adottati i meccanismi di rotazione; la sussistenza di vizi procedimentali e la conseguente inefficacia dei provvedimenti aziendali può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 19 agosto 2003, n. 12137; Cass. 18 maggio 2006, n. 11660);

d) in tema di procedimento per la concessione della c.i.g.s., la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale assolutamente generica in ordine ai criteri in base ai quali pervenire all’individuazione dei dipendenti interessati alla sospensione, tale da rendere impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, (Cass. 9 giugno 2009, n. 13240);

e) tale ultima violazione non può ritenersi sanata dall’effettività del confronto con le organizzazioni sindacali, trovandosi queste ultime a dover interloquire sul tema senza essere a conoscenza del contenuto specifico dei dati da trattare (Cass. 9 giugno 2009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).

Rispetto alla suindicata giurisprudenza non si pongono in contraddizione – come chiarito da Cass. 28 novembre 2008, n. 28464 cit. – le sentenze nelle quali è stato precisato che gli accordi sindacali possono porre rimedio alla mancata ottemperanza degli oneri di comunicazioni previsti all’inizio della procedura di messa in cassa integrazione.

In tali sentenze, infatti, l’indicata affermazione è sempre stata effettuata sull’esplicito presupposto secondo cui – diversamente da quanto si è verificato nella fattispecie in esame – detti accordi, per il loro contenuto, facciano ritenere raggiunti i fini sottesi alle iniziali comunicazioni sia per quanto attiene la specificazione dei criteri di scelta da adottare sia per le modalità della loro concreta applicazione (vedi, in tal senso: Cass. 2 agosto 2004 n. 14721; Cass. 5 maggio 2004 n. 8353; Cass. 21 agosto 2003, n. 12307; Cass. 29 maggio 2006, n. 12719;

Cass. 28 ottobre 2008, n. 25892; Cass. 21 dicembre 2010, n. 25851).

Non va, del resto, dimenticato che, nella maggior parte delle sentenze da ultimo indicate, si fa espresso riferimento al principio- base affermato nella sentenza delle Sezioni unite n. 302 del 2000 e ci si limita a specificare che il suddetto principio si deve considerare rispettato anche quando, nonostante la mancanza delle comunicazioni di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 1 sia intervenuto un accordo tra datore di lavoro e sindacato, con il quale vengono concordati i criteri di individuazione del personale da porre in cassa integrazione, purchè ciò avvenga nel rispetto delle condizioni in precedenza indicate, in quanto solo così la conclusione di validi accordi collettivi può portare a ritenere che la procedura abbia raggiunto comunque il suo scopo (vedi, in particolare: Cass. Cass. 2 agosto 2004 n. 14721; Cass. 5 maggio 2004 n. 8353; Cass. 28 ottobre 2008, n. 25892; Cass. 21 dicembre 2010, n. 25851, Cass. 21 settembre 2011, n. 19235, citate).

Ciò risponde alla medesima logica in base alla quale, mutatis mutandis, è stato affermato che, nella procedura di mobilità di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4 qualora sia stato raggiunto l’accordo sindacale, i vizi della comunicazione di avvio della procedura non sono rilevanti ai fini della inefficacia dei licenziamenti intimati all’esito della procedura medesima, salvo che sia dimostrata l’idoneità dei vizi della comunicazione di avvio a fuorviare o eludere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali (vedi, per tutte: Cass. 24 ottobre 2008, n. 25758).

3.2.- In altri termini, benchè la Corte romana lo abbia ignorato, tutta la suddetta evoluzione giurisprudenziale ha la sua matrice comune nel generale principio secondo cui con la L. 23 luglio 1991, n. 223 sono stati previsti puntuali, complete e cadenzate procedimentalizzazioni dei provvedimenti datoriali di licenziamento collettivo, messa in mobilità e cassa integrazione – situazioni che, nonostante la loro diversità, sono poste dal legislatore sullo stesso piano, da questo punto di vista – introducendosi un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatane di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. Pertanto, i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la correttezza procedurale delle diverse operazioni (arg. ex Cass. 3 marzo 2009, n. 5089; Cass. 28 ottobre 2009, n. 22825; Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541).

E’ stato anche precisato che la suddetta impostazione non risponde ad un "vuoto formalismo", ma al rispetto della volontà del legislatore che ha posto a base dell’assetto normativo della L. n. 223 del 1991 (anche dopo l’emanazione della normativa regolamentare di cui al D.P.R. 10 giugno 2000, a 218, vedi: Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587;

Cass. 5 ottobre 2011, n. 20391; Cass. 9 giugno 2009, n. 13240) la trasparenza dell’esercizio del potere privato del datore di lavoro di assumere "decisioni volte a incidere pesantemente sulla posizione" dei lavoratori (vedi, per tutte: Cass. 7 febbraio 2006, n. 2555 e Cass. 22 marzo 2010, n. 6841), richiedendo l’effettuazione di precise scansioni procedimentali, dirette a tutelare sia l’attività sindacale sia i diritti dei lavoratori (Cass. SU 11 maggio 2000, n. 302; Cass. SU 27 giugno 2000, n. 461; Cass. 3 maggio 2004, n. 8353;

Cass. 4 maggio 2009, n. 10236).

Conseguentemente:

a) il criterio di scelta dei dipendenti da porre in cassa integrazione ed in mobilità, determinato nel rispetto delle procedure previste dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, artt. 4 e 5 non può essere successivamente disapplicato o modificato, travalicando gli ambiti originariamente previsti, non essendo consentito che in tale spazio temporale l’individuazione dei singoli destinatali dei provvedimenti datoriali venga lasciata all’iniziativa ed al mero potere discrezionale dell’imprenditore, in quanto ciò pregiudicherebbe l’interesse dei lavoratori ad una gestione trasparente ed affidabile della mobilità e della riduzione del personale (Cass. 22 marzo 2010, n. 6841 cit.);

b) infatti, la cassa integrazione guadagni straordinaria viene autorizzata dal Ministero del Lavoro a seguito dell’approvazione di un programma ed a seguito della valutazione delle ragioni dell’impresa importanti l’esclusione di meccanismi di rotazione, al fine di rendere l’attuazione del suddetto programma funzionale all’efficienza produttiva dell’impresa stessa, sicchè nel corso della sua durata non è consentito – pena l’invalidità dell’intera procedura di messa in cassa integrazione con le consequenziali ricadute in termini risarcitori – determinare, neppure con la copertura negoziale tramite sopravvenuti accordi collettivi sul punto, un mutamento dei criteri di scelta del personale da sospendere, con l’abbandono dei criteri inizialmente previsti nel programma e la contestuale adozione di altri diversi e privi di razionalità e congruità rispetto alla causa integrabile, potendosi operare un mutamento delle regole selettive solo a seguito di un decreto di proroga, volto ad accertare la compatibilità di tale cambiamento con la regolare esecuzione del programma stesso, ovvero a seguito di una distinta domanda di integrazione salariale e di un successivo decreto autorizzativo sulla base di un nuovo e distinto programma (Cass. 23 maggio 2008, n. 13377; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25140).

3.3.- In questa situazione, ai fini dell’esame della presente fattispecie, è necessario verificare, nel presente giudizio di cassazione, l’adeguatezza dell’accordo sindacale in oggetto a porre rimedio alla mancata ottemperanza degli oneri di comunicazione previsti all’inizio della procedura di messa in cassa integrazione, in quanto la relativa una valutazione effettuata dal Giudice del merito è censurabile in sede di legittimità, perchè non è assistita da una motivazione congrua e corretta dal punto di vista logico-giuridico. Si tratta, infatti, di motivazione che, sul punto interessato, risulta fondata su presupposti normativi (con riguardo all’interpretazione delle disposizioni legislative di riferimento e alla omessa considerazione della relativa ratio) e giurisprudenziali erronei, incidenti sull’esame di elementi essenziali della complessa fattispecie subjudice (vedi, per tutte, in tal senso: Cass. 21 dicembre 2010, n. 25851 cit.).

Ciò tanto più ove si consideri che nell’interpretazione dei contratti – ivi inclusi i contratti collettivi di diritto comune e quindi gli accordi intervenuti tra imprenditore e sindacati nel corso della procedura di consultazione ai fini dell’eventuale intervento della cassa integrazione guadagni straordinaria – i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia in forza del quale i canoni strettamente interpretativi – tra i quali risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole – prevalgono su quelli interpretativi-integrativi (Cass. 25 ottobre 2005, n. 20660; Cass. 8 novembre 2007, n. 23273; Cass. 16 gennaio 1996, n. 318; Cass. 5 marzo 1998, n. 2430).

Nella specie anche tale principio non risulta essere stato rispettato in quanto la Corte d’appello – come risulta espressamente dalla sentenza impugnata – ha basato l’affermazione della specificità del contenuto della clausola dell’accordo sindacale riguardante la rotazione su di una "forzatura" del dato letterale, della quale non ha fornito adeguata giustificazione e che è direttamente riscontrabile in questa sede, visto che il testo integrale dell’accordo è riportato nel ricorso.

Infatti, il tenore letterale della suddetta clausola è il seguente:

"la società, compatibilmente alle esigenze tecniche, produttive e organizzative effettuerà la rotazione, trascorso almeno un trimestre, con cadenza mensile per quelle posizioni produttive ritenute fungibili e con cadenza bimestrale per quelle di struttura ritenute fungibili". Dalla lettura di tale clausola non è possibile desumere – in applicazione del canone di stretta interpretazione letterale di cui si è detto – che la società abbia assunto il preciso impegno di rispettare, in via principale, il criterio della rotazione, a meno che ciò non fosse stato consentito dalle esigenze tecniche, produttive e organizzative, evincendo tale precisazione dalla avvenuta indicazione del termine di decorrenza della rotazione e della sua cadenza differenziata, nonchè da un generico ricorso alla "interpretazione sistematica" dell’accordo stesso. E’, infatti, evidente che il significato reso palese dalle parole usate è soltanto quello della adozione del criterio della rotazione come semplice eventualità, da attuare in funzione delle esigenze dell’impresa e oltretutto sulla base di parametri scarsamente determinati, certamente non quello della assunzione di tale criterio come regola certa, seppure derogabile. Nè la richiamata "interpretazione sistematica" può portare ad una diversa conclusione, visto che nell’accordo non sono presenti ulteriori precisazioni nè con riguardo all’assunzione dell’impegno della rotazione nè in riferimento all’indicazione di adeguati criteri di scelta dei lavoratori da sospendere.

D’altra parte, i suddetti criteri – in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, nonchè secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 268 del 1994 – devono essere tali da consentire al giudice di verificare che non vi siano state violazioni del principio di non discriminazione (di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 15 e successive modificazioni) e del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) tra i lavoratori e quindi che la tutta procedura sia stata gestita in modo trasparente e affidabile (vedi, per tutte: Cass. 1 maggio 1999, n. 4666; Cass. 24 aprile 2007, n. 9866; Cass. 22 marzo 2010, n. 6841, Cass. 9 giugno 2011, n. 12544).

Ed è pacifico che siano da considerare generici – e, quindi, lesivi dell’obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7 – i criteri di scelta dei dipendenti interessati alla sospensione derivante dalla procedura della c.i.g.s. determinati, come nella specie, facendo esclusivo riferimento alle "esigenze tecnico-organizzative" (riferite, nello specifico, a un non meglio precisato "andamento della ristrutturazione e riorganizzazione" nonchè ad altrettanto vaghe "richieste dei volumi produttivi attuali e necessari al mercato di riferimento"), senza ulteriori indicazioni precise delle posizioni lavorative sulle quali la scelta verrà poi concretamente operata in base alla formazione di una graduatoria rigida alla quale il datore di lavoro deve fare esclusivo riferimento, senza alcun margine di discrezionalità, onde consentire anche al singolo lavoratore di operare la prescritta valutazione della coerenza tra il criterio indicato e la selezione effettuata dei lavoratori da sospendere (arg. ex Cass. 26 giugno 2006, n. 14728; Cass. 10 maggio 2002, n. 6765; Cass. 27 gennaio 2011, n. 1938).

La suddetta violazione – che, nella specie, è del tutto evidente – non può ritenersi sanata dall’eventuale effettività del confronto con le organizzazioni sindacali, in quanto queste ultime si vengono a trovare in una situazione nella quale devono interloquire sul tema pur senza essere a conoscenza del contenuto specifico dei dati da trattare (Cass. 9 giugno 2009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393; Cass. 12 dicembre 2001, n. 26587).

3.4.- La violazione delle indicate disposizioni sulla indicazione e sulla comunicazione alle organizzazioni sindacali di adeguati criteri di scelta del personale da sospendere e di adozione di meccanismi di rotazione nella sospensione – in assenza di comprovate ragioni di ordine tecnico e organizzativo giustificative dell’adozione di precisi meccanismi alternativi alla rotazione determinati ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 8 – comporta – in base a consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte – l’illegittimità del provvedimento concessorio dell’intervento di integrazione salariale e quindi l’illegittimità della sospensione operata dal datore di lavoro dei lavoratori stessi, i quali, vantando una posizione di diritto soggettivo, possono chiedere al giudice ordinario l’accertamento, previa disapplicazione incidenter tantum del provvedimento amministrativo di concessione della c.i.g.s., dell’inadempimento del datore di lavoro in ordine all’obbligazione retributiva alla stregua dell’ordinario regime previsto dall’art. 1218 cod. civ., essendo venuta meno, quale ragione d’esonero dalle conseguenze dell’inadempimento, l’elevazione al livello dell’impossibilità della prestazione delle situazioni di ristrutturazione, riorganizzazione e riconversione industriale (vedi, per tutte: Cass. 20 settembre 2011, n. 19618; Cass. 9 novembre 1998, n. 11263).

La quantificazione del relativo risarcimento del danno, che compete al Giudice del merito, dovrà avvenire nel rispetto, fra l’altro, dei seguenti consolidati e condivisi principi di diritto:

1) la domanda con cui il lavoratore, allegando l’illegittimità della sospensione per collocamento in cassa integrazione, chieda, quale ristoro per aver subito l’illegittima sospensione del rapporto, la differenza tra la retribuzione ed il trattamento di integrazione salariale, ha ad oggetto un credito al risarcimento del danno da inadempimento contrattuale (costituito dall’atto di gestione del rapporto non conforme alle regole), credito cui si applica perciò la prescrizione ordinaria decennale (vedi, per tutte: Cass. 13 dicembre 2010, n. 25139; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1550; Cass. 7 febbraio 2006, n. 2555; Cass. 4 febbraio 2008, n. 2627; Cass. 9 agosto 2006, a 17963; Cass. 3 dicembre 2009, n. 25439);

2) la mancata iniziativa del lavoratore diretta a sollecitare l’attuazione di clausola di rotazione non preclude il diritto del lavoratore stesso di far valere la responsabilità risarcitoria del datore di lavoro per l’inadempimento di detta clausola (non riconducibile alla figura del contratto a favore di terzo), poichè la mera inerzia ad esercitare un proprio diritto non prova di per sè una volontà abdicativa, dovendo ogni rinuncia essere espressa o ricavarsi da condotte univoche; analogamente, la non immediata proposizione dell’azione risarcitoria non può ritenersi concausa del verificarsi del fatto generatore del danno e, quindi, non giustifica una riduzione del risarcimento a norma dell’alt 1227 cod. civ. (Cass. 29 luglio 1999, n. 8231; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1550).

3 – Esame del ricorso incidentale.

4.- Il ricorso incidentale deve essere, invece, respinto.

4.1.- In linea generale, la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (vedi, per tutte: Cass. 6 giugno 2011, n. 12204;

Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412; Cass. 24 luglio 2007, n. 16346; Cass. 17 febbraio 2009, a 3785).

Inoltre, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (vedi, per tutte: Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 24 febbraio 2004, n. 3642; Cass. 14 febbraio 2001, n. 2155; Cass. 10 febbraio 2006, a 2935).

Comunque, il motivo si basa sull’erroneo presupposto secondo cui l’onere della prova dell’inadempimento dell’accordo del 23 luglio 2002 doveva essere posto a carico del lavoratore, mentre è jus receptum che, in caso di impugnazione di un provvedimento aziendale di sospensione per messa in cassa integrazione effettuato a norma della L. n. 223 del 1991, ove venga contestata, da parte del lavoratore, la mancata osservanza dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, grava sul datore di lavoro l’onere di indicare e provare le circostanze di fatto poste a base dell’applicazione dei suddetti criteri (vedi, per tutte: Cass. 24 agosto 2004, n. 16680; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1550).

In ogni caso, va precisato che la Corte territoriale, muovendo dalla constatazione delle insanabili e gravi omissioni probatorie in cui è incorsa la società in merito al dedotto adempimento dell’accordo sindacale e all’infungibilità della posizione lavorativa del ricorrente, ha concluso per il palese mancato rispetto da parte della società stessa dell’accordo sindacale, in riferimento all’ A..

In tale situazione, correttamente è stata ritenuta inammissibile e comunque irrilevante la prova testimoniale richiesta dalla società, intesa a confermare fatti già dedotti ma non a dimostrare l’infungibilità dell’ A. nè a giustificarne il mancato rientro nei tempi stabiliti dall’accordo sindacale e pertanto inidonea ad offrire elementi per giustificare il suddetto inadempimento da parte della società, che la Corte d’appello – con apprezzamento di merito non suscettibile di sindacato in sede di giudizio di cassazione perchè correttamente motivato e inoltre non contestato – ha ritenuto, come si è detto, essere "incorsa in gravi e insanabili omissioni" probatorie (arg. ex Cass. 9 giugno 2009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).

5 – Conclusioni.

5.- In sintesi, il ricorso deve essere accolto e il ricorso incidentale deve essere, invece, respinto.

La sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione al ricorso accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si adeguerà ai principi sopra indicati (vedi, spec. punti da 3.1 a 3.4) e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 22 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2012

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