Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 20-10-2011) 09-11-2011, n. 40679

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

F.N. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso l’ordinanza 27 aprile 2011 del Tribunale di Caltanissetta (che ha rigettato la richiesta di riesame dell’ordinanza in data 29 marzo 2011 con la quale il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Caltanissetta ha applicato la misura della custodia cautelare in carcere per il reato ex art. 416 bis c.p.), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1.) la provvisoria incolpazione ed il provvedimento impugnato.

L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa a carico di F.N. per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra "quale rappresentante, in particolare, della "famiglia" di Montedoro e fungendo egli da anello di collegamento con esponenti di cosa nostra in territorio di Agrigento.

In provincia di Caltanissetta dal gennaio 96 e sino a data odierna" (capo A della rubrica).

Il Tribunale del riesame ha ritenuto che dal complesso delle risultanze sia emerso che in Caltanissetta e provincia continui ad operare un sodalizio criminale, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 416 bis c.p., denominato "Cosa Nostra", la cui sussistenza è già stata riconosciuta da sentenze, molte delle quali anche definitive, nonchè da diverse ordinanze cautelari ed i cui esponenti di spicco sono già stati condannati.

Tale sodalizio, che risulta attivo con la finalità di commettere una serie indeterminata di delitti in particolare estorsioni, ha come caratteristica precipua la suddivisione degli adepti in gruppi, dislocati territorialmente con zone di propria influenza e con propri "rappresentanti" realtà emersa in numerose decisioni anche definitive.

Gli esiti delle indagini in tal senso sono rappresentati, oltrechè dalle emergenze delle captazioni telefoniche ed ambientali, anche ed essenzialmente dalle dichiarazioni rese da collaboranti della medesima area, tra i quali M.L., V.C., D.G. M., B.C. e S.C., i quali hanno puntualmente descritto e narrato vicende delittuose, di natura associativa in relazione alle quali, fino a quel momento, nessun dato processuale era stato acquisito; essi hanno, inoltre fatto luce sulla esistenza di diversi gruppi che si dividevano il controllo del territorio e le attività illecite.

L’attendibilità intrinseca ed estrinseca di tali collaboratori di giustizia (intranei al mondo mafioso nel quale risultavano ricoprire ruoli di primo piano e di egemonia e che si sono autoaccusati di numerosi gravi delitti) è stata più volte validata in molteplici procedimenti che ne hanno confermato la credibilità, genuinità, autonomia.

Nell’ambito della storia giudiziaria del sodalizio in questione si inserisce la vicenda di F.N. il quale, per la partecipazione alla medesima associazione ed, in particolare, alla "famiglia" di Montedoro, ha anche subito una condanna, ormai definitiva, nell’ambito del processo c.d. "Leopardo", ad anni 10 di reclusione, così riformata in pejus, in sede di gravame, l’originaria pena pari ad anni 8 di reclusione, infettagli, in primo grado, con sentenza emessa dal Tribunale di Caltanissetta, il 16 dicembre 1995.

Il ruolo di vertice del F., all’interno della famiglia di Montedoro, sarebbe confermato, a giudizio del Tribunale del riesame, oltre che dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia dianzi indicati, anche dalle dichiarazioni conformi di R.P. e Fe.Al., I.E., dalle quali si evincerebbe la consapevolezza dell’inserimento dell’indagato nell’associazione nella quale egli godeva ampia fiducia al punto di essere valorizzato come tramite per i contatti con gli esponenti della famiglia mafiosa dell’agrigentino, in particolare per l’affidamento delle commesse in tema di appalti, emblematico a tal fine è considerato l’interessamento del F. per gli appalti in S. Barbara.

2.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.

Con un unico motivo di impugnazione si prospetta vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata per mancanza e manifesta illogicità della stessa.

Il difensore in proposito passa in rassegna le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia V., D.G., fe., R. e Fe., B. e I., per evidenziarne alcune genericità e difformità, nonchè per lamentare che il Tribunale del riesame non abbia compiuto un esaustivo esame della vicenda, e neppure abbia indicato le condotte concrete poste in essere in favore del sodalizio, tali non potendosi considerare gli "interessamenti" per la Ditta di Favara o di Grotte.

In particolare è contestato il valore del riconoscimento fotografico del R., e la mancata valorizzazione dei periodi di assenza dell’indagato dal territorio di Montedoro, incompatibili con la provvisoria incolpazione.

Il motivo è palesemente inammissibile per più profili.

Va subito premesso che, per consolidata giurisprudenza in materia di misure cautelari personali, la scelta e la valutazione delle fonti di prova rientrano tra i compiti istituzionali del giudice di merito e sfuggono al controllo del giudice di legittimità se adeguatamente motivate e immuni da errori logico-giuridici.

Invero a tali scelte e valutazioni non può infatti opporsi, laddove esse risultino, come nella specie, correttamente motivate, un diverso criterio o una diversa interpretazione, anche se dotati di pari dignità (Cass. Penale sez. 6^, 3000/1992, Rv. 192231 Sciortino).

Inoltre va ribadito che il ricorso per cassazione, il quale deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, pertanto, assenza delle esigenze cautelari è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando – come nella vicenda – propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Cass. pen. sez. 5^, 46124/2008, Rv.241997, Magliaro. Massime precedenti Vedi: N. 11 del 2000 Rv. 215828, N. 1786 del 2004 Rv. 227110, N. 22500 del 2007 Rv. 237012, N. 22500 del 2007 Rv. 237012).

Nella fattispecie, nessuna di tali due evenienze – violazione di legge o vizio di motivazione rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) – risulta essersi verificata, a fronte di una motivazione che è stata in concreto diffusamente prospettata in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e coerente giustificazione di supporto alla affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.

Il ricorso è dunque, inammissibile per manifesta infondatezza e, a norma dell’art. 616 c.p.p. il ricorrente va condannato, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, a versare una somma, che si ritiene equo determinare in Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Inoltre, non conseguendo dalla decisione la rimessione in libertà del ricorrente, va disposta, ex art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter la trasmissione di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato è ristretto, per gli adempimenti di rito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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