Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 20-10-2011) 09-11-2011, n. 40661

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

B.R. ricorre, a mezzo del suo difensore (avverso la sentenza 30 gennaio 2009 della Corte di appello di Napoli (che ha confermato la sentenza 16 dicembre 2006 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere di condanna per i reati di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, art. 337 cod. pen. e artt. 582-585 cod. pen.), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

2.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo dell’affermazione di responsabilità per i delitti contestatigli.

Con un secondo motivo si lamenta la mancata applicazione della esimente di cui alla L. 14 settembre 1944, n. 288, art. 4.

I primi due motivi sono inammissibili.

Trattasi all’evidenza di non consentite censure in fatto, attraverso doglianze che riguardano la ricostruzione della vicenda compiuta dai giudici di merito, mediante la prospettazione di vizi logici della motivazione.

Nella specie peraltro la corte distrettuale ha affermato la certa attribuibilità degli illeciti all’imputato, valorizzando i consistenti elementi di prova in atti, che sono stati verificati e pesati nel loro insieme con rigore e correttezza, confluendo in una ricostruzione logica e unitaria del fatto e nell’affermazione di responsabilità.

Da ciò è derivata una motivazione rispondente ai canoni stabiliti dall’art. 192 c.p.p., ed il procedimento probatorio che ha fondato l’affermazione di colpevolezza resiste alle censure di merito, inammissibili, formulate dal ricorrente, il quale tende a proporre una non consentita lettura alternativa degli eventi.

Con un terzo motivo e quarto motivo si prospetta l’erronea mancata unificazione nel vincolo della continuazione del reato in questione con quello giudicato con precedente sentenza penale irrevocabile, e concessione, quindi, del beneficio della sospensione condizionale della pena, sostenendosi l’illegittimità della revoca della sospensione condizionale della pena, considerato che non era divenuta definitiva la condanna valutata per la revoca.

Con un quinto motivo si sostiene ancora l’erronea ed immotivata mancata concessione: del beneficio della sospensione condizionale della pena; del minimo della pena stessa con la concessione delle attenuanti generiche e sostituzione della correlativa sanzione detentiva con la pena pecuniaria di specie corrispondente ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53.

I motivi non superano la soglia dell’ammissibilità.

L’esclusione del nesso della continuazione è stata decisa dalla corte distrettuale con una motivazione logica ed incensurabile in questa sede, avuto riguardo al "tempus commissi delicti", dato questo che correttamente può essere valutato dai giudici di merito per escludere la sussistenza del prospettato vincolo di continuazione (ex plurimis: (cass. pen. sez. 1, 44862/08, r.v. 242098).

Quanto alla revoca della sospensione condizionale della pena, la decisione della Corte di appello ha tenuto conto delle precedenti decisioni risultanti dal casellario e dell’ultima sospensione, per fatti commessi l’11 novembre 2005, avuto riguardo alla precisa spiegazione data sul punto dalla gravata sentenza, anche per i profili di non conversione della pena, e della non-iterabilità del beneficio.

Con un sesto motivo si deduce genericamente carenza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.

Il motivo per la sua formulazione è inammissibile e comunque altro non è che la sostanziale iterazione delle precedenti palesemente infondate censure.

All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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