CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE – 6 maggio 2011, n. 10007. In tema di garanzia autonoma a prima richiesta.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione alle norme imperative contenute negli artt. 130 r.d. 4 aprile 1925, n. 63, e 5 l. 10 giugno 1978, n. 295. Vizio di motivazione: art. 360, n. 5 c.p.c.”), la ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera A1), sostenendo che: a) quanto al primo argomento, i richiamati artt. 130 del r.d. n. 63 del 1925 e 5 della legge n. 295 del 1978, contrariamente a quanto affermato dai Giudici dell’appello, statuiscono il divieto del rilascio di vere e proprie fideiussioni – quale quella di specie rilasciata dalla Tirrena – da parte delle imprese di assicurazione; al riguardo, la ricorrente sottolinea che, se è vero che l’Allegato I alla legge n. 295 del 1978 contempla, tra i rami di assicurazione autorizzabili, quello del "credito", è anche vero che tale previsione riguarda esclusivamente la copertura dei rischi di credito, cioè i rischi inerenti alla posizione del creditore, come accade per i vari contratti di assicurazione del credito; del resto, il predetto divieto per le società di assicurazione di stipulare vere e proprie fideiussioni è confermato dall’orientamento della Corte di cassazione (viene richiamata la sentenza n. 4981 del 2001); b) quanto al secondo argomento, la disciplina codicistica di cui agli artt. 2384 e 2384-bis cod. civ. “attiene esclusivamente al campo delle limitazioni convenzionali dei poteri rappresentativi e non ha dunque niente a che vedere […] con le limitazione di fonte invece legale. […] quando il limite deriva dalla legge e colpisce direttamente la società non siamo più ovviamente sul terreno dei poteri rappresentativi dell’organo, ma su quello del divieto imposto alla persona giuridica rappresentata, con tutte le conseguenze che ne derivano anche e soprattutto ex art. 1418 c.c.”.
Con il secondo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 360, n. 3 c.p.c. Erronea esclusione di un mezzo di prova richiesto dalla parte su fatto decisivo, con vizio di motivazione: art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.”), la ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera A2), sostenendo che: a) essa intendeva dimostrare il denunciato conflitto di interesse del sottoscrittore della fideiussione, Avv. Mario Amabile, in quanto questi, al momento della sottoscrizione, rivestiva la qualità di amministratore sia dell’I.F.I. (società garantita) sia della Tirrena (società garante); b) tale circostanza, all’epoca della sottoscrizione – 1984 – era documentata soltanto dal libro dei soci, la cui consultazione era preclusa ai terzi estranei alla società; c) dunque, la mancata ammissione dei capitoli di prova per testimoni articolati al riguardo dalla Tirrena integra un vizio della decisione sub specie di violazione del diritto alla prova rilevante e decisiva – in ordine alla dedotta invalidità della fideiussione de qua.
Con il terzo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 360, n. 3 c.p.c. nonché vizio di motivazione: art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c., in relazione con gli artt. 1346, 1418, 1253 e 1939 c.c.”), la ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera A3), sostenendo che la Corte romana avrebbe completamente frainteso il motivo d’appello della Tirrena sul punto, avendo l’appellante dedotto che il contratto stipulato dall’I.F.I. con gli eredi P. in data 3 novembre 1984 doveva ritenersi nullo sulla base del seguente ragionamento: “L’accollo [dell’I.F.I.] trovava il suo indispensabile presupposto nella provvista e nel carattere fruttifero di questa, necessario a fornire i flussi finanziari occorrenti per soddisfare le ragioni del fisco. L’acquisto da parte di IFI di titoli obbligazionari dalla stessa emessi non poteva, tuttavia, se non determinare la loro estinzione per confusione. Il titolo obbligazionario è infatti un titolo di credito nel quale è incorporato un diritto verso l’emittente: ove nel corso della sua circolazione il titolo sia acquistato dall’emittente-debitore, la vicenda non può, se non altrimenti previsto in via di eccezione dalla legge, che produrre gli effetti indicati nell’art. 1253 c.c.”. Alla dedotta nullità del’obbligazione principale I.F.I. – P., per impossibilità dell’oggetto, conseguiva, pertanto, la nullità della fideiussione Tirrena – P., ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1939 cod. civ..
Con il quarto motivo (con cui deduce: “Violazione di legge e difetto di motivazione: art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c., in relazione con gli artt. 1227, 1362, 1365 e 1942 c.c.”), la ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera B), sostenendo che la Corte romana avrebbe erroneamente affermato la debenza di soprattasse ed ulteriori interessi da parte dell’I.F.I. e, quindi, della Tirrena, perché, quanto all’I.F.I., questa non doveva rispondere del ritardo nel pagamento delle rate residue, il ritardo medesimo essendo invece imputabile agli eredi P., e, quanto alla Tirrena, questa non doveva rispondere del pagamento di detti accessori, la lettera della fideiussione limitando il debito della garante soltanto alla sorte e, tra gli accessori, alla sola penale.
2. – Il primo motivo del ricorso merita accoglimento.
Quanto alla fattispecie sottostante a tale motivo, la sentenza impugnata riferisce, senza alcuna contestazione delle parti, che gli eredi P., chiesta la dilazione di pagamento dell’imposta di successione in dieci rate – ai sensi dell’art. 43, primo e quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, applicabile alla specie ratione temporis, commi che, rispettivamente, disponevano: “Al contribuente può essere concesso di eseguire il pagamento dell’imposta, delle soprattasse e pene pecuniarie e degli interessi a rate annuali posticipate [primo comma]”; “La dilazione può essere concessa a condizione che il contribuente presti idonea garanzia mediante ipoteca o cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato al valore di borsa, o fideiussione rilasciata da un istituto o azienda di credito o polizza fideiussoria rilasciata da un’impresa di assicurazione regolarmente autorizzata [quarto comma]” -, in data 3 novembre 1984, avevano stipulato con l’I.F.I. – Istituto Finanziario Italiano s.p.a. una convenzione, in forza della quale l’IFI si era assunta l’obbligo di pagare il predetto debito tributario limitatamente alle nove rate successive alla prima, ed ancora che, con la scrittura privata del 15 novembre 1984, la Compagnia Tirrena di assicurazioni s.p.a., dichiaratasi espressamente a conoscenza degli obblighi assunti dall’I.F.I. nei confronti di detti eredi, si era costituita fideiussore per il loro adempimento, con esclusione del beneficio della preventiva escussione.
Il motivo in esame pone la questione della invalidità – negata invece dalla sentenza impugnata – della fideiussione prestata dalla compagnia di assicurazione Tirrena alla società finanziaria I.F.I., perché rilasciata in violazione delle norme imperative di cui al combinato disposto degli artt. 130 del regio decreto 4 gennaio 1925, n. 63 (Approvazione del regolamento per l’esecuzione del regio decreto-legge 29 aprile 1923, n. 966, concernente l’esercizio delle assicurazioni private) – secondo cui “È vietato ad ogni impresa di assicurazione, di riassicurazione, di capitalizzazione, di risparmio di fare operazioni estranee all’esercizio delle dette industrie” -, e 5, secondo comma, della legge 10 giugno 1978, n. 295 (Nuove norme per l’esercizio delle assicurazioni private contro i danni) – secondo il quale “Le società e gli istituti di cui al precedente comma [le società che si costituiscono in Italia e che hanno per oggetto l’esercizio sul territorio della Repubblica delle assicurazioni contro i danni] debbono limitare l’oggetto sociale all’esercizio dell’attività assicurativa, riassicurativa e di capitalizzazione e delle operazioni connesse a tali attività, con esclusione di qualsiasi altra attività commerciale” -, applicabili alla specie ratione temporis.
La ratio di tali disposizioni e del divieto in esse contenuto è stata da tempo, e condivisibilmente, individuata da questa Corte “proprio nella volontà della legge di evitare che i capitali formati con i premi siano 7 impegnati in operazioni economiche alle quali non è applicabile […] il procedimento tecnico che è alla base della gestione assicurativa” (così la sentenza n. 1759 del 1992). La successiva sentenza n. 21247 del 2010 ha ulteriormente precisato: “Come è stato evidenziato in dottrina, […] con il R.D.L. 29 aprile 1923, n. 966, integrato dai regolamenti del R.D. 4 gennaio 1925, n. 63, si attuò una riforma del mercato assicurativo estremamente significativa, prevedendosi, tra l’altro, la necessità di un rigoroso rispetto delle procedure tecniche e finanziarie da parte delle imprese assicuratrici; privilegiando l’accertamento della solvibilità della singola compagnia nei confronti dei propri assicurati, anche in considerazione dell’inversione del ciclo di produzione, su cui si fonda lo stesso rapporto assicurativo”.
La questione ha già formato oggetto di esame, anche molto recente, da parte di questa Corte.
Infatti, con la citata sentenza n. 21247 del 14 ottobre 2010 – in una fattispecie molto simile a quella de qua -, è stato enunciato il principio di diritto, per il quale il divieto di compiere operazioni estranee rispetto a quelle di assicurazione, riassicurazione, capitalizzazione e risparmio, gravante sulle compagnie assicuratrici ai sensi dei richiamati artt. 130 del r.d.l. n. 63 del 1925 e 5, secondo comma, della legge n. 295 del 1978 comporta che la prestazione di garanzia autonoma e di garanzia autonoma a prima domanda, (nella specie assunte da impresa poi ammessa alla liquidazione coatta amministrativa) è affetta da nullità, per contrarietà a dette norme imperative, ai sensi dell’art. 1418, primo comma, cod. civ., trattandosi di operazioni che non possono essere previste dall’oggetto sociale dell’impresa assicuratrice, e non di operazioni od atti non contemplati dall’oggetto sociale che potrebbero ricadere nel regime di opponibilità stabilito dall’art. 2384 cod. civ. (nella fattispecie la Corte, decidendo nel merito, ha respinto l’opposizione allo stato passivo proposta da un istituto bancario, in qualità di creditore garantito da garanzia autonoma a prima richiesta rilasciata da impresa assicurativa in liquidazione coatta amministrativa).
Ancor prima, con la sentenza n. 4981 del 2001, erano stati affermati i principi, secondo cui la qualificazione di un contratto di garanzia fideiussoria, rilasciata da una società assicuratrice, in termini di polizza fideiussoria ovvero di fideiussione vera e propria rileva ai fini della declaratoria di validità ovvero di nullità della stipulazione, atteso che la conclusione di un contratto di fideiussione è inibita alle compagnie assicuratrici dal combinato disposto degli artt. 130 del r.d. n. 63 del 1925 e 5, secondo comma, della legge n. 295 del 1978, e secondo cui l’accertamento della natura giuridica del negozio così concluso è questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice del merito, la cui decisione è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici.
Alla luce di tali principi – che il Collegio condivide ed ai quali intende dare continuità -, va sottolineato che, nella specie, da quanto riferito dalla Corte romana sia nello "Svolgimento del processo" sia nei "Motivi della decisione", non emerge alcun elemento dal quale possa desumersi che la garanzia prestata dalla Società Tirrena presentasse contenuti riconducibili allo schema della polizza o della assicurazione fideiussoria – quale ribadito dalla recente sentenza delle sezioni unite n. 3947 del 2010 (così come nella fattispecie alla base della citata sentenza n. 21247 del 2010) emergendo anzi che tale garanzia non prevedeva il pagamento di alcun premio, cioè di uno degli elementi fondamentali che connotano il contratto di assicurazione. Questa mancata previsione del premio – che induce ad una qualificazione della garanzia prestata dalla Tirrena come semplice fideiussione gratuita – costituisce significativa riprova della piena operatività, a maggior ragione nella specie, del predetto divieto e della conseguente radicale invalidità della stessa garanzia.
Dalle considerazioni che precedono discende che la Corte romana ha violato le norme di cui al combinato disposto degli artt. 130 del r.d. n. 63 del 1925 e 5, secondo comma, della legge n. 295 del 1978, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione alla censura accolta, con l’ulteriore conseguenza che tutti i restanti motivi di censura devono ritenersi assorbiti.
3. – Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con la reiezione della opposizione allo stato passivo della s.p.a. Tirrena-Compagnia di Assicurazioni in liquidazione coatta amministrativa, promossa con ricorso del 22 marzo 2001 da A.S. ved. P., P.G. e R., i quali avevano proposto domanda di ammissione al passivo della Tirrena facendo valere un titolo – la fideiussione del 15 novembre 1984, appunto – nullo.
4. – La sostanziale novità della questione trattata giustifica la compensazione integrale delle spese sia del giudizio di merito sia del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, respinge la opposizione allo stato passivo della s.p.a. T. C. A. in liquidazione coatta amministrativa, promossa da A..S. ved. P., P.G. e R. con ricorso del 22 marzo 2001. Compensa le spese del giudizio di merito e di quello di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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