Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-10-2011) 09-11-2011, n. 40674 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro rigettava l’appello proposto da V.A. avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale con la quale era stata a sua volta rigettata l’istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, applicata per il reato di cui all’art. 74, commi 1, 2, 3 e 5, in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, lett. c), e comma 2, T.U. stup. (capo 1 bis), con quella degli arresti domiciliari.

Il Tribunale riteneva non accoglibile la richiesta di sostituzione della misura carceraria, stante la presunzione assoluta di adeguatezza prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3, superabile solo con l’acquisizione di elementi dimostrativi dell’insussistenza di esigenze cautelari, nella specie non ricorrente.

A tal fine, il Tribunale giudicava irrilevante il mero decorso del tempo e la documentazione prodotta dalla difesa, di incerta provenienza ed autenticità e comunque avente ad oggetto una attività coincidente temporalmente con l’epoca della commissione dei delitti a lui ascritti e pertanto dimostrativa della compatibilità dello svolgimento dell’attività lavorativa con la consumazione dell’attività delittuosa.

2. Avverso la suddetta ordinanza, ricorre per cassazione il difensore del V., con cui deduce la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 275 c.p.p., comma 3, in quanto il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto l’ordinanza cautelare emessa per i medesimi reati del correo V.M., mentre al ricorrente risultava contestato soltanto l’ipotesi delittuosa D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73. Lamenta altresì che le affermazioni generiche del Tribunale non avrebbero tenuto conto della mancanza di pendenze o denunzie dalla data del 2007 al momento della cattura.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.

2. Deve preliminarmente osservarsi che, contrariamente all’assunto del ricorrente, l’ordinanza cautelare è stata applicata all’indagato solo per il reato associativo (capo 1 bis, cfr. pagg. 117 e 210).

L’ordinanza impugnata resiste altresì alle censure del ricorrente quanto alla presunzione iuris tantum di pericolosità derivante dall’art. 275 c.p.p., comma 3. La motivazione dell’ordinanza è infatti congrua e logica, in quanto da atto che, nella fattispecie, non vi è stato alcun elemento di novità rispetto alla situazione originaria esistente al momento dell’applicazione della misura cautelare e che il tempo trascorso non era elemento idoneo a ritenere la cessazione o l’attenuazione delle esigenze cautelari, se non accompagnato da altri elementi indicativi della modifica della situazione pregressa.

E’ infatti principio più volte affermato da questa Corte che il decorso del tempo dalla commissione del reato associativo, per il quale v’è un contesto di gravità indiziaria, assume rilievo al fine di superare la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari solo se e quando risulti con certezza che la persona sottoposta alle indagini abbia irreversibilmente rescisso i legami con l’organizzazione criminosa di appartenenza (tra le tante, Sez. 5, n. 24723 del 19/05/2010, Frezza, Rv. 248387). Ed il Tribunale ha ritenuto che l’attività lavorativa svolta dall’indagato non fosse elemento sintomatico della sua rescissione dall’organizzazione criminosa, posto che la stessa attività risaliva proprio all’epoca della commissione dei fatti delittuosi provvisoriamente contestati.

In merito, il ricorrente avanza censure non consentite in sede di legittimità, in quanto non inerenti ad errori di diritto o vizi logici della motivazione, ma a circostanze di fatto, tendenti ad una diversa ed alternativa interpretazione delle risultanze processuali.

3. Fondato è invece il ricorso in ordine alla valutazione dell’adeguatezza della custodia cautelare.

Con sentenza n. 231 del 2011, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 275 c.p.p., comma 3, secondo periodo, come modificato dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 2 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonchè in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla L. 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

Il Giudice delle leggi, nel ribadire i principi costituzionali che devono guidare il legislatore nella disciplina delle misure cautelari, ha rilevato che la disciplina dettata dal secondo e dal terzo periodo dell’art. 275 c.p.p., comma 3 – inserita tramite una serie di interventi novellistici – si discosta vistosamente dalle coordinate che devono caratterizzare il sistema cautelare: ovvero predisporre una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale (modello della "pluralità graduata"), e prefigurare, in corrispondenza, criteri per scelte "individualizzanti" del trattamento cautelare, coerenti ed adeguate alle esigenze configurabili nei singoli casi concreti. Al contrario, la norma scrutinata stabilisce, rispetto ai soggetti raggiunti da gravi indizi di colpevolezza per taluni delitti, una duplice presunzione: relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari; assoluta, quanto alla scelta della misura, reputando il legislatore adeguata, ove la presunzione relativa non risulti vinta, unicamente la custodia cautelare in carcere, senza alcuna possibile alternativa.

Pur nella particolare gravità che il delitto di cui all’art. 74 cit., assume nella considerazione legislativa, la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia carceraria, secondo la Corte costituzionale, non risulta assistita da adeguato fondamento razionale, trattandosi di fattispecie, per così dire, "aperta", che, descrivendo in definitiva solo lo scopo dell’associazione e non anche specifiche qualità di essa, si presta a qualificare penalmente fatti e situazioni in concreto i più diversi ed eterogenei: da un sodalizio transnazionale, forte di una articolata organizzazione, di ingenti risorse finanziarie e rigidamente strutturato, al piccolo gruppo, talora persino ristretto ad un ambito familiare, operante in un’area limitata e con i più modesti e semplici mezzi.

Pertanto, secondo il Giudice delle leggi, la presunzione assoluta di adeguatezza sancita dalla norma censurata deve essere trasformata, in rapporto al delitto associativo in esame, in presunzione solo relativa, dovendo pertanto il giudice verificare che non siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

4. La pronuncia del Giudice delle leggi incide in modo centrale sul percorso logico-giuridico dell’impugnata ordinanza che si basava proprio sulla presunzione di adeguatezza ex lege della misura carceraria.

Si impone pertanto annullamento con rinvio perchè, avuto riguardo a tale sentenza della Corte costituzionale, il Tribunale valuti se, in relazione agli elementi emersi nel caso concreto, le esigenze cautelari possano essere soddisfatte, eventualmente, con altre, meno gravose, misure. La cancelleria provvedere alla comunicazione prevista dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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