Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 29-09-2011) 09-11-2011, n. 40672

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Napoli, adito quale giudice del riesame, annullava l’ordinanza emessa dal G.i.p. del medesimo Tribunale che in data 23 aprile 2011 aveva applicato ad M.A. la misura della custodia cautelare in carcere limitatamente ai capi da 2 a 6, confermandola nel resto.

M.A. era stato sottoposto alla misura cautelare, in quanto gravemente indiziato della partecipazione, con il ruolo di capo, all’omonimo clan camorristico operante con condotta perdurante dal 2004 in Afragola, Casoria, Arzano e località limitrofe (capo 1), e del concorso, con il ruolo di mandante, negli omicidi di matrice camorristica di D.P.S., P.R. e T.B.M., realizzati i primi due in Casoria l’11 febbraio 2009 ed il terzo in Napoli l’11 maggio 2009, nonchè nella illecita detenzione e porto di armi da fuoco, utilizzate per la commissione dei suddetti omicidi (capi da 2 a 6).

Riteneva il Tribunale che, mentre per il reato associativo sussistevano gravi indizi di colpevolezza, costituiti dalle convergenti dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, a diverse conclusioni doveva pervenirsi per i fatti omicidiari, in quanto la tesi accusatoria si fondava sulla sola chiamata in reità de relato del collaboratore E.B. (che aveva appreso da S.G. che mandante degli omicidi era M.A.), che non aveva trovato conferma in riscontri esterni individualizzanti. Ad avviso del Tribunale, non potevano considerarsi idonei riscontri gli elementi valorizzati dal G.i.p., costituiti da una intercettazione ambientale tra Z.A. e B. C. (cd. conversazione "(OMISSIS)"), dalle dichiarazioni dei collaboratori Mi. e Me. e dalla annotazione del 30 marzo 2011 del Dirigente della Squadra mobile di Napoli. Il Tribunale rilevava in particolare che il contenuto della suddetta conversazione ambientale risultava essere stato "interpretato" solo grazie alle spiegazioni rese da E.B. dopo che la stessa gli era stata letta nel corso di un interrogatorio, arricchendo il suo racconto di particolari fino ad allora non rivelati (nella specie, il pagamento di 60/70 mila Euro da parte dei M. per il duplice omicidio D.P. – P.). Quanto ai collaboratori Me. e Mi., il Tribunale evidenziava che il primo aveva confermato l’attribuzione del duplice omicidio genericamente alla famiglia Moccia, mentre il secondo, pur rendendo anch’egli una generica chiamata in reità estesa a tutta la famiglia, aveva riportato una informazione appresa de relato da C.C., che tuttavia nulla aveva riferito in ordine al mandato omicidiario da parte dei Moccia. Secondo i giudici a quibus, neppure l’annotazione del dott. Pi. della Squadra mobile di Napoli poteva costituire idoneo riscontro alle propalazioni dell’ E., in quanto la stessa non era utilizzabile, perchè riferiva di rivelazioni fatte al Dirigente da S.G., all’epoca fonte confidenziale, prima del suo assassinio in un agguato camorristico, e comunque, anche a volerla ritenere utilizzabile, la fonte diretta delle informazioni era pur sempre la stessa dell’ E., ovvero S.G..

2. Avverso la suddetta ordinanza, ricorrono per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli e l’indagato.

L’Ufficio ricorrente chiede l’annullamento del provvedimento impugnato per violazione di legge e per contraddittorietà ed illogicità della motivazione, in ordine alla valutazione del quadro indiziario per i reati di cui ai capi da 2 a 6.

Si deduce che il Tribunale del riesame, con motivazione contraddittoria, avrebbe da un lato ritenuto intrinsecamente attendibile la chiamata in reità operata da E.B. – per la coerenza del narrato esposto e per la precisione dei dettagli riferiti – e dall’altro avrebbe ritenuto scarsamente attendibile il suo racconto relativamente agli episodi omicidiari.

In modo illogico, il Tribunale non avrebbe attribuito autonoma forza dimostrativa al contenuto dell’intercettazione cd. "(OMISSIS)", che appariva invece di per sè chiaro. L’ E. avrebbe, già prima di ricevere lettura della stessa, fatto riferimento al duplice omicidio di Casoria e al versamento da parte del M. di una somma per tali delitti.

Risulterebbe inoltre erronea, oltre che illogica e contraddittoria, la motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non utilizzabile l’annotazione del dr. Pi., che aveva raccolto le confidenze di S.G. – appena 24 giorni prima che lo stesso venisse assassinato – sulla paternità degli omicidi, tutti attribuiti ad M.A.. Impropriamente il Tribunale avrebbe applicato il regime di utilizzabilità proprio delle fonti confidenziali, che ha come presupposto il non disvelamento della identità della "fonte" e quindi l’impossibilità della sua escussione. Illogica e contraddittoria, oltre che in violazione di legge, si presenterebbe la motivazione dell’ordinanza anche nella parte in cui la suddetta nota è stata ritenuta non poter costituire un riscontro alle dichiarazioni dell’ E., per l’unicità della fonte di conoscenza, posto che l’ E. aveva appreso degli omicidi da 5 fonti diverse e non solo da S.G..

Infine si deduce l’omessa valutazione dell’efficacia persuasiva di un importante elemento di riscontro delle dichiarazioni dell’ E., costituito dal movente dell’omicidio M.T.B..

3. Nell’interesse di M.A., il difensore di fiducia, avv. Saverio Senese, ha formulato cinque motivi di annullamento dell’ordinanza impugnata per la parte in cui ha confermato l’ordinanza cautelare per il reato associativo di cui al capo 1).

Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), con riferimento all’art. 649 cod. proc. pen., per l’illegittima duplicazione a carico del ricorrente del procedimento penale per i medesimi fatti – anche dal punto di vista temporale – per i quali è attualmente in corso di celebrazione, a suo carico, altro procedimento penale e per i quali si è formato in quel procedimento il giudicato cautelare. In particolare, la difesa evidenzia di aver rappresentato al giudice del riesame che il M., in altro procedimento, era stato rinviato a giudizio dinnanzi al Tribunale di Napoli per la partecipazione, nel medesimo ruolo, all’omonimo clan operante in Afragola ed altre località limitrofe a decorrere dal 1998 con condotta perdurante. In tale procedimento il M. era imputato in stato di libertà, avendo il Tribunale del riesame rigettato l’atto di appello del P.M., avverso la decisione del G.I.p. di non applicare nei confronti del predetto la misura cautelare.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge, in ordine alla ritenuta esistenza e attuale operatività del gruppo criminale M.. Il Tribunale avrebbe effettuato un integrale rinvio per relationem ad atti di altri procedimenti al quale M. era rimasto estraneo, atti tuttavia non allegati al presente procedimento, nè trasmessi dal P.M. al G.i.p. e al Tribunale del riesame, in tal modo violando l’art. 291 c.p.p., comma 1. Risulterebbero inoltre richiamate dai giudici a quibus due sentenze con le quali M.A. e M.L. sono stati condannati in primo grado, omettendo del tutto di rilevare che la difesa aveva eccepito nei motivi di riesame che le stesse erano state riformate in appello con l’assoluzione dei predetti.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione di legge e il vizio della motivazione. Il Tribunale, a seguito della violazione dell’art. 291 cod. proc. pen. come sopra esposta, avrebbe fornito una motivazione del tutto apparente, recependo acriticamente il percorso giustificativo dell’ordinanza genetica, utilizzando quali elementi di riscontro atti non allegati al presente procedimento, incorrendo così negli stessi travisamenti di dati decisivi, che erano stati analiticamente dedotti con i motivi di riesame.

Con il quarto motivo, si denunciano i vizi di motivazione e violazione di legge, in quanto il Tribunale avrebbe valorizzato le dichiarazioni di alcuni collaboratori, riproducendone il contenuto, omettendo di motivare sulla loro genericità incapacità dimostrativa ed inconferenza, non fornendo così alcuna risposta ai motivi di riesame. Sarebbe inoltre frutto di travisamento l’affermazione che le dichiarazioni di F.A. siano state riscontrate da E.B. con una chiamata diretta in ordine ad incontri con il M. per la spartizione di affari. Risulterebbe infine omessa ogni risposta sulla vicenda Cr., la cui valenza dimostrativa era stata oggetto di appositi rilievi.

Con l’ultimo motivo di ricorso, si denuncia violazione di legge e vizio della motivazione per l’illogica valutazione delle dichiarazioni di E.B., contemporaneamente definite attendibili per il capo 1) ed inattendibili per le restanti imputazioni, violando le regole sulla valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie. Sulla questione dell’attendibilità del dichiarante il Tribunale avrebbe omesso di fornire risposta alle doglianze difensive. Risulterebbe inoltre del tutto congetturale l’affermazione che l’ E. avrebbe operato una chiamata diretta, avendo riferito di un incontro con il M. per la spartizione di affari illeciti, mentre in realtà si trattava di meri favori personali chiesti a quest’ultimo.

In data 13 e 23 settembre 2011 sono state presentate dai difensori di fiducia di M., avv. Saverio Senese e avv. Gaetano Pecorella, due memorie difensive, nelle quali evidenziano profili di inammissibilità del ricorso del P.M..

Motivi della decisione

1. Il ricorso del Pubblico Ministero va rigettato.

Non è incorsa in vizio della motivazione l’ordinanza impugnata quanto alla valutazione della chiamata in reità operata da E. B. in relazione alla cd. conversazione "(OMISSIS)". Il Tribunale del riesame ha ritenuto che le dichiarazioni de relato di costui, pur intrinsecamente credibili, non risultavano utilizzabili non perchè – come sostiene l’Ufficio ricorrente – l’ E. fosse "scarsamente attendibile". Il ragionamento fatto dal Tribunale è un altro: dall’intercettazione "(OMISSIS)" emergerebbe soltanto il riferimento dei conversanti ad una somma di 60/70 mila Euro ed il collegamento di tale somma agli omicidi di Casoria è il frutto dell’interpretazione fornita dall’ E., una volta ricevutone lettura. In tal senso, il Tribunale ha ritenuto non utilizzabile il racconto dell’ E., posto che la suddetta conversazione non poteva costituire un idoneo elemento di riscontro individualizzante alle sue stesse propalazioni.

Non può ritenersi neppure fondato il rilievo dell’Ufficio ricorrente là dove sostiene che l’ E., già prima di aver ricevuto lettura della suddetta conversazione, aveva riferito del danaro pagato ai S. dal M. per il duplice omicidio di Casoria, precisandone solo nell’interrogatorio del 15 novembre 2011 l’ammontare. Tale osservazione avrebbe colto nel segno se la citata conversazione avesse avuto una inequivoca portata dimostrativa quanto al riferimento della somma ai delitti in esame. Come si è detto poc’anzi è stato solo l’ E. a "contestualizzare" la somma indicata dai conversanti riferendola al prezzo pagato dal M. per i delitti.

Inammissibile è la doglianza con cui l’Ufficio ricorrente contesta la lettura operata dal giudice del riesame della suddetta conversazione intercettata, sostenendone l’autonoma forza dimostrativa. Il ricorrente, omettendo di evidenziare contraddittorietà e illogicità manifeste intrinseche nella motivazione, si limita a proporre la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, con l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Va a tal riguardo ribadito il principio più volte affermato da questa Corte Suprema, secondo cui l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni intercettate costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (tra le tante, Sez. 6, n. 15396 del 2008, ud. 11/12/2007, Sitzia, Rv. 239636).

Priva di rilievo è la censura con cui l’Ufficio ricorrente contesta la ritenuta inutilizzabilità dell’annotazione del dr. Pi., che aveva raccolto le confidenze di S.G. sulla paternità degli omicidi. Il Tribunale ha infatti escluso che tale annotazione potesse fungere da riscontro esterno alle dichiarazioni dell’ E. – non solo in forza del supposto divieto di cui all’art. 203 cod. proc. pen. – ma soprattutto perchè entrambe le dichiarazioni de relato dell’ E. e del Pi. avevano come la fonte diretta di conoscenza pur sempre il solo S.G., deceduto il (OMISSIS). In tale prospettiva, la questione dell’utilizzabilità delle dichiarazioni assunte da un informatore di polizia che sia deceduto prima della loro verbalizzazione non assume rilievo decisivo nel ragionamento probatorio del Tribunale ed esime questa Corte da affrontarla.

Generico è il motivo con cui si denuncia l’erronea valutazione da parte del Tribunale del carattere unitario della fonte di conoscenza dell’ E. e del Pi.. L’Ufficio ricorrente si è limitato a contestare l’affermazione dei giudici a quibus, secondo cui era stato il solo S.G. a riferire all’ E. che M. A. fosse il mandante dei tre omicidi, senza tuttavia suffragare la validità del suo assunto con la necessaria autosufficienza del ricorso.

Quanto infine all’omessa valutazione dell’efficacia persuasiva del movente dell’omicidio di B.T., va ribadito che il sindacato di legittimità sulla valutazione delle chiamate di correo non consente il controllo sul significato concreto di ciascun elemento di riscontro, perchè un tale esame invaderebbe inevitabilmente la competenza esclusiva del giudice di merito, potendosi solo verificare la coerenza logica delle argomentazioni con le quali sia stata valutata la valenza dei vari elementi di prova, in sè stessi e nel loro reciproco collegamento (tra le tante, Sez. 5, n. 2086 del 2010, ud. 17/09/2009, Lucchese, Rv. 245729). Sul punto, basti osservare che il movente dell’omicidio T., se poteva costituire un fattore di coesione degli altri indizi acquisiti, di per sè non poteva certo rappresentare il sufficiente riscontro individualizzante alle dichiarazioni dell’ E., posto che è lo stesso Ufficio ricorrente ad ammettere che era la "famiglia" Moccia – e non il solo indagato – a voler vendicare la morte del boss di Afragola M.G., ucciso trent’anni prima.

2. E’ fondato invece il ricorso del M. nei termini di seguito precisati.

Appare pregiudiziale ed assorbente la doglianza con cui il ricorrente denuncia la duplicazione delle iniziative processuali avviate nei suoi confronti dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli in relazione al medesimo fatto associativo.

Va ribadito infatti il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui, nell’ipotesi di litispendenza tra procedimenti nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M., anche se pendenti in fase o grado diversi, che abbiano ad oggetto il medesimo fatto attribuito alla stessa persona, viene a configurarsi una preclusione, fondata sul principio generale del ne bis in idem, che determina l’impromovibilità dell’azione penale nel secondo procedimento (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231800). Ne consegue pertanto che, in presenza di una siffatta situazione di litispendenza, non è consentito iniziare per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona un nuovo procedimento e adottare in tale ambito un provvedimento cautelare personale.

Nel caso in esame, risulta dagli atti che il ricorrente aveva rappresentato in sede di riesame, con la produzione di copia del decreto del G.u.p. del Tribunale di Napoli del 17 ottobre 2006 che aveva disposto il giudizio nei confronti di M.A. per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. (allegato n. 9 della istanza di riesame), la ricorrenza di una situazione di litispendenza nei termini sopra indicati. Il Tribunale della libertà ha tuttavia del tutto eluso il problema dell’eventuale operatività, nel caso in esame, del divieto del ne bis in idem.

Poichè l’accertamento delle condizioni di operatività della suddetta preclusione non può essere svolto dalla Corte di cassazione, in mancanza dei necessari elementi conoscitivi (in particolare, quanto alla cessazione della permanenza del reato associativo contestato nel procedimento parallelo), l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Napoli, che dovrà chiarire se il fatto oggetto dell’ordinanza custodiale in atto sia o no ricompreso in quello oggetto del procedimento pendente dinnanzi al Tribunale di Napoli, dovendo nel caso affermativo tener conto del principio di diritto innanzi enunciato ed adottare le determinazioni conseguenti.

Non comportando la presente decisione la rimessione il libertà del M., la cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso di M.A. annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli. Rigetta il ricorso del P.M.. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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