Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 09-11-2011, n. 40648 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Il GIP Locri, su richiesta della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, disponeva in via d’urgenza, nell’ambito di una vasta indagine che determinava l’emissione di misure cautelari personali nei riguardi di numerosi indagati e misure cautelari reali, il sequestro preventivo dell’Hotel Ristorante Miramare di Zavaglia Carlo & C. s.a.s., avente sede in (OMISSIS), in riferimento alla provvisoria imputazione, elevata in capo ad A. R., A.G., A.D., T.R., T.D., G.G., Z.C. e T. S., in relazione al delitto di cui agli artt. 110 e 81 cpv, c.p., D.L. 8 giugno 1992, art. 12 quinquies, conv. con L. 7 agosto 1992, n. 356, L. n. 203 del 1991, art. 7.

Il provvedimento provvisorio veniva confermato il 4.8.2010 con decreto del GIP del Tribunale di Reggio Calabria.

Il Tribunale di Reggio Calabria, investito di istanza di riesame di tale decreto da parte di T.S., respingeva la richiesta confermando il sequestro preventivo dell’attività economica ritenuta di fatto nella disponibilità della famiglia Aquino di Gioiosa Ionica.

Nell’ambito degli accertamenti relativi all’appalto per la realizzazione degli ammodernamenti ed ampliamenti della (OMISSIS), aggiudicati alla GIOIOSA S.C.A.R.L., società consortile a responsabilità limitata, con sede in Gioiosa Ionica, ed ad alcuni episodi di danneggiamento patiti nel 2007 dalla suddetta società, emergeva che sia la famiglia degli Aquino che quella dei Mazzaferro stavano entrando nei lavori oggetto del grosso appalto, sia in relazione alla fornitura di calcestruzzo che ai lavori di movimento terra.

Uno dei primi significativi rapporti commerciali sul territorio la GIOIOSA S.C.AR.L. lo intraprende con l’Hotel Miramare, struttura alberghiera riconducibile agli Aquino, nella quale alloggiano i dirigenti dell’impresa in diverse occasioni, e la rivalità tra le famigli Mazzaferro e Aquino, da luogo ad alcuni fatti di danneggiamento nei confronti dell’impresa appaltatrice. Con la capillare attività di indagine seguita ai danneggiamenti sono stati raccolti elementi di specifica rilevanza dimostrativa rispetto alle attività svolte dai componenti delle due famiglie per imporre all’impresa le imprese locali da loro controllate sia per la fornitura dei materiali che per i servizi di cantiere, dettando i relativi prezzi, attività che si sono protratte dall’inizio sino alla chiusura del cantiere nel marzo 2008.

Riguardo al sequestro dell’Hotel Miramare la richiesta del PM era fondata sul presupposto che l’azienda fosse suscettibile di confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 416 bis c.p., comma 7, o quantomeno a confisca facoltativa ex art. 240 c.p., comma 1, in relazione alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinqiues.

Il tribunale del riesame ritiene, in ciò concordando con il GIP, che il provvedimento cautelare reale doveva essere inquadrato nella previsione dell’art. 240 c.p., comma 1, sussistendo, alla luce degli esiti investigativi riversati in atti, il fumus in relazione al delitto di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies e, pertanto potesse essere sottoposto a sequestro ex art. 321 c.p.p., comma 2.

La struttura alberghiera, formalmente gestita dalla società "Hotel Ristorante Miramare di Zavaglia Carlo & C. s.a.s." deve infatti ritenersi di proprietà dei fratelli A.R., A. G. ed A.D. come comprovato dalle investigazioni svolte anche attraverso i servizi di intercettazione telefonica ed ambientale.

La società proprietaria dell’attività alberghiera, come rileva il Tribunale, è costituta dal novembre 2003 da due soci T. S., socio accomandante in possesso della maggior parte delle quote e Z.C.D., socio accomandatario. E’ significativo al riguardo che tutti i lavori di ristrutturazione dell’albergo siano stati seguiti direttamente e personalmente da A.R., che ha tenuto i contatti con l’architetto, con le aziende fornitoci di suppellettili e materiali vari, e con la manodopera specializzata, occupandosi personalmente delle decisioni sui beni da acquistare, della scelta dei materiali e delle insegne e dell’assunzione del personale. Le operazioni di ristrutturazione erano già in corso quando sono state avviate le operazioni di intercettazione e dal contenuto delle stesse emerge che fu proprio l’ A. a occuparsi delle stesse, oltre che dell’organizzazione della festa per l’inaugurazione dei nuovi locali e, in seguito anche di ricevere prenotazioni e ad effettuare altre attività di Gestione alberghiera. La sua costante presenza nell’albergo e l’utilizzo dello stesso per i suoi incontri è dimostrato dalle numerose intercettazioni e dai concomitanti controlli de visu delle forze dell’ordine. In tal senso depone anche il colloquio captato tra Ta.Vi. e M.R. il 25.7.2009 all’interno dell’autovettura del Ta.. Così come il contenuto della telefonata intercettata il 24.8.2008 tra A.G. e tale M., le dichiarazioni raccolte dai carabinieri di persone che avevano conosciuto A.R. come proprietario dell’albergo, ovvero avevano avuto con lo stesso rapporti di lavoro nell’ambito dell’attività alberghiera, dichiarazioni precise e circostanziate non smentite da quanto affermato da Z.C.D..

L’occulta intrusione degli Aquino nella gestione di fatto e nella titolarità dell’attività alberghiera è stata anche oggetto delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Ma.Ro..

A fronte di tali risultanze sono non condivisibili, secondo i giudici del riesame le argomentazioni difensive concernenti la nascita e i successivi sviluppi dell’attività impiantata nel 1958 dalla famiglia Todino la suddetta attività, infatti, da un certo momento in poi è passata nella concreta e fattuale disponibilità dei fratelli A. i quali, per sottrarsi ad eventuali provvedimenti ablatori, hanno lasciato che la stessa continuasse ad essere formalmente intestata ai precedenti titolari formali.

Nè ciò è smentito dalla scrittura privata prodotta dalla difesa ed asseritamente intervenuta, il 13.3.2006, tra A.R. e T. S. per la cessione al primo di quote sociali pari ad Euro 35.000,00 e la costituzione di un diritto di prelazione. Si tratta infatti di scrittura privata non registrata e che, in ogni caso, non escluderebbe il fumus in relazione alla sussistenza del reato posto che, comunque, l’ A. da socio minoritario avrebbe comunque di fatto esercitato, come visto, la titolarità assoluta della impresa e della sua gestione. Stante quindi la sussistente immanenza della pericolosità sociale derivante dal mantenimento del possesso dell’attività economico-imprenditoriale che costituisce il prodotto del reato di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, delitto istantaneo con effetti permanenti e per la natura del bene produttivo di utili, suscettibile di produrre reiterazione del reato, confermava il sequestro preventivo disposto dal GIP. 2.- Avverso il decreto ha proposto ricorso per cassazione l’avvocato Sandro Furfaro, difensore di T.S., deducendo:

a) Violazione di legge per errata applicazione del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies e art. 321 c.p., comma 2, carenza e manifesta illogicità di motivazione in punto di attribuzione fittizia del bene.

Sostiene il ricorrente che l’impianto accusatorio fatto proprio dall’ordinanza impugnata, è inconsistente in quanto fondato su mere presunzioni non in grado di superare l’ostacolo dell’esistenza di un fumus relativamente alla commissione del delitto di cui all’art. 12 quinquies infatti l’argomentare dei giudici del riesame si impernia sulla supposizione che dai contati tra l’ A. e l’azienda Hotel Miramare discenda, quasi direttamente, l’ipotesi di fraudolento trasferimento di valori, comportante l’esistenza di una proprietà effettiva della struttura alberghiera diversa da quella formale, volta all’elusione di possibili applicazioni della normativa penale o di prevenzione. Per supportare l’ipotesi di accusa si è proceduto a forzature e inverosimiglianze basate su avvistamenti e intercettazioni, senza considerare alcuna delle vicende che hanno segnato le tappe della società Miramare, che pure erano state evidenziate nella memoria difensiva e, a fronte dei dati formali e documentali evidenziati, si è voluto attribuire la reale proprietà della società all’ A., sostenendo una interposizione fittizia dei soci sostenuta sulla scorta di circostanze dubbia rilevanza proprio in tema di sussistenza della fittizia attribuzione e del tempo della sua commissione. Nel caso di specie la totale signoria sulla res, che si realizza con la situazione di apparenza giuridica e formale della titolarità del bene, difforme dalla realtà e che costituisce, se consapevolmente attuata, il delitto di cui trattasi, non si è realizzata. Manca, infatti, la certezza della fittizia attribuzione e l’individuazione del tempus della ipotizzata attribuzione fittizia a fronte di un reato a consumazione istantanea seppure con effetti permanenti. Il permanere, poi, degli effetti antigiuridici dopo la consumazione del reato deve essere tenuto distinto, in quanto non punibile, da situazioni in cui alla prima condotta ne seguano altre volte ad ostacolare la tracciabilità dei beni e dei valori, che invece, integrano nuovi reati di trasferimento fraudolento. Ai fini dell’individuazione del tempo del commesso reato, deve quindi farsi riferimento a quello della ultima operazione simulata posta in essere con la volontà specifica di ostacolare l’individuazione della reale proprietà dei beni; ma sul punto manca qualunque valutazione da parte dei giudici del riesame, che si limitano a riprodurre l’assunto accusatorio. In sostanza, sostiene il ricorrente, manca nell’ordinanza qualunque ragione logica o giuridica che consenta di inquadrare la fattispecie concreta nell’ambito dell’art. 12 quinquies, del quale difettano tutti gli elementi costitutivi.

La presenza dell’ A. infatti trova logica spiegazione nel contenuto della scrittura privata prodotta in sede di riesame e superficialmente non considerata perchè ritenuta non autenticata.

Sul punto deve essere rilevato che la mancata pubblicità, tramite registrazione, non comporta la nullità dell’atto ma una mera irregolarità, dovuta al fatto che l’ A. non poteva ancora dirsi socio della società in accomandita non avendo ancora completato il pagamento dei ratei di acquisto della quota.

Dunque l’ A. era un socio di fatto, sottoposto alla condizione del pagamento integrale del corrispettivo pattuito per l’acquisto della quota societaria e, in quanto tale ben poteva partecipare all’attività aziendale per la quota sottoscritta l’autenticazione dell’atto sarebbe successivamente servita per le ipotesi di pubblicità da espletarsi dopo il pagamento integrale e per l’opponibilità ai terzi, pur essendo l’atto del tutto valido nei rapporti intrasocietari, con conseguente esclusione dell’elemento soggettivo del dolo specifico della fittizia attribuzione. Poichè la proprietà del titolo inter partes, si trasferisce con il semplice accordo liberamente manifestato non è chiaro perchè all’atto intervenuto tra il lodino ed A.R. l’ordinanza attribuisca, illogicamente, la connotazione di mero paravento. Apodittica dunque l’affermazione di irrilevanza della scrittura posto che essa è fondamentale ai fini della configurabilità del reato e della conseguente esperibilità del sequestro preventivo. Manca infatti nel complesso l’attività di attribuzione, potendosi al limite individuare nella condotta dell’ A., quale socio di fattole anche se di minoranza, una gestione di fatto non integra il reato di ci all’art. 12 quinquies, in mancanza della prova della attribuzione della società ad altri nella sua globalità. 3.- Il Procuratore Generale Dott. Gabriele Mazzotta ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nei limiti di cui alle seguenti motivazioni.

1.- Preliminarmente deve essere rilevato che secondo il consolidato insegnamento di questa Corte il ricorso per Cassazione avverso i provvedimenti emessi in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in indicando e in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o, comunque, privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza tanto da risultare inidoneo a rendere comprensibile il percorso logico seguito dal giudice (cfr. Sez. Un. 29.5.2008, n. 25932, rv. 239692).

E’ altresì principio di diritto pacifico quello secondo il quale nella verifica dei presupposti per l’emanazione del sequestro preventivo di cui all’art. 321 c.p.p., comma 1, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma, nel valutare la ricorrenza del c.d. fumus commissi delicti, deve tenere conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, non occorrendo la sussistenza d’indizi di colpevolezza o la loro gravità, ma solo elementi concreti conferenti nel senso della sussistenza del reato ipotizzato (Cass. Sez. 5, sent. 15.7.2008 n. 37695, Rv. 241632; Cass. Sez. 4, sent. 29.1.2007, n. 10979, Rv. 236193; si veda in tal senso Corte cost. ord. n. 153 del 2007).

E’, quindi, da escludere che il sequestro preventivo possa trovare sufficiente base giustificativa nella sola astratta configurabilità del reato contestato, quale risultante dai termini dell’imputazione formulati dal P.M., dato che, se così fosse, l’imposizione del vincolo cautelare reale sarebbe rimessa alle insindacabili scelte dell’organo dell’accusa e si risolverebbe in un abuso (Cass., Sez. 6, sent. 20.8.1992, Fiorito, Rv. 191734). 11 giudice della cautela è tenuto, dunque, a fare necessariamente riferimento alla realtà effettuale emergente dagli atti.

Dalle considerazioni che precedono consegue che il requisito del fumus commissi delicti deve essere verificato dal giudice non solo con riguardo alle risultanze processuali in base alle quali vengono ritenuti esistenti il reato configurato e la conseguente possibilità di sussumere la fattispecie concreta in quella astratta, ma anche con riferimento agli elementi che, per consistenza e significato, consentano una ragionevole delibazione, allo stato degli atti, di un concreto grado di probabilità logica e di successo della prospettazione accusatoria.

2.- Nel caso di specie è mancata da parte del giudice del riesame la necessaria disamina fattuale degli estremi integranti il reato attribuito.

Invero il delitto di trasferimento fraudolento di valori previsto dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, convertito nella L. n. 356 del 1992, è una fattispecie a forma libera che si concretizza nell’attribuzione fittizia della titolarità o della disponibilità di denaro o altra utilità realizzata in qualsiasi forma; il fatto- reato consiste, quindi, in una situazione di apparenza giuridica e formale della titolarità o disponibilità del bene, difforme dalla realtà, e nel realizzare volontariamente tale situazione al fine di eludere misure di prevenzione patrimoniale o di contrabbando ovvero al fine di agevolare la commissione di reati relativi alla circolazione di mezzi economici di illecita provenienza.

Si tratta, poi, di un delitto che ha natura di reato istantaneo con effetti permanenti (S.U. Sent. 28.2.2001, n. 8, Rv. 218768) e si consuma nel momento in cui viene realizzata l’attribuzione fittizia.

3.- L’ordinanza oggetto di gravame si è particolarmente diffusa sugli elementi relativi alla gestione di fatto, da parte di A. R. ed A.G. della società Hotel Ristorante Miramare", ma ha omesso, confondendo le distinte nozioni di "attribuzione" e di "gestione di fatto" (Cass. Se. 1, Sent.

26.4.2007, n. 30165, Rv.237595), di verificare e valutare, individuandone le concrete modalità anche in termini temporali, le condotte di dissimulazione ed occultamento della titolarità e disponibilità dell’attività economica di cui trattasi. Ciò argomentando sul presupposto che la sola gestione di fatto da parte degli A. fosse sufficiente ad integrare il fumus dell’attribuito reato, senza raccordare quell’elemento con la data di ipotizzata commissione del reato stesso, individuata nell’imputazione provvisoria ai nel novembre 2003 ed in epoca precedente, con la circostanza che le captazioni e le altre attività investigative di significato e spessore riguardano episodi a partire dal 2008 e senza fare alcun richiamo, con riferimento all’epoca del commesso reato, circa la ricorrenza della causale tipica del delitto che è quella di eludere misure di prevenzione patrimoniale o di contrabbando o di agevolare la commissione di reati relativi alla circolazione di mezzi economici di illecita provenienza.

4.- Se è vero, poi, che il termine "attribuzione" prescinde da un trasferimento in senso tecnico-giuridico o, per meglio dire, non descrive quali debbano essere le modalità della fittizia attribuzione, rimandando, non a negozi giuridici tipicamente definiti ovvero a precise forme negoziali, ma piuttosto ad una indeterminata casistica, individuabile soltanto attraverso la comune caratteristica del mantenimento dell’effettivo potere sul bene "attribuito" in capo al soggetto che effettua l’attribuzione (Cass. Sez. 2, sent.

9.7.2004, n. 38733, Rv. 230109), è altrettanto vero che ai fini della configurabilità del reato è, comunque, necessario che una qualsivoglia condotta sia individuata, sia al fine della sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta prevista dalla legge, che per giungere a una ragionevole delibazione, allo stato degli atti, di un concreto grado di probabilità logica e di successo della prospettazione accusatoria, nelle quali si compendia il requisito del fumus commissi delicti. Nel caso di specie le vicende societarie dell’attività economico imprenditoriale oggetto del sequestro, per come descritte nel provvedimento gravato, non palesano alcuna evidenza in relazione a passaggi che abbiano giustificato la necessità di procedere ad interposizione fittizia, nè vengono indicati elementi riferibili alla situazione economica dei soci palesi, all’epoca dei fatti, che supportino l’assunto che essi si siano prestati, con la richiesta consapevolezza, a dissimulare una situazione proprietaria e di attribuzione di quote societarie diversa da quella apparente.

5.- L’omessa motivazione sui punti evidenziati impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

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