Cassazione civile anno 2005 n. 1823 Indennità di espropriazione Opposizione al valore di stima dei beni espropriati

ESPROPRIAZIONE PER P.U. REVOCAZIONE RINVIO CIVILE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
La Corte di appello di Torino, decidendo quale giudice di rinvio della Corte di Cassazione, ha determinato l’indennità dovuta dal comune di Torino all’istituto Nazionale della Previdenza Sociale per l’espropriazione dei terreni di proprietà di detto ente (in catasto all’art. 10127, fg. 91, l’art. 777, 779 e 782) nella misura di L. 78.920.000 ed in L. 94.375.000 gli interessi compensativi per il ritardo nel deposito; e dato atto che l’amministrazione comunale aveva depositato per tali causali rispettivamente l’importo di L. 123.500.000 e di L. 59.101.782, ha ordinato alla Cassa Depositi e Prestiti di restituire all’ente espropriante la differenza di L. 9.306.782.
Ha osservatosi)che il valore dell’area doveva essere determinato con riferimento all’indice di edificabilità di 2,65 mc/mq., proprio di quel terreno all’epoca del decreto ablativo in quanto incluso in zona B2 del P.R.G. di quel comune; 2) che avendo il comune depositato a titolo di indennità di espropriazione la sudetta somma di L. 123.500.000 residuava a credito dello stesso l’importo di L. 44.580.000,compensato parzialmente dagli interessi dovuti dall’ente a far data dal decreto ablativo (27 novembre 1981) nella misura di L. 94.375.000,ma versati nella minor somma di L. 59.101.782.
Per la cassazione della sentenza il comune di Cuneo ha proposto ricorso per 3 motivi; cui resiste con controricorso l’, il quale ha formulato a sua volta ricorso incidentale per un motivo.

Motivi della decisione
Con il ricorso incidentale che va esaminato con precedenza per il tuo carattere pregiudiziale l’, deducendo violazione dell’art. 1117 cod. civ., nonchè erronea motivazione, addebita alla Corte di appello di aver recepito la valutazione dell’area compiuta dal c.t.u. sul presupposto che su di essa entrambe le parti concordavano:
smentito dalle proprie contestazioni (avanzate anche mediante consulenza di parte) in ordine alla detrazione del 15% eseguita dall’ausiliare sul valore del terreno rappresentato dalla potenzialità edificatoria, per il fatto che dalla stessa doveva essere detratto la superficie delle parti comuni; che invece costituiscono un accessorio necessario dei singoli appartamenti e contribuiscono a determinarne il maggior valore.
Il motivo è inammissibile.
Questa Corte, infatti, con sentenza n. 1817 del 7 marzo 1996, in accoglimento del ricorso del comune di Cuneo – che era la sola parte impugnante – contro la sentenza 26 ottobre 1990 della Corte di appello di Torino,con cui l’indennità di espropriazione dovuta all’INPS era stata liquidataci sensi dell’art. 39 della legge 2359 del 1865, nella misura complessiva di L. 123.500.000, corrispondente al valore di L. 62.770 al mc. alla data del decreto di esproprio, ha statuito che detto indennizzo andava invece determinato con il più riduttivo criterio di cui all’art. 5 bis della legge 359 del 1992, sopravvenuta nelle more del giudizio ed ha rinviato allo stesso giudice di merito per eseguire la stima in base al nuovo parametro legale.
Pertanto,attesa la struttura del giudizio di rinvio, configurato dall’art. 394 cod.proc.civ. come un processo chiuso,tendente ad una nuova statuizione – nell’ambito fissato dalla sentenza di cassazione – in sostituzione di quella cassata, il solo compito devoluto al giudice di rinvio era quello di sostituire il criterio di calcolo dell’indennità utilizzato dalla prima sentenza che l’aveva commisurato all’intero valore venale dell’immobile alla data del decreto di espropriazione, con quello più favorevole all’amministrazione espropriante introdotto dal menzionato art. 5 bis che considera, invece, la semisomma di detto valore e del reddito dominicale rivalutato di cui agli art. 24 e segg. del d.p.r. 917 del 1986: fermo restando il limite massimo di stima del fondo espropriato in L. 62.770 al mq. che in nessun caso poteva essere aumentato posto che questa valutazione del terreno era stata censurata dal solo camma di Cuneo e non anche dall’Istituto espropriato; e che, dunque, in relazione al carattere dispositivo dell’impugnazione, i poteri del giudice di rinvio vanno determinati con esclusivo riferimento all’iniziativa delle parti, con la conseguenza che in assenza di impugnazione incidentale della parte parzialmente vittoriosa, la decisione del giudice di rinvio non può essere più sfavorevole, nei confronti della parte che abbia impugnato, di quanto non sia stata la sentenza oggetto di gravame, e non può quindi dar luogo alla sua reformatio in peius in danno di quest’ultima (Cass. 19 gennaio 1999 n. 465/6 maggio 1997 n. 3941; 15 aprile 1994 n. 3557).
Sennonchè, la Corte di rinvio, dopo aver correttamente premesso che in base alla nuova norma la destinazione urbanistica dell’area doveva essere valutata al momento del decreto di espropriazione (in cui era pacificamente edificatoria ed aveva indice fondiario 2,65), invece di limitarsi ad applicare il parametro più riduttivo introdotto dall’art. 5 bis sul valore venale del bene come determinato dalla precedente decisione e non impugnato dall’Uranio ha ricalcolato ex novo pervenendo al prezzo di mercato ben più elevato di L. 156.900.000, corrispondente a L. 79.700 mq., sul quale ha eseguito l’operazione riduttiva indicata dalla nuova norma, che ha comportato la stima dell’indennità nella misura di L. 7 8.920.000, superiore all’importo che si sarebbe ottenuto ove il meccanismo dell’art. 5 bis fosse stato applicato sul valore venale del terreno determinato dalla prima decisione della Corte di appello.
Per cui, se è vero che il Comune non ha fatto valere la violazione sudetta dell’art. 394 cod.proc.civ., è pur vero che all’istituto è precluso di prospettare vizi inerenti alla valutazione dell’immobile che non furono dedotti nel primo giudizio di merito, e che comporterebbero un’inammissibile ampliamento del thema decidendum rispetto a quello rigorosamente fissato dal giudice di legittimità;
e che in tale ottica il ricorrente incidentale difetta perfino di interesse a richiedere l’accertamento di un maggior valore del terreno che in nessun caso potrebbe comportare un indennizzo più elevato di quello determinato dalla sentenza impugnata superando il limite di cui si è detto.
Con il primo motivo di quello principale,’ amministrazione comunale, deducendo violazione dell’art. 49 della legge 2359 del 1865, censura la sentenza impugnata per aver attribuito all’istituto espropriato gli interessi sull’indennità di espropriazione, erroneamente individuandone la data iniziale, corrispondente alla emissione del decreto di esproprio, che era stato invece pronunciato il 28 gennaio 1982; nonchè quella finale che non doveva coincidere con la sentenza della Corte di appello (22 settembre 1990), ma con quella di deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti della somma di L. 123.500.000 (28 febbraio 1992), di cui la decisione aveva peraltro dato atto.
Anche questo motivo è inammissibile.
L’amministrazione comunale,pur dando atto che secondo la decisione sudetta il decreto ablativo sarebbe stato pronunciato il 27 ottobre 1991, ha inteso evidenziarne l’errore di lettura della data, assumendo che quest’ultima non era corretta, recando, invece, il provvedimento la data del 28 febbraio 1992; ed ha specificamente indicato il documento prodotto nel proprio fascicolo da cui risultava la data esatta onde far valere l’erroneità del decisum derivante da una errata percezione di tale risultanza di fatto da parte della Corte di Torino.
Sennonchè l’errore sudetto non può che tradursi in un errore di fatto nel quale detto giudice sarebbe incorso per una mera svista materiale nella lettura o nella trascrizione della data del decreto ablativo: errore rispetto al quale l’unico rimedio esperibile e quello della revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 4 cod.proc.civ. (Cass. 5475/2004; 657/2003; 11937/2002; 8023/2002).
Con il secondo motivo, il comune di Cuneo, deducendo altra violazione del menzionato art. 49, si duole che la sentenza abbia omesso di applicare il disposto della norma per cui gli interessi legali sono dovuti sulla somma ulteriore che l’espropriante è tenuto a depositare e fino alla data dell’effettivo deposito che nel caso era avvenuto il 28 febbraio 1992; per cui detti interessi ammontavano a sole L. 25.131.432 e risultavano ampiamente inferiori alla somma a tale titolo depositata da essa amministrazione in L. 59.101.782.
La censura è fondata.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’art. 49 della legge 2359 del 1865 fa carico all’Amministrazione espropriante di depositare presso la Cassa depositi e prestiti l’indennità di espropriazione amministrativamente liquidata; ed è del tutto pacifico che detto obbligo vale a maggior ragione per l’indennità definitiva determinata dalla Commissione provinciale di cui agli art. 15 e 16 di quest’ultima legge. E che solo l’avvenuto tempestivo deposito produce effetti liberatori per l’espropriante dalla data in cui è stato compiuto, decorrendo cioè su tali somme a favore dell’espropriato gli interessi previsti dall’ordinamento della riferita Cassa e non potendo, di conseguenza, essere liquidati sulle medesime somme ulteriori interessi in sede di determinazione giudiziale delle predette indennità.
Ove, invece, l’espropriante non provveda ad effettuare tale deposito,o vi provveda in maniera insufficiente, o, infine in ritardo, sono dovuti – dal giorno dell’espropriazione e fino al giorno dell’adempimento dell’obbligazione principale, e cioè fino al pagamento dell’indennità o al deposito di essa presso la cassa depositi e prestiti – gli interessi legali, di natura compensativa, per il solo fatto che la somma è rimasta a disposizione dell’ente espropriante e a prescindere da ogni indagine sulla colposa responsabilità per il ritardo nel pagamento (interessi che se le indennità sono state depositate solo in parte ed in esito al giudizio di opposizione venga riconosciuto all’espropriato una somma maggiore, devono, all’evidenza, essere corrisposti solo sulla differenza tra di essa e l’importo effettivamente depositato dell’espropriante.
Queste regole non sono state applicate dalla sentenza impugnata, la quale, dopo avere determinato in conformità alla ricordata sentenza 1817/1996 di questa Corte l’indennità di esproprio con il criterio riduttivo di cui all’art. 5 bis della legge 359/1992, ha liquidato gli interessi legali compensativi dovuti all’istituto espropriato,con decorrenza dal 27 novembre 1981, in cui sarebbe stato pronunciato il decreto ablativo, fino al 22 settembre 2000 (pag. 7), senza indicare la ragione che l’aveva indotto a scegliere tale data; e senza considerare che nel riferire lo svolgimento del processo, aveva dato atto che il Comune nel costituirsi – dopo la riassunzione del giudizio in data 5 luglio 1996 e prima dell’udienza collegiale tenuta il 20 febbraio 1998 – aveva dedotto di aver già provveduto al versamento presso la Cassa depositi e prestiti della somma di L. 123.500.000 a titolo di indennità di espropriazione, nonchè di quella di L. 59.101.782 (pag. 6): importo quest’ultimo del quale peraltro la decisione ha tenuto conto detraendolo dalla maggior somma a tale titolo attribuita all’espropriato (pag. 7).
Ed ancora una volta il comune nel ricorso ha dedotto che il deposito sudetto era avvenuto fin dal 28 febbraio 1992 e specificamente indicato il documento prodotto nel proprio fascicolo che lo attestava; ed ancor prima che in data 19 novembre 1985 era stata depositata a tale titolo la complessiva somma di L. 11.814.00; per cui il giudice di rinvio dovrà accertare anzitutto se questo primo versamento trovi conferma nella documentazione in atti e/o nelle ulteriori risultanze istruttorie, posto che in caso affermativo dalla data ora riferita (o da quella che sarà accertata) gli interessi compensativi devono essere corrisposti solo sulla differenza tra l’indennità di espropriazione effettivamente dovuta (L. 78.920.000) ed il primo importo depositato dall’espropriante. E, quindi accerterà anche la data del deposito delle ulteriori somme avanti menzionate (L. 123.500.000 + 59.101.782), costituenti per le considerazioni svolte quella ultima fino alla quale sono dovuti gli interessi sudetti sulla medesima indennità a decorrere dal decreto del decreto ablativo.
Cassata pertanto la decisione impugnata in relazione al motivi accolti, il giudizio va rinviato ad altra sezione della Corte di appello di Torino che si atterrà ai principi esposti e provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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