Cassazione civile anno 2005 n. 1821 Sentenze ecclesiastiche di nullità, delibazione

MATRIMONIO E DIVORZIO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
G. D V., con atto notificato il 21 marzo 2001, conveniva in giudizio davanti alla Corte d’appello di Roma F. R. P., esponendo che il 9 settembre 1992, nel Comune di Roma, aveva contratto con la convenuta matrimonio concordatario, dichiarato nullo con sentenza in data 24 febbraio 1999 del Tribunale Ecclesiastico Regionale del Lazio, confermata con decreto del 14 giugno 2000 dal Vicariato di Roma-Tribunale d’appello e dichiarata esecutiva con decreto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. L’attore chiedeva, quindi, che fosse dichiarata l’efficacia, agli effetti civili, della pronuncia di nullità del matrimonio con l’annotazione a margine del relativo atto.
La convenuta, nel costituirsi in giudizio, si opponeva alla domanda, deducendo che l’esclusione del bonum sacramenti da parte del marito, a causa della quale era stata pronunciata la nullità del vincolo matrimoniale, non era da lei conosciuta, e neppure era conoscibile, all’epoca del matrimonio.
Instauratosi il contraddittorio con la costituzione di entrambe le parti ed intervenuto il P.M., la Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 14 giugno 2002, rigettava la domanda, osservando in motivazione che l’esclusione del bonum sacramenti da parte del marito, a causa della quale era stata pronunciata la nullità del vincolo, non risultava conosciuta dalla R. P. e che "dal comportamento da lui tenuto non era possibile accorgerai con una normale diligenza" della riserva mentale. Pertanto, la Corte d’appello, ritenuta la sentenza "contraria all’ordine pubblico con riferimento al principio della buona fede", rigettava la domanda, dichiarando compensate tra le parti le spese del giudizio.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso G. D V., affidato ad un motivo; ha resistito con controricorso F. R. P..

Motivi della decisione
1. – G. D V., con un unico motivo di censura, denuncia "omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia – art. 360 n. 5 c.p.c. – Violazione dell’art. 116, c.p.c. – art. 360 n. 3 c.p.c.", deducendo che la motivazione della sentenza sul punto della conoscibilità della sua riserva mentale da parte della R. P. "appare del tutto assente" e, comunque, sarebbe frutto "di una errata valutazione dell’unico fatto posto a fondamento della decisione presa in sentenza". A suo avviso, la Corte territoriale avrebbe fondato il proprio convincimento in ordine alla non conoscibilità del vizio del consenso sulla sola circostanza che egli avrebbe condotto la moglie a partecipare ad un corso di preparazione al matrimonio, che sarebbe, invece, insufficiente a questo fine. La frequentazione di questo corso è, infatti, obbligatoria per potere celebrare il matrimonio con il rito cattolico e quindi, qualora potesse giustificare, di per sè sola, un legittimo affidamento in ordine al convincimento sulla indissolubilità del matrimonio, la sentenza di nullità pronunciata dal giudice ecclesiastico non potrebbe mai essere delibata, Dunque, poichè il "ragionamento è a dir poco tautologico" e sarebbe quello "fondante, ed anzi l’unico" che sorregge la motivazione, la sentenza dovrebbe ritenersi viziata. Secondo il ricorrente, la motivazione sarebbe censurabile anche sotto ulteriori profili, in quanto dagli atti del processo ecclesiastico, ritualmente depositati, emergerebbero elementi comprovanti la conoscibilità da parte della R. P. della riserva mentale con la quale egli si era indotto alle nozze. I loro rapporti nel corso del fidanzamento sarebbero stati, infatti, difficili a causa del carattere della moglie, influenzata e determinata nelle sue scelte dai genitori e di ciò egli avrebbe dato atto nelle dichiarazioni rese nel processo ecclesiastico e riportate nel ricorso. Inoltre, la conoscibilità da parte della R. P. sia dei dubbi che egli aveva in ordine al positivo superamento delle difficoltà che già caratterizzavano il rapporto durante il fidanzamento, sia della sua volontà di chiedere lo scioglimento del vincolo, qualora i contrasti non fossero stati superati, sarebbe avvalorata dalle deposizioni rese da L C, A D V., A D V., F Z, E N M, R F, nonchè dalle dichiarazioni di F. M. – teste indicata dalla controricorrente – i cui brani salienti sono trascritti nel ricorso.
In contrario, sempre ad avviso del Di V., non sarebbero rilevanti la negazione della conoscibilità sostenuta dalla R. P. e dai testi da lei indicati, in quanto la attendibilità di queste ultime dichiarazioni sarebbe stata confutata dalla sentenza di primo grado del Tribunale Ecclesiastico e dal decreto del Vicariato di Roma-Tribunale d’appello con convincenti argomentazioni trascritte nel ricorso – delle quali la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto.
La sentenza impugnata si sarebbe limitata ad escludere la diretta conoscenza da parte della R. P. del suo convincimento, basandosi sul presupposto che "nessuno dei suddetti testi ha sentito il suddetto Di V. manifestare tale ipotesi in presenza della futura moglie", nonchè sulla frequentazione del corso di preparazione al matrimonio, omettendo di prendere in esame le concordi dichiarazioni rese dai testi, convergenti nel dimostrare che tutti coloro che lo frequentavano conoscevano la sua intenzione di chiedere il divorzio, nel caso in cui la futura moglie "non fosse cambiata in seguito al matrimonio".
Infine, conclude G. D V., la Corte territoriale non si sarebbe neppure fatta carico di offrire "una seppur larvata spiegazione, limitandosi ad un generico riferimento a non meglio specificati ‘elementi istruttorì", con conseguente impossibilità di comprendere il percorso logico in base al quale ha escluso la conoscibilità da parte della moglie della riserva mentale in questione, nonostante le risultanze istruttorie convergano nel dimostrarla.
2.- Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la dichiarazione di esecutività della sentenza del tribunale ecclesiastico che abbia pronunciato la nullità del matrimonio concordatario per esclusione, da parte di uno soltanto dei coniugi, di uno dei bona matrimonii, cioè per divergenza unilaterale tra volontà e dichiarazione, richiede che tale divergenza sia conosciuta da parte dell’altro coniuge, in quanto manifestatagli, ovvero conoscibile per la esistenza di fatti concludenti dai quali era univocamente desumibile, con l’ordinaria diligenza. La pronuncia ecclesiastica di nullità fondata sulla c.d. simulazione unilaterale che non risulti essere stata conosciuta o conoscibile da parte dell’altro coniuge non può, infatti, essere dichiarata esecutiva, in quanto si pone in contrasto con l’ordine pubblico interno, nel cui ambito rientra il principio di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole (ex plurimis, tra le più recenti, Cass., n. 8025 del 2004; n. 11137 del 2003; n. 3339 del 2003; n. 198 del 2001).
Il giudice della delibazione, in virtù di un principio parimenti consolidato, è quindi tenuto ad accertare la conoscenza o la conoscibilità della riserva mentale da parte del coniuge in buona fede, ricavando il proprio convincimento dagli atti del processo canonico, con piena autonomia rispetto al giudice ecclesiastico e con pieno apprezzamento dei fatti da questi accertati, benchè debba fare esclusivo riferimento alle sentenze pronunziate nel processo canonico ed ai relativi atti, restando esclusa l’ammissibilità di una integrazione istruttoria (Cass., n. 8025 del 2004; n. 3339 del 2003; n. 198 del 2001; n. 6308 del 2000; n. 4311 del 1999). Il divieto di riesame nel merito che incontra il giudice della delibazione impedisce il controllo sulla sussistenza di detta riserva, ma non è di ostacolo alla dovuta indagine sulla questione della conoscenza o conoscibilità della medesima da parte dell’altro coniuge, estranea al processo davanti al tribunale ecclesiastico, imprescindibile allo scopo di stabilire l’eventuale contrarietà della pronuncia all’ordine pubblico italiano e da condurre facendo riferimento ai fatti accertati in quest’ultimo, apprezzati, come si è accennato, con autonomia di giudizio (per tutte, Cass., n. 3339 del 2003; n. 4311 del 1998; n. 6551 del 1998;
n. 2330 del 1994). Il relativo accertamento deve essere rigoroso, poichè attiene "al rispetto di un principio di ordine pubblico di speciale valenza e alla tutela di interessi della persona riguardanti la costituzione di un rapporto – quello matrimoniale – oggetto di rilievo e tutela costituzionale, in quanto incidente in maniera particolare sulla vita della persona e su istituti e rapporti costituzionalmente rilevanti" (Cass., n. 3339 del 2003) e deve essere adeguatamente motivato, per risultare la pronuncia non censurabile in sede di legittimità.
Il vizio di omessa e insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ. – il solo denunciato con il ricorso in esame- è peraltro configurabile quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate che non permette l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. Non è, quindi, ammissibile la prospettazione, sotto il surrettizio profilo del vizio motivazionale, di doglianze in ordine all’apprezzamento dei fatti e delle prove operato dal giudice del merito, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. L’art. 360, primo comma n. 5, cit., non conferisce, infatti, alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti.
Alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può dunque giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente e illogico, non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (tra le tante, Cass., n. 8597 del 2003; n. 350 del 2002; n. 4457 del 2001). In altri termini, affinchè sia riscontrabile il vizio in esame occorre "che il tessuto argomentativo presenti lacune, incoerenze o a incongruenze così gravi da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione adottata" (Cass., n. 8597 del 2003; n. 2830 del 2001), restando esclusa l’ammissibilità della prospettazione di un apprezzamento dei fatti diverso ed alternativo rispetto a quello censurato, che si tradurrebbe nella inammissibile richiesta di un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il controllo attribuito al giudice di legittimità, limitato alla verifica della conformità della sentenza alla legge sostanziale e processuale.
2.2. – Nel quadro di questi principi le censure – specificamente concernenti soltanto l’art. 360, n. 5, cod.proc.civ. – non possono essere accolte.
La sentenza impugnata indica gli elementi valutati e valorizzati ed esplicita con sintesi, eppure con chiarezza ed in modo esaustivo, il percorso argomentativo che sorregge la decisione. La Corte territoriale ha, infatti, osservato che dalle dichiarazioni dei testimoni risulta che il ricorrente "si decise alle nozze convinto che in seguito le cose sarebbero migliorate, ma conscio che se il matrimonio fosse "andato male" si poteva divorziare", dando così dato atto che esse provano la riserva del Di V.. Tuttavia, ha escluso che esse dimostrino anche che la R. P. ne avesse avuto conoscenza, in quanto ha esplicitato che dalle stesse non risulta che i testimoni abbiano mai "sentito il suddetto Di V. manifestare tale ipotesi in presenza della futura moglie".
I giudici hanno poi valutato la partecipazione del ricorrente al corso di preparazione al matrimonio organizzato presso la Parrocchia, ritenendola idonea a radicare nella R. P. il convincimento che il futuro marito fosse "un cattolico osservante e, quindi, convinto della sacramentalità, e di conseguenza indissolubilità del matrimonio religioso".
La pronuncia contiene, infine, una valutazione di sintesi nella quale è sottolineato che il complesso degli elementi presi in esame conforta il convincimento che "non c’è alcuna prova" sia della circostanza "che il Di V. avesse informato la futura moglie della sua riserva mentale", sia del fatto che "dal comportamento da lui tenuto" non era possibile "accorgersene con una normale diligenza".
Queste argomentazioni dimostrano, in primo luogo, l’infondatezza delle censure di omessa o insufficiente motivazione, in quanto esse sono idonee a rendere comprensibile il procedimento seguito per pervenire alla decisione contestata e gli elementi sui quali è fondata, non essendo la Corte d’appello tenuta a discutere ogni elemento ed a confutare tutte le deduzioni difensive del ricorrente, dovendo ritenersi implicitamente disattese tutte quelle con essa logicamente incompatibili.
In secondo luogo, la motivazione dimostra che il giudice del merito si è fatto carico di accertare, ed esplicitare, non soltanto che le risultanze acquisite fanno escludere che il D V. aveva reso partecipe in modo espresso la futura moglie del suo convincimento, ma anche che le stesse non provano l’esistenza di fatti concludenti tali da permettere alla moglie di averne conoscenza, con l’ordinaria diligenza. La sentenza ha quindi espressamente argomentato in ordine alla mancanza di elementi a conforto sia della conoscenza che della conoscibilità – in base all’ordinaria diligenza – della riserva, dimostrando in tal modo di avere fatto corretta applicazione dei principi sopra sintetizzati in ordine ai presupposti necessari per la dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica.
Peraltro, proprio il riferimento all’inesistenza di elementi a conforto della conoscibilità del reale convincimento del ricorrente dimostra che la Corte d’appello, con sintesi, ma in modo sufficientemente chiaro, ha esplicitato di avere ritenuto che le confidenze fatte dal ricorrente a terzi, in carenza di altri univoci elementi, non possono reputarsi idonee a dimostrare siffatta conoscibilità. Si tratta di una deduzione nella quale non è ravvisabile alcun vizio logico, essendo appena il caso di osservare che il ricorrente, nell’articolare la complessa censura, fa riferimento alle dichiarazioni testimoniali, riportando brani dai quali si evince appunto la circostanza di fatto accertata dalla sentenza impugnata, ma non anche che le confidenze fatte ad alcuni parenti ed amici fossero state portate a conoscenza della futura moglie o fossero comunque da questa conoscibili, con la normale diligenza.
Nessuna incongruenza è, inoltre, individuabile nella circostanza che non risultano espressamente presi in considerazione i contrasti emersi durante il fidanzamento, e ciò sia per quanto sopra detto in ordine al potere-dovere del giudice del merito di esaminare il complesso delle risultanze probatorie, sia perchè neanche emerge alcuna correlazione tra questi contrasti ed il convincimento del D V. sulla indissolubilità del vincolo matrimoniale. La Corte distrettuale ha correttamente escluso la conoscenza e conoscibilità dell’esclusione di uno dei bona matrimonii avendo riguardo alla pronuncia delibanda ed agli atti del processo canonico, procedendo però alla relativa indagine con piena autonomia, trattandosi di accertamento imprescindibile per il nostro ordinamento ed estraneo al processo canonico (Cass., n. 198 del 2001; n. 6308 del 2000; n. 4311 del 1999), che richiede esclusivamente l’accertamento della sussistenza della riserva (ed i brani delle pronunce ecclesiastiche riportati nel ricorso esprimono infatti l’accertamento in ordine a tale punto, evidenziano la difficoltà dei rapporti prematrimoniali e danno atto di contraddizioni della R. P. in ordine a circostanze che non rilevano univocamente in ordine alla questione oggetto dell’esame da parte della Corte distrettuale).
L’accertamento dei fatti, riservato all’apprezzamento del giudice del merito, risulta dunque sorretto da una congrua motivazione, non essendo riscontrabili incoerenze o incongruenze logiche nelle deduzioni svolte, in quanto non è incongruo nè illogico ricavare dalla premessa della partecipazione al corso religioso di preparazione al matrimonio il convincimento in ordine alla indissolubilità del vincolo. La deduzione contraria svolta sul punto dal ricorrente costituisce, in realtà, una valutazione difforme da quella fatta propria dalla Corte d’appello, frutto di un diverso apprezzamento delle risultanze probatorie che, per quanto sopra puntualizzato, non può qui costituire oggetto di riesame.
In conclusione, il complesso argomentativo della sentenza impugnata non è inficiato da carenze, contraddizioni o vizi logici e, in questa sede, non possono trovare ingresso quelle censure dirette, in buona sostanza, a sollecitare, inammissibilmente, un differente apprezzamento degli elementi esaminati dalla Corte d’appello.
Il ricorso va, quindi, rigettato, mentre non può costituire oggetto di valutazione la deduzione con la quale la controricorrente si duole della compensazione delle spese del giudizio di merito, in difetto della proposizione di ricorso incidentale (cfr., Cass., n. 3656 del 1987), indipendentemente dalla circostanza che la compensazione totale o parziale delle spese del giudizio costituisce una facoltà discrezionale del giudice del merito, sicchè la valutazione in ordine alla ricorrenza delle ipotesi per disporla è rimessa al suo prudente apprezzamento ed e sottratta all’obbligo di una specifica motivazione, soggiacendo la relativa pronuncia al sindacato di legittimità solo quando il giudice, a sua giustificazione, esponga ragioni illogiche od erronee (per tutte, Cass., n. 1898 del 2002; n. 5988 del 2001), potendo i giusti motivi che la consentono sussistere anche nei confronti della parte totalmente vittoriosa (Cass., n. 5976 del 2001).
Le spese di questo giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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