Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26-10-2011) 10-11-2011, n. 40926

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 5/8/2011 il Tribunale di Torino, adito dall’indagato V.A. in sede di riesame ai sensi dell’art. 309 c.p.p., confermava la misura della custodia cautelare in carcere inflitta al predetto con ordinanza in data 21/7/2011 del G.I.P. in sede in ordine al reato di cui all’art. 416 c.p..

Si imputava al predetto di far parte di una associazione criminosa, finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti contro il patrimonio e precisamente furti in abitazioni, truffe e talvolta anche rapine in danno di persone anziane, con il ruolo fondamentale e infungibile di mantenere i contatti con i ricettatori, ed in particolare con il coimputato L.G., provvedendo alla ricezione della refurtiva, al loro piazzamento presso terzi e alla divisione degli utili.

In motivazione il Tribunale, dopo avere respinto le eccezioni di nullità dei deuteri, autorizzativi delle intercettazioni telefoniche e delle successive proroghe per assenza di collegamento con l’indagini in corso e la persona, la cui utenza veniva intercettata, e quindi la inutilizzabilità delle conversazioni intercettate, dato atto che il reato associativo non costituiva oggetto di contestazione, si soffermava sul quadro indiziario a carico dell’indagato, rilevandone la gravità, la univocità e la concordanza, valorizzando l’esito delle intercettazioni telefoniche ed ambientali e i movimenti dell’auto del L., registrati tramite GPS, che dimostravano il ruolo dell’indagato nel mantenere i contatti con il L.d. la truffa aggravata ai danni di C.E., dopo il furto aggravato ai danni di Z. P., dopo il furto ai danni di B.E. al fine di incontrare il ricettatore, stabilire la destinazione della refurtiva contattare gli orefici, al fine di consentire un’equa distribuzione degli utili a tutti i sodali. Riteneva infine la sussistenza in concreto dell’esigenza cautelare ex art. 274 c.p.p., lett. c), formulando una prognosi positiva di ricaduta nel reato alla stregua della gravità dei fatti contestati, dell’elevato spessore criminale degli associati, – della elaborata organizzazione del sodalizio e della negativa personalità dell’indagato, e ritenendo la massima misura cautelare, l’unica possibile.

Contro tale decisione ricorre l’indagato a mezzo del suo difensore, che con il primo motivo a sostegno della richiesta di annullamento denuncia la violazione della legge processuale, reiterando l’eccezione di nullità dei decreti autorizzativi, di quelli di convalida e di proroga nella parte in cui non veniva indicato il collegamento con l’indagine in corso e l’indagato e della conseguente inutilizzabilità delle disposte intercettazioni telefoniche e ambientale; con il secondo motivo la violazione di legge e il difetto di motivazione in riferimento alla valutazione della gravità del quadro indiziario, sostenendo che i contatti del V. con il L. non erano idonei ad integrare quella gravità indiziaria richiesta dall’art. 273 c.p.p., giacchè nelle conversazioni intercettate non vi erano riferimenti diretti o indiretti alla merce da vendere al ricettatore.

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo difetta di specificità, laddove reitera l’eccezione, formulata in sede di riesame, e non si confronta con le argomentazioni del Tribunale, che correttamente l’ha ritenuta infondata, evidenziando come i decreti autorizzativi del P.M. e di convalida del G.I.P. avevano ben motivato in ordine al collegamento tra l’indagine in corso e la persona dell’indagato, idoneo a legittimare l’intercettazione dell’utenza di quest’ultimo, valorizzando i continui contatti che le utenze, intestate ad altri coindagati, per lo più legati da vincoli di parentela con l’indagato, già sottoposte ad intercettazione, avevano con quella del V.A..

Il secondo motivo esula dal catalogo dei casi di ricorso, disciplinati dall’art. 606 c.p.p., comma 1, profilandosi come doglianza non consentita ai sensi del comma 3 cit. art., volta come essa appare, a introdurre una diversa rilettura del materiale investigativo e del contenuto delle disposte intercettazioni, alternativa a quella fornita dai giudici del merito, come tale non valutabile in sede di scrutinio ci legittimità.

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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