Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-05-2012, n. 7570 Recesso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato l’I 1-3-1998 l’AGORA’ s.r.l. conveniva dinanzi al Tribunale di Roma la SALINI COSTRUTTORI s.p.a., per sentirla condannare al pagamento della somma di L. 640.000.000 oltre IVA, pari al corrispettivo dovutole per l’anno 1-ll-1997/31-10- 1998 in relazione al contratto triennale di consulenza stipulato tra le parti, che, a seguito di mancata disdetta nei termini, si era automaticamente rinnovato fino al 31-10-1998.

Nel costituirsi, la convenuta contestava la fondatezza della domanda, sostenendo che le prestazioni oggetto del contratto di consulenza erano state adempiute, con il raggiungimento degli obiettivi prefissati nell’incarico, sicchè doveva considerarsi giustificata la disdetta da essa inviata in data 21-10-1997.

Con sentenza n. 13769/2002 il Tribunale, accogliendo parzialmente la domanda attrice, dichiarava risolto per colpa della SALINI il contratto in questione, condannando la convenuta a corrispondere all’attrice, a titolo risarcitorio, la somma già rivalutata di Euro 42.938,22 (pari a L. 83.140.000), oltre interessi legali.

Avverso la predetta decisione proponevano appello principale l’attrice ed appello incidentale la convenuta.

Con sentenza depositata il 6-10-2005 la Corte di Appello di Roma rigettava entrambi gli appelli, correggendo il dispositivo della sentenza impugnata nella parte concernente gli interessi e dichiarando interamente compensate tra le parti le spese del grado.

In motivazione la Corte territoriale, nel dare atto che il contratto stipulato dalle parti il 21-10-1994, da qualificarsi come appalto di servizi, aveva durata triennale dall’1-11-1994 al 31-10-1997 ed era rinnovabile automaticamente di anno in anno salvo disdetta da darsi con 12 mesi di anticipo, condivideva il giudizio espresso dal Tribunale circa la non tempestività della disdetta effettuata dalla SALINI con lettera del 21-10-1997, con la quale tale società aveva comunicato di voler terminare la collaborazione alla scadenza del 31- 10-1997, e circa la conseguente responsabilità della convenuta per l’ingiustificata interruzione del rapporto. Il giudice del gravame, inoltre, riteneva infondata la pretesa dell’AGORA’ di ottenere, a titolo risarcitorio, il pagamento dell’intero corrispettivo dovutole per l’anno 1997-1998, in luogo del minore importo liquidato dal primo giudice in via equitativa a titolo di danno per lucro cessante.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l’AGORA’ s.r.l., sulla base di un unico motivo.

La SALINI COSTRUTTORI s.p.a. ha resistito con controricorso, con il quale ha altresì proposto ricorso incidentale, anch’esso affidato ad un unico motivo.

La ricorrente ha resistito al ricorso incidentale con un controricorso ed in prossimità dell’udienza ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1) In via preliminare deve disporsi la riunione dei due ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2) Con l’unico motivo la ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1671, 1677, 1569, 2221, 2237, 2697 c.c., nonchè la carenza di motivazione su punti essenziali della controversia. Deduce che la Corte di Appello, pur avendo correttamente inquadrato il contratto stipulato dalle parti quale appalto di servizi, non ha tenuto conto del fatto che le parti, nello stabilire una durata minima del rapporto contrattuale, con clausola di rinnovo tacito per uguale periodo nel caso di mancata disdetta in tempo utile, hanno inteso derogare alla facoltà di recesso prevista in favore del committente o del cliente in materia di appalto ( art. 1671 c.c.), di contratto di opera ( art. 2227 c.c.) e di prestazioni intellettuali ( art. 2237 c.c.). Sostiene che il danno subito dall’attrice per l’inadempimento della SALINI è costituito dall’intero corrispettivo stabilito dalle parti per il periodo predeterminato di durata del contratto. Rileva che, ai sensi dell’art. 2697 c.c., sarebbe stata la committente a dover fornire la prova del minor danno subito dall’appaltatore, e che la Corte di Appello non ha spiegato su quali basi abbia quantificato nella misura del 10% il guadagno conseguibile dalle attività oggetto di consulenza.

3) Con l’unico motivo la ricorrente incidentale denuncia vizi di motivazione e la violazione degli artt. 1362, 1363, 1369, 1371, 1175, 1375, 2697 c.c.. Rileva che, contrariamente a quanto dedotto dalla controparte, nella specie non si è in presenza di un contratto di appalto continuativo ovvero di un contratto di somministrazione, bensì di un contratto avente ad oggetto "servizi specifici, specificati nei contenuti e nei tempi". Sostiene che la lettera inviata dalla SALINI il 21-10-1997, alla scadenza della durata triennale del contratto, non conteneva una disdetta, ma la comunicazione dell’avvenuta risoluzione del contratto per il raggiungimento dello scopo per cui era stato concluso e che rendeva inutile il prolungamento del rapporto oltre la scadenza triennale pattuita. Deduce che gravava sulla società attrice l’onere di provare, quale fatto costitutivo del suo diritto, che al momento della disdetta la sua attività fosse in pieno svolgimento.

4) Per ragioni di ordine logico-giuridico deve essere esaminato per primo il motivo di ricorso incidentale, con il quale viene messa in discussione la sussistenza stessa del diritto al risarcimento danni fatto valere dall’AGORA’ s.r.l..

Tale motivo è infondato.

Nella sentenza impugnata si da atto che risulta documentalmente provato che le parti, in data 21-10-1994, ebbero a stipulare un contratto di consulenza aziendale avente durata triennale (dall’1-11- 1994 al 31-10-1997), rinnovabile automaticamente di anno in anno, salvo disdetta di una delle parti da darsi con 12 mesi di anticipo;

che la SALINI il 21-10-1997 ha inviato lettera di disdetta, comunicando di voler terminare il rapporto di collaborazione alla data di scadenza del 31-10-1997; che l’AGORA’, con lettera datata 30- 10-1997, ha manifestato la propria disponibilità alla continuazione dell’attività a termini di contratto.

A fronte di simili emergenze processuali, che valgono inequivocamente a comprovare la tardività della disdetta data dalla convenuta rispetto al termine convenzionalmente stabilito per l’esercizio di tale facoltà, deve ritenersi senz’altro assolto dall’attrice l’onere probatorio su essa gravante in relazione ai fatti costitutivi della domanda. A ragione, pertanto, la Corte di Appello ha ritenuto che spettava alla convenuta, che intendeva sostenere la legittimità della disdetta già per il periodo successivo al 31-10-1997, provare la fondatezza della propria eccezione, secondo cui la completa esecuzione delle prestazioni di consulenza previste aveva fatto venir meno la causa del contratto, sicchè un eventuale rinnovo dello stesso sarebbe stato del tutto ingiustificato.

Nella specie, è stata fatta corretta applicazione del principio generale dettato in materia di distribuzione dell’onere della prova dall’art. 2697 c.c., a mente del quale l’attore deve provare i fatti posti a fondamento della sua domanda, mentre il convenuto, qualora eccepisca l’inefficacia di tali fatti ovvero la modificazione o l’estinzione del diritto dedotto dall’attore, deve provare le circostanze sulle quali l’eccezione si fonda.

Non sussiste, di conseguenza, la violazione della predetta disposizione di legge.

Le ulteriori doglianze mosse con il motivo in esame difettano del requisito di specificità prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4, in quanto la controricorrente, pur avendo denunciato plurime violazioni di legge e vizi motivazionali, non ha indicato in concreto quali affermazioni contenute nella sentenza gravata si pongano in contrasto con le disposizioni citate o risultino affette da vizi di ragionamento, nè ha illustrato in modo intelligibile ed esauriente in cosa siano consistite le dedotte violazioni di legge e carenze della motivazione (cfr. Cass. 25-9-2009 n. 20652; Cass. 6-6-.2006 n. 13259).

5) Anche il motivo di ricorso principale è infondato.

Deve in primo luogo rilevarsi che le deduzioni svolte dalla ricorrente per negare l’applicabilità, nella specie, delle disposizioni previste in tema di recesso ad nutum del committente nei contratti di appalto, di opera e di prestazioni intellettuali, e per affermare l’illegittimità della disdetta data dalla convenuta, si palesano del tutto irrilevanti e inconcludenti, non sostanziandosi in puntuali critiche avverso la decisione impugnata, con la quale è stato appunto ritenuto l’inadempimento colpevole della SALINI per avere ingiustificatamente interrotto il rapporto contrattuale in essere con l’AGORA’.

In realtà, le censure mosse dalla ricorrente riguardano esclusivamente la quantificazione del danno subito dall’appaltatrice per effetto dell’ingiustificato recesso della committente in violazione del concordato termine annuale di preavviso; danno che, secondo la società AGORA’ e diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di Appello, coinciderebbe con l’intero corrispettivo convenzionalmente pattuito per il periodo 1-11-1997/31-10-1998, che a suo dire rappresenterebbe l’effettivo "lucro" che la società istante avrebbe conseguito dall’esecuzione del contratto risolto.

Simili doglianze risultano prive di pregio, apparendo esente da vizi logici e giuridici il giudizio espresso dai giudici di merito, secondo cui il danno sofferto dall’appellante non può essere commisurato all’intero prezzo della prestazione non potuta adempiere dalla società attrice, ma va rapportato al margine di guadagno dalla stessa conseguibile in caso di prosecuzione del rapporto nel corso della successiva annualità; guadagno che, in mancanza di precisi elementi di prova al riguardo, è stato correttamente determinato in via equitativa mediante il ricorso a nozioni di comune esperienza.

Non giova in favore della tesi della ricorrente il precedente giurisprudenziale dalla medesima invocato, secondo cui il risarcimento del danno derivante dall’anticipato recesso del cliente da un rapporto d’opera professionale deve essere liquidato secondo i criteri generali previsti dall’art. 1223 c.c. e segg. e si concreta nella mancata percezione dei compensi che gli sarebbero spettati durante il periodo corrente tra la data di anticipata cessazione del rapporto e quella della scadenza contrattuale, con l’eventuale detrazione del lucro che il professionista si è procurato o avrebbe potuto procurarsi con l’uso dell’ordinaria diligenza dopo la cessazione del rapporto, secondo quanto provato dal cliente, sul quale grava l’onere della prova del fatto modificativo (Cass. 13-3- 1979 n. 1560).

Come è stato precisato nella sentenza impugnata, infatti, l’attività di consulenza aziendale affidata all’attrice, essendo resa da una società di capitali, non è assimilabile ad una prestazione professionale, in cui è prevalente l’apporto personale, ma si configura come un appalto di servizi; e tale qualificazione giuridica del rapporto contrattuale non ha costituito oggetto di specifica impugnativa da parte della ricorrente principale, la quale, anzi, vi ha espressamente aderito (v. pag. 8 del ricorso). Ciò posto e atteso che, secondo quanto accertato, con apprezzamento di fatto non sindacabile in questa sede, dalla Corte di Appello, la società istante si avvaleva dell’impegno lavorativo di numerose figure professionali (esperte di organizzazione, controllo di gestione, management, sviluppo di risorse umane), i cui compensi gravavano sulla stessa società, appare del tutto logica e congruente l’affermazione del giudice distrettuale, secondo cui i relativi costi, al pari di quelli di gestione generale, non possono computarsi come mancato guadagno.

La Corte di Appello, pertanto, ha fornito adeguato conto dei criteri seguiti nella determinazione del danno da lucro cessante subito dall’attrice per effetto dell’ingiustificato recesso della committente e delle ragioni per le quali ha escluso che tale pregiudizio patrimoniale possa essere commisurato all’intero compenso che sarebbe spettato all’appaltatrice in caso di regolare svolgimento del rapporto durante l’anno successivo alla sua prima scadenza.

Le valutazioni espresse al riguardo si sottraggono al sindacato di questa Corte, in quanto il giudizio sulla misura concreta del danno e sui criteri della relativa liquidazione costituisce espressione di un apprezzamento di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità allorchè, come nel caso di specie, risulti sorretto da una motivazione esente da vizi logici e corretta sul piano giuridico.

6) Per le ragioni esposte entrambi i ricorsi devono essere rigettati.

Data la reciproca soccombenza delle parti, le spese del presente grado di giudizio vanno interamente compensate.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa le spese del presente grado.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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