Cons. Stato Sez. V, Sent., 14-12-2011, n. 6542 Legittimità o illegittimità dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Scaduto il rapporto contrattuale instaurato nel 2003 dall’Unità Socio – Sanitaria n. 6 "Vicenza" (in prosieguo ASL 6), con la S. s.p.a. – mandataria di apposito raggruppamento incaricato del servizio "energia e calore" nell’ambito di una convenzione stipulata nel 2002 ai sensi dell’art. 58, l. n. 388 del 2000 con la Consip s.p.a. (cfr. delibere nn. 153/2003, 161/2003 e 205/2003) – la suddetta ASL, nella qualità di capofila delle aziende sanitarie della c.d. Area Vasta (ovvero tutte quelle della provincia di Vicenza), ha indetto una gara di appalto per il medesimo servizio "energia e calore" per un periodo di anni nove ed un importo a base d’asta di euro 225.013.450/00 (cfr. deliberazione n. 262 del 27 giugno 2008); il relativo bando è stato pubblicato sulla G.U.U.E del 5 luglio 2008.

2. Alla gara hanno partecipato quattro raggruppamenti, fra cui quello capeggiato dall’odierna società appellante.

2.1. Tutti i raggruppamenti sono stati esclusi e la gara è stata dichiarata definitivamente conclusa (cfr. delibera n. 396 del 18 agosto 2009).

2.2. Avverso il provvedimento di esclusione e la delibera n. 396 del 2009 l’a.t.i. E. I. S.r.l. (in prosieguo E.), ha proposto ricorso davanti al T.a.r. Veneto che con la sentenza oggetto del presente giudizio – n. 1842 del 7 maggio 2010 – facendo applicazione di ben noti principi (da ultimo ribaditi con sentenza di questa sezione 14 febbraio 2011, n. 939 resa in fattispecie identica), lo ha respinto compensando le spese di giudizio.

3. Nel frattempo, con delibera della ASL n. 451 del 22 settembre 2009, in attesa della definizione e del completamento di una nuova gara, era stata disposta la proroga della originaria convenzione Consip (con la S. s.p.a.), in relazione alle principali infrastrutture sanitarie dell’Area Vasta (con scadenze variabili, in relazione ai diversi presidi sanitari, ricomprese fra il 30 giugno 2010 e il 31 agosto 2010).

4. Nelle more del giudizio di primo grado l’ASL 6, dopo aver esperito una indagine nell’ambito del catalogo dei servizi disponibili alla luce della nuova convenzione Consip – Lotto 3 (valida per le regioni Friuli – Venezia Giulia e Veneto), da cui è emersa la convenienza economica delle soluzioni contrattuali offerte, con delibera n. 487 del 16 ottobre 2009:

a) ha ridotto la durata delle precedenti proroghe, disposte con la delibera n. 451/2009 in favore dell’ a.t.i. S. s.p.a., al 15 novembre 2009;

b) ha aderito, con decorrenza 16 novembre 2009 e senza limiti di durata, alla nuova convenzione Consip – Lotto 3 per il servizio energia e calore in relazione ai presidi sanitari contemplati dalla delibera n. 451/2009.

4.1. Giova fin da ora precisare che la delibera n. 487/2099 è stata impugnata dall’a.t.i. S. s.p.a. davanti al T.a.r. del Veneto che con sentenza n. 3461 del 9 dicembre 2009 ha respinto il ricorso.

4.2. Con sentenza di questa Sezione n. 1072 del 21 febbraio 2011 è stato respinto l’appello proposto dall’a.t.i. S. s.p.a.; si è precisato in motivazione che, nella sostanza, la delibera n. 487/2009 è legittima perché evita il ricorso ad ulteriori proroghe contra legem, consente risparmi di spesa, si pone come modulo organizzativo contrattuale alternativo a quello dell’espletamento della gara europea, capace come tale di soddisfare stabilmente le esigenze connesse all’erogazione dei servizi di "energia e calore".

5. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, l’a.t.i. E. ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza del T.a.r. depositata il 7 maggio 2010.

6. All’udienza pubblica del 1° marzo 2011 il collegio ha sottoposto alle parti, ai sensi dell’art. 73, co. 3, c.p.a., la questione concernente l’improcedibilità dell’originario ricorso di primo grado a seguito della intervenuta sentenza di questa sezione – n. 1072 del 21 febbraio 2011 – che ha confermato la validità e l’efficacia della delibera della ASL 6 n. 487/2009 recante l’adesione, dal 16 novembre 2009, alla nuova convenzione Consip Lotto 3 per la fornitura dei servizi di "energia e calore" per alcuni stabili ricompresi nel più ampio perimetro della gara dichiarata conclusa con la delibera n. 396 del 2009 oggetto del presente giudizio.

La causa, su richiesta delle parti, è stata rinviata per la trattazione all’udienza di discussione del 6 dicembre 2011 all’esito della quale è stata assunta in decisione.

7. Il collegio ritiene che a seguito dell’adozione, da parte dell’ASL 6 della delibera n. 487/2009 (la cui validità ed efficacia è stata confermata dalla citata sentenza di questa sezione n. 1072 del 2011), il ricorso di primo grado sia divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

La delibera n. 487, infatti, esprime la volontà provvedimentale della ASL 6 di assicurare stabilmente, per una parte rilevante dei presidi sanitari ricompresi nell’ambito dell’Area Vasta, il servizio di "energia e calore" oggetto della gara bandita nel 2008.

A tanto consegue che l’indizione della gara del 2008 è da ritenersi oggettivamente superata dalla decisione della ASL 6 di aderire alla nuova convenzione Consip Lotto 3; la delibera n. 487, infatti, ha inciso su elementi essenziali dell’appalto (in particolare sulla durata e sul numero degli immobili per i quali deve essere prestato il servizio di "energia e calore"), sicché l’eventuale annullamento del provvedimento di esclusione non potrebbe consentire la prosecuzione dell’iter della gara originaria; sarebbe necessaria, al contrario, una nuova delibera di indizione di una gara che tenesse conto, fra l’altro, della diversa durata del servizio, delle mutate condizioni economiche del mercato, del numero effettivo di stabili oggetto di manutenzione.

Dalla documentazione versata in atti (in particolare deposito della A2A in data 15 novembre 2011), emerge che gli accordi conclusi dalla ASL 6 in proprio con la società A2A, a seguito dell’adesione alla convenzione Consip:

a) hanno una durata quinquennale;

b) non contengono clausole risolutive o di recesso ancorate alla positiva definizione, per l’impresa esclusa, del presente giudizio (essendo irrilevante, sotto tale angolazione, la clausola sancita dall’art. 16 della convenzione Consip che prevede un generico potere di recesso per giusta causa con preavviso di 30 giorni);

c) consentono all’amministrazione un notevole risparmio di spesa (anche rispetto agli importi posti a base della gara andata deserta).

Si tratta di uno scenario – procedimentale e processuale – in tutto e per tutto assimilabile a quello, ben noto, che discende dalla mancata impugnativa dell’aggiudicazione definitiva da parte dell’impresa esclusa dalla gara cui essa accede. Con l’unica differenza (che tipizza il caso di specie senza decampare dalle illustrate conclusioni processuali), che viene in rilievo una aggiudicazione esterna all’originaria procedura di gara, che ha chiuso un autonomo iter procedimentale di affidamento di appalti pubblici, sul quale questa sezione, con la più volte menzionata sentenza n. 1072 del 2011, si è pronunciata riconoscendone la validità ed efficacia.

7.1. Per quanto riguarda il settore delle controversie in materia di appalti, è principio costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa che l’esclusione di un concorrente da una gara và impugnata immediatamente, fermo restando in ogni caso la necessità di contrastare espressamente anche l’aggiudicazione definitiva sopravvenuta ed il conseguente contratto (nel caso di specie l’adesione alla convenzione Consip ed il contratto con il fornitore aggiudicatario A2A).

Né può essere condiviso l’assunto in base al quale, una volta impugnata l’esclusione dalla procedura selettiva, non occorra un’autonoma impugnativa dell’atto conclusivo del procedimento, in quanto in quest’ultimo caso l’aggiudicazione definitiva (o l’approvazione della graduatoria) sarebbe travolta in via automatica dall’annullamento degli atti presupposti.

In linea generale, nell’ambito del rapporto di presupposizione corrente fra atti inseriti all’interno di un più ampio contesto procedimentale (come quello di evidenza pubblica), occorre distinguere fra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante; nel primo caso l’annullamento dell’atto presupposto determina l’automatico travolgimento dell’atto conseguenziale, senza bisogno che quest’ultimo sia stato autonomamente impugnato; mentre in caso di illegittimità ad effetto viziante l’atto consequenziale diviene invalido per vizio di invalidità derivata, ma resta efficace salva apposita ed idonea impugnazione, resistendo all’annullamento dell’atto presupposto (cfr. ex plurimis e da ultimo Cons. giust. amm., 15 aprile 2009, n. 235; Cons. Stato, sez. V, 17 dicembre 2008, n. 6289; sez. V, 28 marzo 2008, n. 1331; sez. I, 17 gennaio 2007, n. 4915/2006).

Ché è esattamente quanto accade avuto riguardo alla natura dell’aggiudicazione definitiva che non và considerata atto meramente confermativo o esecutivo ma provvedimento che, anche quando recepisca i risultati dell’aggiudicazione provvisoria, comporta comunque una nuova ed autonoma valutazione degli interessi pubblici sottostanti; coerentemente si ritiene necessaria l’impugnativa autonoma dell’aggiudicazione definitiva nonostante la precedente contestazione giudiziale dell’aggiudicazione provvisoria (che è meramente facoltativa, cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5253), ovvero del provvedimento di esclusione dalla gara (che è necessariamente immediata, cfr., oltre alla giurisprudenza citata in precedenza, Cons. Stato, sez. V, 1 agosto 2007, n. 4268; sez. V, 4 maggio 2005, n. 2168; sez. VI, 11 febbraio 2002, n. 785).

A maggior ragione tali argomenti sono spendibili nel caso di specie, dove l’adesione alla convenzione Consip si pone quale momento conclusivo di un procedimento esterno e del tutto autonomo rispetto a quello definito con la declaratoria di estinzione della gara per mancanza di imprese concorrenti.

7.2. Quanto ai profili risarcitori eventualmente ricollegabili alla illegittimità dell’esclusione, la sezione ritiene che nessun ostacolo incontra la pronuncia di improcedibilità alla luce del nuovo codice del processo.

Dal complesso delle disposizioni sancite dagli artt. 34 e 35 c.p.c. che, nella sostanza, razionalizzano gli approdi cui era pervenuta la precedente giurisprudenza, si evince il seguente quadro di riferimento.

Tra le ragioni impeditive di una pronuncia di merito, quale causa di riforma in rito della sentenza di primo grado senza rinvio, è stato tipizzato il difetto sopravvenuto di interesse che, incidendo sopra una condizione dell’azione (l’interesse a ricorrere), preclude l’esame del merito della domanda (cfr. fra le tante Cons. St., sez. V, 13 febbraio 2009, n. 823).

Il difetto sopravvenuto di interesse (come pure la cessazione della materia del contendere se sopravvenuta in secondo grado), giustificano la riforma in rito della sentenza di primo grado senza rinvio, anzitutto, se si sono verificate già nel corso del giudizio di primo grado, ma non sono state rilevate dal giudice (come verificatosi nel caso di specie).

Inoltre, comportano la riforma in rito della sentenza di primo grado anche se si verificano solo in grado di appello, ovviamente con riferimento alla posizione dell’appellato vittorioso in primo grado; in questo caso, infatti, la carenza d’interesse in ordine all’annullamento del provvedimento originariamente impugnato, sopravvenuta nelle more del giudizio di appello, comporta la dichiarazione di improcedibilità, non soltanto dell’appello, ma altresì degli originari ricorsi proposti davanti al Tar. P. del nuovo c.p.a., in tale evenienza, quando non si vertesse in ipotesi di vizio o difetto inficiante la sola fase d’appello, si dichiarava l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata (Cons. St., sez. IV, 20 dicembre 2005 n. 7249, sez. IV, 3 ottobre 2005 n. 5255); lo stesso accadeva in caso di cessazione della materia del contendere, intervenuta in appello, in relazione al provvedimento impugnato in prime cure (cfr. Cons. St., sez. IV, 14 giugno 2005, n. 3119).

E’ dunque decisivo che il giudice di appello rilevi in primo luogo il momento esatto in cui interviene l’evento che genera la improcedibilità; se esso si è verificato durante il corso del giudizio di primo grado dovrà in ogni caso essere dichiarato improcedibile l’originario ricorso.

Se l’evento impeditivo del giudizio sopravviene nel corso del giudizio di secondo grado si dovrà distinguere la posizione dell’originario ricorrente a seconda che sia soccombente (e quindi appellante), ovvero vincitore (e quindi appellato, cfr. sul punto Cons. St., sez. IV, 12 giugno 2003, n. 3318; sez. V, 27 marzo 2000, n. 1757).

Nella vicenda che occupa, come già ricordato, il fatto impeditivo del giudizio – costituito dalla delibera n. 487/2009 – è intervenuto durante il corso del giudizio davanti al T.a.r., sicché si impone una pronuncia di improcedibilità del ricorso di primo grado.

7.3. Si pone la questione dell’ambito applicativo della norma sancita dall’art. 34, co. 3, c.p.a. secondo cui: "Quando, nel corso del giudizio l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori".

Si tratta di chiarire, in sostanza, se l’applicazione della norma presupponga o meno una espressa istanza dell’interessato.

7.3.1. Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, per ottenere la pronuncia del giudice sulla illegittimità del provvedimento impugnato a mente dell’art. 34, co., 3, cit., sarebbe sempre necessaria la domanda della parte (cfr. Cons. St., sez. V, 6 dicembre 2010, n. 8550).

7.3.2. In base ad un secondo indirizzo, diffusamente argomentato, il tenore testuale della norma dianzi illustrata e la circostanza che il petitum della domanda di annullamento contenga in sé come presupposto necessario l’accertamento della illegittimità del provvedimento impugnato, lasciano intendere che non sia necessaria una specifica istanza dell’interessato (cfr. Cons. St., sez. V, 12 maggio 2011, n. 2817).

7.3.3. Il collegio ritiene preferibile la P. tesi.

La norma in esame ha introdotto una ipotesi tipizzata di azione di accertamento; tutte le azioni, comprese quelle di accertamento, devono essere sostenute da uno specifico interesse ad agire e sono sottoposte, salvo diverse disposizione di legge (ad es. art. 122 c.p.a.), al principio della domanda; conseguentemente, se la parte non domanda l’accertamento di cui al co. 3 cit. (direttamente anche in grado di appello), il giudice non può procedere d’ufficio alla declaratoria di mera illegittimità del provvedimento amministrativo, strumentale alla proposizione di una successiva domanda di risarcimento del danno; né la parte subisce pregiudizio alcuno, perché nel successivo giudizio potrà dimostrare la illegittimità del provvedimento quale presupposto del risarcimento del danno.

Questa soluzione:

a) è coerente con il contesto normativo che disciplina l’azione di risarcimento del danno (che può essere proposta insieme alla domanda di annullamento, durante la pendenza del relativo giudizio, ovvero in via autonoma);

b) è rispettosa del principio generale della domanda (art. 34, co. 1, c.p.a.);

c) attribuisce un significato utile all’inciso "….se sussiste l’interesse ai fini risarcitori" di cui al co. 3 dell’art. 34, in relazione all’obbligo del giudice di dichiarare improcedibile il ricorso se sopravviene il difetto di interesse, ex art. 35, co. 1, lett. c) c.p.a., obbligo che non concerne solo il ricorso per annullamento ma tutte le domande proponibili davanti al g.a.;

d) è conforme al principio di economia dei mezzi processuali (quale corollario della ragionevole durata del processo, art. 2, co. 2, c.p.a.), per cui in mancanza di una espressa volontà della parte (in qualunque forma manifestata sino all’udienza di discussione), si evita una inutile attività giurisdizionale volta a stabilire se il provvedimento sia o meno illegittimo;

e) sotto il profilo sistematico è coerente con la lettera e la ratio dell’art. 104 c.p.a. che, dopo aver ribadito il divieto nel processo amministrativo di proporre domande nuove in appello, introduce tre eccezioni, la P. delle quali incentrata proprio sull’art. 34, co. 3, c.p.a.; "si tratta di un temperamento specifico per il processo amministrativo, innovativamente introdotto dal c.p.a., di cui non vi era traccia nel sistema previgente. La portata dell’eccezione al divieto di domande nuove, fatta dall’art. 104, co. 1, c.p.a., mediante richiamo all’art. 34, co. 3, è da intendersi nel senso che la domanda di accertamento dell’illegittimità in funzione dell’interesse risarcitorio (indispensabile atteso che il giudice non può pronunciarsi ex officio ritenendo compresa la richiesta di accertamento in quella di annullamento), formulata per la P. volta in appello, non costituisce domanda nuova inammissibile, rispetto all’originaria domanda di annullamento, se nelle more tra giudizio di primo grado e di appello, è venuto meno l’interesse all’annullamento dell’atto, ma residua l’interesse al riscontro della sua illegittimità " (cfr. Cons. St., sez. V, 30 giugno 2011, n. 3913).

7.3.4. Nella specie, la mancanza di una richiesta della parte interessata all’accertamento dell’illegittimità del provvedimento impugnato, esime il collegio dal provvedere.

7.4. Una volta assodato che è possibile (anzi doveroso) dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse in relazione all’originario ricorso di primo grado, è opportuno soffermarsi sulle conseguenze in ordine al tipo di pronuncia che deve essere adottata dal giudice di appello.

In base al nuovo codice, le sentenze di rito inerenti al giudizio di appello possono essere di:

a) irricevibilità dell’appello per tardiva notificazione o per tardivo deposito;

b) inammissibilità per vizio di notifica, non sanato;

c) inammissibilità per difetto di soccombenza;

d) inammissibilità per difetto di impugnazione di tutti i capi di sentenza;

e) inammissibilità per difetto di specificità dei motivi;

f) inammissibilità per difetto di interesse;

g) inammissibilità per difetto di legittimazione;

h) inammissibilità per mancanza di integrità del contraddittorio;

i) improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse;

l) estinzione per perenzione, inattività oltre i termini di legge, rinuncia.

Sono anche possibili, da parte del giudice di appello, pronunce in rito per cause che afferiscono al giudizio di primo grado (ad es. irricevibilità o inammissibilità del ricorso di primo grado, difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse).

Nella nuova sistematica del codice, in linea generale, le pronunce in rito relative al giudizio di primo grado comportano l’annullamento della sentenza appellata con rinvio, o la riforma in rito senza rinvio.

P. del c.p.a., gli artt. 34 e 35, l. Tar, disciplinavano i casi in cui il giudice di appello non decideva nel merito, ma annullava la sentenza di primo grado, rispettivamente senza rinvio, ovvero con rinvio al primo giudice.

Ora, l’art. 105 c.p.a. non fa più menzione dell’annullamento senza rinvio, e disciplina i soli casi di rimessione della causa al Tar.; al co. 1, si parla solo di rimessione della causa al giudice di primo grado, senza farsi menzione del dispositivo di "annullamento con rinvio", tuttavia nel successivo co. 3 del medesimo articolo si parla di annullamento con rinvio.

Scartata l’ipotesi della mera svista del legislatore, pertanto, mentre nel sistema previgente, oltre ai dispositivi di riforma e conferma, vi erano quelli di annullamento con rinvio e senza rinvio, nel c.p.a. i dispositivi sono quelli di riforma o conferma, e di annullamento con rinvio, mentre scompare l’annullamento senza rinvio.

Nell’ambito del genus della riforma devono farsi rientrare anche i casi in cui in passato si disponeva l’annullamento senza rinvio, che sono ora casi di "riforma in rito", vale a dire di "sostituzione di una pronuncia di merito con una pronuncia di rito" senza rimessione al primo giudice.

E’ perciò venuto meno il previgente istituto dell’annullamento senza rinvio.

Nelle ipotesi in cui il giudice di primo grado non avrebbe potuto pronunciarsi nel merito, ma avrebbe dovuto limitarsi ad una pronuncia di rito, o perché il giudice amministrativo non ha giurisdizione, o perché la controversia rientra nella competenza inderogabile di un altro T.a.r., o perché esistono cause impeditive o estintive del giudizio, che precludono l’esame del merito, e che in passato davano luogo ad annullamento senza rinvio, si avrà invece un esito di riforma, in cui una pronuncia di rito sostituisce una pronuncia di merito.

Quanto ai casi che in precedenza erano di annullamento con rinvio, l’art. 35, l. Tar, si riferiva ai casi in cui il Consiglio di Stato accoglieva il ricorso per difetto di procedura o per vizio di forma della decisione di primo grado, o quando il Consiglio di Stato accoglieva il ricorso contro la sentenza con la quale il tribunale amministrativo regionale avesse dichiarato la propria incompetenza.

Secondo la giurisprudenza, l’annullamento con rinvio andava disposto anche quando il Consiglio di Stato accoglieva il ricorso contro la sentenza con la quale il tribunale amministrativo regionale avesse declinato la propria giurisdizione.

Ora, l’art. 105 c.p.a. considera casi di annullamento con rinvio della causa al giudice di primo grado il difetto del contraddittorio, la lesione del diritto di difesa di una delle parti, la nullità della sentenza, o i casi in cui viene riformata la sentenza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza, o ha dichiarato l’estinzione o la perenzione del giudizio.

Il c.p.a. specifica meglio i casi che in passato si ascrivevano a difetto di procedura o vizio di forma della decisione di primo grado, facendo riferimento alle violazioni del contraddittorio, alla violazione del diritto di difesa, alla nullità della sentenza. Il c.p.a. aggiunge come ipotesi di annullamento con rinvio i casi, dubbi in passato, di erronea dichiarazione dell’estinzione o perenzione del giudizio.

Se ne desume che in ogni altro caso, il Consiglio di Stato decide sulla controversia nel merito (così, espressamente, in passato, l’art. 35, co. 3, l. Tar), ovvero in rito (come nel caso di specie).

In definitiva, la riforma con sostituzione della pronuncia di merito con una pronuncia di rito corrisponde alla previgente ipotesi di annullamento senza rinvio, e va disposta quando la sentenza di primo grado è affetta da vizi di rito radicali, preclusivi dell’esame della controversia nel merito da parte del giudice amministrativo.

L’annullamento con rinvio al primo giudice va disposto quando la sentenza di primo grado è affetta da vizi di rito che:

a) hanno impedito l’esame del merito laddove invece il giudice di primo grado avrebbe dovuto esaminare il merito, il che accade quando il giudice di prime cure erroneamente declina la propria competenza o la propria giurisdizione;

b) hanno fatto sì che l’esame del merito sia avvenuto senza il rispetto di regole procedurali inderogabili.

8. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni deve essere dichiarato improcedibile l’originario ricorso di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse con la conseguente riforma senza rinvio dell’impugnata sentenza.

9. Nel peculiare andamento del processo, come si è sviluppato nei due gradi di giudizio, il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ex artt. 26, co. 1, c.p.a. e 92, c.p.c., le spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:

a) in riforma dell’impugnata sentenza dichiara improcedibile il ricorso di primo;

b) dichiara integralmente compensate fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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