Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
S.A. citò innanzi al Tribunale di Torre Annunziata A.C. al fine di sentir emettere sentenza che tenesse luogo del contratto definitivo di vendita di un terreno e di parte di un fabbricato colonico, oggetto di un contratto preliminare con il convenuto, rimasto inadempiuto. Il convenuto si costituì contrastando la domanda con l’osservare che l’attore non avrebbe curato il frazionamento catastale della porzione del fabbricato promessa in vendita – al fine di distinguerla da quella, rimasta nella disponibilità di esso promittente venditore, non oggetto del preliminare – nel termine pattuito come essenziale del 30 aprile 1992. Spiegò dunque domanda riconvenzionale per la risoluzione del preliminare per inadempimento dell’attrice, con riconoscimento del proprio diritto di trattenere la caparra confirmatoria già percetta.
Nel corso del giudizio decedette l’attore e la causa venne riassunta dalla figlia S.C., unica erede del predetto, a seguito della rinunzia dell’altra erede, sorella della prima, L. S..
L’adito Tribunale, pronunziando sentenza n. 1570/2002, respinse la domanda della S. – non essendo stata rinvenuta in atti la copia del contratto preliminare – ed accolse quella dell’ A., compensando le spese.
La Corte di Appello di Napoli , con sentenza n. 3197/2007, riformò l’anzidetta decisione , emettendo pronunzia ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., condizionata al versamento del residuo prezzo pari ad Euro 30.987,60. Il giudice dell’impugnazione pervenne a tale decisione osservando innanzi tutto che il Tribunale aveva dato atto della produzione del contratto preliminare – da parte dell’ A. – di tal che aveva accolto la domanda della convenuta che pur sempre su clausole di quel contratto trovava fondamento; ritenne poi che il termine – indicato in contratto al 30 aprile 1992, poi anticipato al 25 marzo con apposita clausola aggiuntiva, per esser nuovamente portato alla data originaria con missiva dell’ A. – non potesse essere considerato essenziale, stante la genericità delle espressioni usate e la conseguente carenza di indici testuali dai quali trarre il convincimento della carenza di interesse alla conclusione del contratto oltre la data prefissata; quanto poi al rifiuto della stipula da parte della promissaria acquirente, prima del completamento della pratica di accatastamento del frazionamento, ritenne la Corte del merito che tale condotta , lungi dall’integrare un inadempimento, sarebbe stata giustificata dalla volontà di salvaguardarsi da possibili pregiudizi dovuti a trasferimenti interessanti beni catastalmente ancora intestati al promittente venditore; ritenne altresì il giudice dell’appello che vi fossero indici inequivoci della volontà della S. di addivenire alla stipula del definitivo, non avendo tenuto, la medesima, una condotta inerte nella pendenza del termine del 30 aprile 1992; giudicò inoltre la Corte territoriale che l’offerta del pagamento del prezzo – quale presupposto per l’accoglimento della domanda ex art. 2932 cod. civ. – fosse implicita nella proposizione della domanda e comunque da rapportarsi alla previsione contrattuale che spostava tale adempimento alla stipula del definitivo e, quindi, al passaggio in giudicato della sentenza che di esso avesse tenuto luogo.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l’ A., sulla base di sette motivi; la S. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1 – Con il primo motivo viene denunciata la " violazione di legge, erronea e falsa applicazione degli artt. 100 e 110 c.p.c. per assoluto difetto di prova sulla esclusiva qualità ereditaria di S.C. – art. 360 c.p.c., n. 3 "assumendosi che, sia il Tribunale sia la Corte di Appello, avrebbero omesso di verificare:
a – che S.C. e la rinunziante sorella L. fossero le uniche eredi dell’originario attore S.A.; b – che la rinunziante non avesse a sua volta altri figli che potessero subentrarle per rappresentazione nell’accettazione dell’eredità del de cujus; c – che neppure vi sarebbe stata la prova della premorienza della moglie del predetto, al fine di escluderla dal novero dei successibili e quindi delle persone nei cui confronti avrebbe dovuto essere integrato il contraddittorio; d – che non sarebbe neppure stata indagata la possibilità di una diversa successione – per testamento anzichè legittima- con ulteriore ampliamento dei chiamati all’eredità. 1/a – Va innanzi tutto messo in evidenza che non vi è congruità logica tra le norme richiamate – relative all’identificazione dell’interesse ad agire nel successore della parte originaria – e lo svolgimento del mezzo, con cui invece si pone l’accenno sulla diversa questione dell’integrità del contraddittorio e che non si svolgono rilievi sulla comunque esistente legittimazione di C. S. a proseguire il giudizio instaurato dal padre; oltre a ciò la formulazione del quesito di diritto à sensi dell’art. 366 bis c.p.c. – applicabile ratione temporis – diretto a stimolare la Corte all’esercizio della propria funzione nomofilattica sulla base di una prospettata interpretazione della norma, difetta di specificità, non facendo emergere la specialità della fattispecie – rinvenibile nella prospettata latitudine dei poteri di accertamento di ufficio sulla esistenza di altri successibili -, risultando altresì eccentrico rispetto alla questione centrale prospettata.
1/b – Il motivo peraltro è infondato in quanto avendo S. C. dimostrato di esser chiamata all’eredità ab intestato attraverso la denunzia di successione – acquisendo la qualità di erede, se non altro, per facta concludentia mediante la resistenza in giudizio – ed avendo provato che l’altra successibile aveva rifiutato l’eredità, sarebbe stato onere della controparte di allegare circostanze che ponessero in dubbio, al fine dell’esercizio del potere officioso di cui sostanzialmente si allega il mancato esercizio, la integrità del contraddittorio (cfr. Cass. Sez 2, n. 24150/2007; Cass, Sez. 2, n. 3430/2003; Cass. Sez. Lav. n. 11708/2000).
2 – Con il secondo motivo viene dedotta la " violazione di legge, omessa applicazione dell’art. 1456 cod. civ. ed omessa valutazione della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto inter partes ( art. 360 c.p.c., n. 3)" assumendosi che dalla lettura del contratto preliminare sarebbe emersa chiaramente la stipulazione di una clausola risolutiva espressa, per la cui attivazione sarebbe stata sufficiente la verifica dell’inadempimento del promissario acquirente al versamento del saldo del prezzo e della sua volontà di non voler stipulare alle condizioni pattuite.
2/a – A corredo di tale censura viene posto un quesito di diritto del tutto privo di specificità, dal momento che con esso parte ricorrente si limita a chiedere alla Corte di asseverare un principio pacifico – che cioè in presenza di una clausola risolutiva espressa e dell’accertamento della venuta in esistenza delle condizioni per la sua attivazione, il giudice del merito non potrebbe dare ingresso ad una disamina delle fonti istruttorie.
2/b – Va comunque messo in rilievo che il motivo introduce una questione del tutto nuova, non appartenendo alla materia del contendere, nei precedenti gradi di giudizio, l’esistenza di una clausola risolutiva espressa nè parte ricorrente deduce l’omessa valutazione di siffatta questione, da parte della Corte distrettuale.
3 – Con il terzo motivo è dedotta la "violazione di legge: omessa applicazione dell’art. 1457 cod. civ. ed omessa considerazione dell’esistenza – nel contratto preliminare- del termine essenziale stipulato dal promittente venditore ( art. 360 c.p.c., n. 3)" negandosi che il semplice rilievo della genericità della locuzione "entro e non oltre" potesse condurre all’esclusione della pattuizione di un termine essenziale, osservando in contrario che la lettura del testo negoziale sarebbe stata parziale, omettendo la Corte distrettuale di riportare – e verosimilmente di considerare – l’ulteriore clausola in cui veniva espressamente indicato come essenziale il termine per la stipula del rogito definitivo; del pari sarebbe stato pretermesso nella valutazione della caratteristica del termine anche l’esame della scrittura integrativa con la quale le parti, sul presupposto della suddetta essenzialità, avrebbero anticipato la scadenza per la stipula del definitivo al 25 marzo 1992. 4- Con il connesso quarto motivo parte ricorrente deduce che il giudice dell’appello sarebbe incorso in una " violazione di legge:
omessa applicazione dell’art. 1362 cod. civ. ed insufficiente motivazione ( art 360 c.p.c., n. 3)" avendo omesso di scrutinare quale fosse stata la comune intenzione delle parti, al di là dei termini usati nella formulazione dell’accordo negoziale, per desumerne la volontà di ritenere essenziale il termine, in particolare non valutando la – già sopra messa in rilievo – reiterazione della fissazione del termine nel patto aggiunto e la volontà di avvalersi di tale pattuizione espressa da esso ricorrente nella missiva del 28 maggio 1992. 4/a In entrambi i motivi manca la formulazione di quesiti di diritto rispondenti allo schema – ed alle finalità – di cui all’art. 366 bis c.p.c.: quanto alla terza censura, perchè l’interrogazione de jure rivolta alla Corte ha ad oggetto non già la violazione o falsa applicazione dell’art. 1457 cod. civ. quanto piuttosto – e genericamente – il vizio di motivazione; quanto al quarto mezzo, per mancanza di specificità, atteso che il quesito formulato era a risposta obbligata e del tutto avulsa dalla fattispecie.
5- Con il quinto motivo viene censurata di "violazione di legge:
omessa applicazione dell’art. 345 c.p.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3)" la decisione della Corte distrettuale là dove non ha dichiarato d’ufficio l’inammissibilità della domanda nuova proposta dall’appellante – con la quale si chiedeva al giudice dell’appello di statuire le modalità ed i termini per il pagamento del residuo prezzo.
5/a -Il quesito di diritto difetta di specificità, essendo formulato in maniera tale da riprodurre la lettera dell’art. 345 c.p.c., rendendo quindi la risposta scontata ed impossibile lo svolgimento della funzione di direzione di conflitti interpretativi su norme, commessa dall’art. 366 bis c.p.c. a questa Corte.
6 – Con il sesto motivo viene dedotta la "violazione di legge: omessa applicazione dell’art. 2932 c.p.c., comma 20, ( art. 360 c.p.c., n. 3)" assumendo parte ricorrente che la Corte del merito avrebbe emesso sentenza che teneva luogo del contratto definitivo senza che la promissaria acquirente avesse fatto offerta del pagamento del residuo prezzo o, quanto meno, avesse dimostrato di essere pronta all’adempimento, mediante offerta formale anteriore alla notifica della citazione.
6/a – Tale censura non appare poter sfuggire ad un giudizio di inammissibilità e ciò sotto molteplici motivi: perchè non è stata esaminata la motivazione della Corte territoriale che, richiamando precedenti di legittimità, ha messo in rilievo la equiparazione tra offerta esplicita di pagamento del residuo prezzo e domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 cod. civ.; perchè tale interpretazione era conforme a consolidato indirizzo interpretativo (vedi, prima della pubblicazione della gravata decisione: Cass. Sez. 3, n. 59/2002, citata dalla Corte di merito; Cass. Sez. 2, n. 14768/2005; Cass, Sez. 2, n. 16.881/2007; alle quali adde successivamente al deposito della pronunzia in esame: Cass., Sez. 2, n. 477/2010; Cass. Sez. 2, n. 17.688/2010; Cass. ord sez. 6/2 n. 29.849/2011) e quindi sarebbe stato onere della parte ricorrente esplicitare le ragioni in contrasto a tale indirizzo interpretativo;
perchè il quesito di diritto formulato a sostegno del mezzo è eccentrico rispetto alle argomentazioni esposte nel motivo, impingendo queste ultime nella valutazione della rilevanza del rifiuto del promissario acquirente a stipulare il contratto definitivo di vendita e non già nella parametrazione della regula juris attinente alla forma dell’offerta di adempimento per l’ottenimento di una sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ..
7 – Con il settimo motivo viene dedotta la "violazione di legge.
Omessa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650 ( art. 360 c.p.c., n. 3)" per aver, la Corte napoletana, sostenuto che non sarebbe stata sanzionabile la condotta di chi si fosse rifiutato di stipulare il contratto definitivo a cagione del mancato frazionamento della parte di immobile oggetto di compravendita – per distinguerla da quella che sarebbe rimasta nella titolarità del promittente venditore – non considerando che il frazionamento non è condizione per la stipula del rogito notarile e che, trascorsi 20 giorni dalla presentazione del tipo di frazionamento si forma un silenzio-assenso da parte della P.A..
7/a – Anche tale mezzo non risponde allo schema legale del motivo di ricorso come delineato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 perchè parte da una non attenta lettura della motivazione della Corte del merito la quale non affermò che il promissario acquirente potesse legittimamente rifiutarsi di adempiere adducendo il mancato frazionamento – e quindi non attestò che tale adempimento costituisse obbligo primario del promittente venditore – ma dedusse che la condotta del promissario acquirente – "improntata a particolare zelo" e giustificata dalla volontà di non soggiacere un domani ad iniziative di terzi originate dalla indifferenziazione catastale dei beni- non concretasse un inadempimento utilmente azionabile con la richiesta di risoluzione, al fine di incamerare la caparra confirmatoria ricevuta dalla S..
7/b – Ne consegue che in nessun caso può affermarsi che la Corte distrettuale incorse in una erronea identificazione dei confini applicativi della norma sopra descritta nè tanto meno falsamente ricondusse la fattispecie concreta in quella astratta disciplinata dal D.P.R. n. 650 del 1972. 8 – Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come indicato nel dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, determinandole in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.
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