Cassazione civile anno 2005 n. 1817 Procedura

LIQUIDAZIONE COATTA AMM.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Il Commissario alla liquidazione coatta amministrativa del C. A. P. di Benevento ammise al passivo chirografario della procedura il credito della s.p.a. B. A. V., insinuato come privilegiato sul fondamento della legge n. 1760 del 1928, essendo il credito portato da una cambiale asserita agraria;
escludeva il credito degli interessi ultralegali per difetto della convenzione scritta. Il Tribunale di Benevento accoglieva parzialmente l’opposizione del B., riconoscendo la natura privilegiata del credito, ma la Corte d’appello di Napoli, con la sentenza pubblicata il 2 luglio 2001, accogliendo l’appello del C., rigettava l’opposizione allo stato passivo proposta dal B..
La Corte di merito affermava: 1. che doveva considerarsi ammissibile la nuova eccezione che il Commissario aveva sollevato in sede di opposizione allo stato passivo, negando la sussistenza stessa del privilegio (nell’elenco dei crediti ammessi da lui formato il medesimo Commissario aveva escluso la prelazione per la sola ragione che nella massa attiva della procedura non sussistevano più i beni oggetto del privilegio speciale mobiliare, non aveva cioè contestato la natura in sè di credito A. di quello vantato dalla banca);
2. che il documento -unico- prodotto dalla banca creditrice come fonte della vantata prelazione era costituito da una cambiale alla quale si sarebbe preteso di attribuire la qualificazione di cambiale agraria in forza della sola indicazione ivi apposta ("conduzione") senza alcun’altra specificazione, sicchè in concreto difettano le essenziali indicazioni alle quali la legge (art. 2, n. 1, del decreto legge 1509 del 1927, convertito nella legge n. 1760 del 1928, invocato nella istanza di ammissione al passivo) ricollega l’effetto del privilegio legale a favore del credito A., nè il tenore della domanda di prestito offre alcun elemento integrativo della speciale qualificazione del credito (come pur sarebbe stato ammissibile); 3. che con fondamento era stata esclusa l’ammissione del credito per gli interessi in misura ultralegale nel difetto della convenzione scritta che – sola – li legittima, essendo inidonea al riguardo la documentazione della dichiarazione (a firma di direttore e presidente del C.) con promessa di interessi pari a 7,5 punti oltre il tasso ufficiale di sconto, priva per altro della sottoscrizione di alcun rappresentante della banca (mentre non è invocabile nella specie lo schema di formazione negoziale di cui all’art. 1333 c.c., cui la difesa della banca aveva fatto riferimento). Contro questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la s.p.a. IntesaBci Gestione Crediti, in proprio (intervenuta nel giudizio di opposizione) e quale procuratore della s.p.a. IntesaBci (già Banca Intesa s.p.a., poi Banca Intesa Banca Commerciale Italiana s.p.a.), succeduta per incorporazione alla appellata s.p.a. B. A. V., argomentando quattro motivi di impugnazione. Il Commissario liquidatore del C. A. P. di Benevento ha contraddetto con controricorso. La società ricorrente ha presentato memoria a norma dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di impugnazione la società ricorrente, prospettando "Violazione o falsa applicazione" dell’art. 98 legge fallimentare, nonchè contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la decisione per avere la Corte di merito (contraddicendo la corretta premessa in diritto secondo cui anche l’opposizione a norma dell’art. 209, secondo comma, legge fallimentare, da vita a un "giudizio in contraddittorio, sotto forma di impugnazione, sulla domanda di ammissione al passivo") ritenuto che al commissario non fosse preclusa la eccezione relativa alla asserita natura non privilegiata del credito fatto valere dalla banca, quando invece in sede di formazione dello stato passivo la prelazione era stata esclusa, sull’implicito presupposto della qualificazione del credito come "A.", per la ragione che nella massa attiva non erano stati reperiti i beni oggetto dello speciale privilegio legale. Sicchè una tale statuizione avrebbe fissato l’ambito insuperabile del conseguente giudizio impugnatorio anche per la difesa della procedura, e al commissario sarebbe stato precluso di ampliare il tema dello stesso giudizio con la nuova contestazione in ordine alla qualificazione stessa del credito (appunto come chirografario). Richiama la ricorrente la giurisprudenza di legittimità consolidata nel senso che l’opposizione allo stato passivo proposta dal creditore escluso dal concorso fallimentare costituisce una vera e propria impugnazione del provvedimento del giudice delegato, con la conseguenza che il tribunale, cui è devoluta la cognizione di essa, non può pronunciarsi su questioni non dedotte dall’opponente, dal curatore e dagli altri creditori eventualmente intervenuti in causa, salvo che si tratti di questioni rilevabili d’ufficio, nè possono essere proposte domande nuove e più ampie rispetto a quelle fatte valere in sede di insinuazione al passivo. La censura così argomentata non può essere condivisa.
Si deve innanzitutto rilevare che con le affermazioni di principio qui ora richiamate è stato dalla stessa giurisprudenza ritenuto compatibile lo sviluppo nel senso che "nulla impedisce al curatore di far valere, in via di eccezione, ragioni di infondatezza della pretesa del ricorrente diverse da quelle enunciate nell’originario provvedimento di non ammissione del credito, non essendovi alcun onere di sollevare tutte le possibili contestazioni nel corso della adunanza prevista dall’art. 96 legge fallimentare" (Cass., 1 agosto 1996, n. 6963). L’opposizione ex art. 98 l.f. costituisce infatti un giudizio a tema vincolato, fissato dalla originaria domanda di ammissione al passivo che il precedente art. 93 vuole compiutamente espressa con "l’indicazione della somma, del titolo da cui il credito deriva, delle ragioni di prelazione e dei documenti giustificativi" e che ha effetto di "domanda giudiziale" (art. 94), mentre alla cognizione necessariamente sommaria in sede di preliminare "formazione dello stato passivo" (art. 95, essendo il giudice delegato tenuto ad esporre "sommariamente" i motivi delle totali o parziali esclusioni) e di consecutivo esame nell’adunanza di verificazione non può funzionalmente conseguire per il curatore, nell’eventuale sviluppo contenzioso del giudizio di opposizione, alcuna preclusione analoga a quella che deriva dall’esaurimento delle incombenze difensive della "prima udienza di trattazione" a norma dell’art. 183 c.p.c.. Con la conseguenza che, proposta opposizione dal "creditore escluso", il contenzioso, rigorosamente fissato nel suo oggetto dalla prospettazione della originaria domanda di ammissione al passivo (che non può essere perciò modificata o ampliata, nè è consentito al curatore di estendere il giudizio a pretese riconvenzionali), entro quei limiti si sviluppa pienamente e al curatore è dato di contestare sotto ogni profilo la sussistenza del credito o il suo ammontare, ovvero la qualificazione privilegiata di esso, senza incontrare alcuna preclusione che derivi dalla motivazione della "definitiva formazione dello stato passivo" (espressione di un potere eminentemente ufficioso del giudice delegato, non condizionato dalle deduzioni del curatore) che l’opposizione ha l’effetto di rimettere, quanto al suo specifico oggetto, integralmente in discussione.
Conclusioni, queste, che a maggior ragione debbono valere nella ipotesi di formazione dello stato passivo della liquidazione coatta amministrativa, che non ha natura giurisdizionale, essendo dall’art. 209 l.f. rimessa alla esclusiva iniziativa del commissario liquidatore, sicchè le opposizioni previste dal secondo comma dello stesso articolo "- a differenza delle opposizioni e delle impugnazioni allo stato passivo fallimentare – non rappresentano il secondo stadio di un procedimento unico, costituendo l’unica sollecitazione all’esercizio della funzione giurisdizionale" (Corte Costituzionale, 2 dicembre 1980, n. 155), nè alla domanda soltanto eventuale dei creditori (art. 208, in rapporto al precedente art. 207, l.f.) possono riconoscersi gli effetti della domanda giudiziale (a differenza della domanda di ammissione al passivo fallimentare:
art. 94 l.f). Con la conseguenza che il contraddittorio in funzione della tutela giurisdizionale del diritto del creditore nei confronti dell’impresa in liquidazione coatta amministrativa si instaura dal momento della proposta opposizione e nessuna preclusione alla difesa della procedura può derivare dalla precedente fase amministrativa di formazione dello stato passivo. Senza dire, infine, che la difesa svolta nella specie dal commissario liquidatore con l’atto di costituzione nel giudizio di opposizione non integra già una eccezione in senso proprio, ma è diretta a contestare la qualificazione stessa del credito come "A." e la conseguente sussistenza della causa di prelazione.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la società ricorrente denuncia ‘Violazione o falsa applicazione degli artt. 2766 c.c. e 8 r.d.l. 29 luglio 1927, n. 1509, convertito con modificazioni nella legge 5 luglio 1928, n. 1760, in relazione agli artt. 2, nn. 1 e 4 lett. b) e 6, comma 1, r.d.l. n. 1509 del 1927, nonchè 6, comma 2, d. m. 23 gennaio 1928 e all’articolo unico della legge 5 dicembre 1972 n. 848"; e, dopo aver analizzato lo sviluppo della disciplina normativa del "credito A.", nel senso della sicura estensione di essa anche ai consorzi tra produttori, critica la decisione impugnata per non avere la Corte di merito tenuto nella necessaria considerazione la particolare natura del diretto destinatario della operazione di prestito e cioè del C. come ente esponenziale degli interessi dei soci, intermediario tra i propri consorziati e gli istituti di credito e di avere perciò erroneamente considerato come "carenza formale dei requisiti richiesti per la validità del privilegio legale" "la mancata indicazione dei singoli fondi di riferimento", "dovuta esclusivamente a una materiale impossibilità", che "non altera in alcun modo la natura dell’operazione di credito A. di esercizio".
Benchè enunciato come censura per violazione di norme di diritto, il motivo è diretto in realtà all’apprezzamento di merito della Corte d’appello che, avendo esaminato analiticamente i singoli documenti sui quali si fonda la prova della operazione di credito, ha constatato che la sola cambiale esibita, per l’importo di lire 1.0555.754.055, porta come unica indicazione l’espressione "conduzione", "senza alcuna altra specificazione", nè tale carenza era risultata in concreto integrata (come sarebbe stato in astratto possibile) dal tenore testuale della domanda di prestito, non solo perchè essa reca un diverso importo, ma soprattutto perchè sono stati lasciati in bianco gli spazi del relativo stampato predisposti per le necessarie indicazioni specificative e in particolare quelli riservati alla indicazione dei fondi (dei consorziati) "ai quali non è fatto neppure un generico riferimento cumulativo": sicchè non poteva essere condivisa la duplice valutazione presuntiva sulla quale si era fondata la decisione del Tribunale e cioè che l’espressione "conduzione" dovesse essere riferita a tutti indistintamente i fondi coltivati dagli associati e che la stessa conduzione fosse unicamente diretta alla produzione del tabacco, giacchè esclusivamente i prodotti di tale natura costituirebbero, secondo la prospettazione del B. in giudizio, l’oggetto del privilegio; e in conclusione, nel difetto di prova del ruolo del C. in funzione di intermediazione nel ricorso al credito, si poneva "come unica alternativa" la utilizzazione speculativa, in proprio, del prestito.
Ebbene, la ricorrente non critica il nucleo essenziale di questa argomentazione (il motivato convincimento che il tenore testuale della cambiale e della domanda di prestito non prova affatto che il credito fosse stato concesso per gli scopi di cui all’art. 2, n. 1, della legge 5 luglio 1928, n. 1760, fosse cioè finalizzato a sostenere finanziariamente operazioni di conservazione, trasformazione, commercializzazione dei prodotti delle aziende agricole consorziate, perciò inerenti alla conduzione di esse) e si limita a postulare una astratta "materiale impossibilità di provvedere alla specifica indicazione, trattandosi dei fondi dei diversi consociati" (pagina 20 del ricorso) e a bollare come "irragionevole" la conclusione cui si perverrebbe se tale specifica indicazione fosse considerata requisito formale necessario alla qualificazione agraria del credito. La censura così espressa (che, al di là della sua letterale enunciazione, investe, come già si è constatato, l’apprezzamento nel merito – compiuto dai giudici di appello – della prova in ordine alla controversa natura del rapporto di credito, ma che neppure prospetta un riconoscibile vizio di motivazione della decisione impugnata) è palesemente inammissibile.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la società ricorrente, denunciando "violazione o falsa applicazione degli artt. 1333 e 1284 c.c., in relazione agli artt. 1325, 1326 e 1350 c.c.", censura la decisione per avere la Corte di merito considerato la lettera 30 gennaio 1991, sottoscritta da direttore e presidente del C., come "semplice promessa di interessi" del tutto avulsa dalla operazione di credito in funzione della quale era stata emessa la cambiale agraria, quando invece lo stesso documento fa espresso riferimento alla domanda di prestito presentata il precedente 30 settembre e alla conseguente erogazione di un miliardo di lire quale netto ricavo dello sconto della stessa cambiale con scadenza 30 gennaio 1992. Del tutto infondato, afferma la ricorrente, è dunque il riferimento al modello normativo di cui all’art. 1333 c.c., giacchè si tratta non già della conclusione di un contratto con obbligazioni a carico del solo proponente, bensì di una complessiva operazione di credito nell’ambito della quale le parti hanno convenuto interessi di mora al tasso del 7,5 oltre il tasso ufficiale di sconto; mentre l’aver la Banca prodotto in giudizio quel documento, non sottoscritto da alcun suo rappresentante, è valso a perfezionare sul piano sostanziale e processuale il contratto in esso contenuto, secondo il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità. Il motivo così argomentato è per più ragioni inammissibile.
Si deve premettere che la decisione sul punto (nel senso cioè della "mancanza di convenzione" in ordine ai pretesi interessi nella misura ultralegale) è fondata sulla valutazione di merito del documento al quale l’istituto di credito ha affidato la prova al riguardo, dalla Corte d’appello considerato come "promessa di interessi" "scollegata dal resto", cioè come "proposta" mancante "di qualsivoglia riferimento anche al conto corrente sul quale doveva essere accreditato lo sconto della cambiale agraria, essendo pur sempre il prestito di cui si discute, al quale vuoi collegarsi la mora, un’apertura di credito soggetta a speciale disciplina". Si tratta dunque del motivato apprezzamento del contenuto intrinseco di quell’atto, dalla Corte di merito valutato come inidoneo a costituire il preteso elemento integrativo del regolamento contrattuale dello speciale rapporto di credito, mentre la considerazione che la dichiarazione "a firma del direttore e del presidente del C." non fosse "neppure controfirmata da un qualche rappresentante della banca" è introdotta a conferma del convincimento che essa fosse "scollegata dal resto" (e non costituisce, a ben vedere, il diverso e ulteriore argomento secondo cui la determinazione per iscritto della misura ultralegale degli interessi, a norma dell’art. 1284, comma 3, c.c., esige in ogni caso anche la formale sottoscrizione del creditore).
Ebbene, benchè espressamente enunciato come corrispondente alla ipotesi di cui sub 3) del primo comma dell’art. 365 c.p.c., il motivo qui in esame in realtà sviluppa una censura di merito al punto impugnato della decisione, e della dichiarazione unilaterale 30 gennaio 1991 a firma di direttore e presidente del C. prospetta una alternativa valutazione interpretativa (come atto, si afferma, sicuramente integrativo, per il suo specifico contenuto, della disciplina contrattuale del rapporto di credito dedotto in giudizio), e così sollecita, senza neppure denunciare esplicitamente un vizio (e quale vizio) di motivazione, il riesame di una questione di merito, palesemente inammissibile in questa sede di legittimità.
Il motivo così argomentato riflette per altro la non corretta comprensione della ragione della decisione sul punto (e anche sotto questo riguardo deve ritenersi inammissibile), giacchè la Corte di merito, avendo negato che la dichiarazione 30 gennaio 1991 fosse intrinsecamente idonea ad integrare la disciplina contrattuale dello specifico rapporto di credito, non ha affrontato il tema in diritto dell’asserito perfezionamento della "convenzione" attraverso la produzione in giudizio dello stesso documento da parte della Banca che non lo aveva sottoscritto (ma intendeva avvalersene), sicchè non è pertinente il rilievo che la ricorrente rivolge alla decisione impugnata perchè non è stato considerato l’effetto (di asserito perfezionamento della convenzione) di quella produzione documentale.
4. Il quarto motivo del ricorso, con il quale è riproposta la questione della collocazione privilegiata degli interessi di mora (a norma dell’art. 54 legge fallimentare), già fatta oggetto dell’appello incidentale della Banca, dalla Corte di merito dichiarato assorbito nell’accoglimento del motivo dell’appello principale relativo alla negata natura privilegiata del credito capitale, è palesemente inammissibile, poichè attiene a un tema in ordine al quale la Corte di merito non si è pronunciata.
5. Il ricorso, affidato a motivi in parte infondati e in parte inammissibili, deve essere in conclusione rigettato, con la conseguente condanna della società ricorrente al rimborso delle spese di questa fase del giudizio a favore del C. resistente.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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