Cassazione civile anno 2005 n. 1797 Accertamento Società cooperative Esenzioni ed agevolazioni

IMPOSTA REDDITO PERSONE FISICHE E GIURIDICHE IVA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Con tre distinti avvisi in data 23.7.1994 l’Ufficio II.DD. di Rieti, esaminate le dichiarazioni dei redditi presentate per gli anni 1989, 1990 e 1991 dalla Coop. Agricola "La R. 78" s.r.l. esercente l’attività di allevamento di bestiame e trasformazione dei relativi prodotti, e tenuto conto delle risultanze del p.v.c. redatto dalla G.D.F. di Antrodoco dal quale risultava che la Cooperativa aveva omesso la vidimazione dei libro degli inventari, procedeva ai sensi dell’art. 39, c. 1^, e 40 d.p.r. n. 600/1973 alla rettifica delle dichiarazioni medesime, per inesatta applicazione del titolo 5^ del d.p.r., n. 597/1973 e per incompletezza degli elementi in esse indicati, specificando espressamente, ai fini della tassazione, che non era stato possibile, in sede di verifica documentale, accertare gli elementi ed i dati necessari per la concessione dell’agevolazione di cui all’art. 10 d.p.r. n. 601/1973.
Avverso tali atti proponeva tre distinti ricorsi la Cooperativa deducendo: 1) l’illegittimità dell’accertamento poichè gli artt. 7 e 7 ter del D.L. 357/94, come conv. con L. n. 489/1994 avevano reso irrilevanti le vidimazioni omesse, e le violazioni degli obblighi soppressi non producevano effetti anche ai fini delle sanzioni, comprese quelle penali; 2) l’erronea applicazione delle aliquote IRPEG e ILOR perchè non conformi ai dettami dell’art. 10 d.p.r., n. 601/1973 che esenta il reddito delle cooperative agricole conseguito nell’attività di allevamento; 3) l’illegittimità della procedura seguita dall’Ufficio per omessa richiesta del parere previsto dall’art. 14 d.p.r. n. 601/1973; 4) l’immotivata quantificazione delle rettifiche operate, specie in relazione al mancato riconoscimento dei costi; 5) l’errato raffronto delle attrezzature registrate nel libro beni ammortizzatali con quelle esposte in bilancio, ed errata cognizione del conto "beni ammortizzabili"; 6) errore della voce "variazioni in diminuzione" dichiarato dal contribuente; 7/8) l’infondatezza delle rettifiche perchè erroneamente fondate su un identico numero iniziale di capi per i tre anni, ignorando tra l’altro alcuni eventi straordinari verificatisi (epidemia di salmonellosi e crollo del tetto di una stalla), con perdite di animali, effetti negativi sui ricavi e sulla natalità.
Concludeva la ricorrente chiedendo l’annullamento degli atti impugnati, la conferma dei dati dichiarati, la eliminazione di ogni sanzione, e in ogni caso l’applicazione di ogni attenuante prevista dalla legge. Con successive memorie aggiunte la Cooperativa deduceva altri motivi di contestazione, eccependo tra l’altro che il verbale era errato in quanto richiamava in premessa l’art. 39 c. 1^ d.p.r. n. 600/1973 (c.d. accertamento analitico), ma nei fatti veniva sviluppato ai sensi del comma 2^ della citata norma (accertamento induttivo).
L’Ufficio si costituiva e contestava la fondatezza delle deduzioni di controparte, deducendo che la Cooperativa non avrebbe documentato i presupposti richiesti per l’applicazione dell’esenzione prevista dall’art. 10 d.p.r. n. 601/1973 e che i maggiori redditi sarebbero stati correttamente accertati, sulla premessa dell’irregolarità riscontrata nella tenuta delle scritture contabili, sulla base degli studi di settore.
La Commissione Tributaria Provinciale di Rieti accoglieva i ricorsi affermando tra l’altro che l’A.F. avrebbe dovuto riconoscere nella fattispecie l’esenzione invocata dalla contribuente per il reddito prodotto nell’attività di allevamento del bestiame, non avendo rilevato nessuna eccedenza rispetto ai limiti previsti dall’art. 10 cit. e che comunque l’intera procedura di accertamento era nulla per la omessa acquisizione del parere previsto dall’art. 14 d.p.r. n. 601/1973.
Avverso quelle sentenze l’Ufficio proponeva distinti appelli, che, riuniti dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 45/06/00, depositata il 25.5.2000 e non notificata, venivano integralmente accolti, con conseguente conferma degli avvisi di rettifica impugnati.
Per la cassazione della sentenza di secondo grado ha proposto ricorso, notificato il 29.5.2001, la soc. Cooperativa articolando due motivi di censura.
Il Ministero intimato si è limitato al deposito di un formale atto di costituzione.
La ricorrente ha con due successive istanze, la seconda delle quali datata 21.5.2004, sollecitato la discussione del ricorso.

Motivi della decisione
1.) Con il primo motivo di ricorso la Cooperativa Agricola "R. 78" deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 14, terzo comma, e 10 d.p.r. n. 601/1973, il primo relativo al parere del Ministero del Lavoro e degli altri organi di vigilanza, ritenuto dalla ricorrente in ogni caso essenziale ai fini della legittimità di un accertamento fiscale nei confronti di una società cooperativa, ed il secondo inerente specificamente l’esenzione prevista dal legislatore in favore delle società cooperative agricole per i redditi prodotti mediante l’attività di allevamento di animali.
1/a) In relazione alla problematica oggetto della prima delle due violazioni di legge denunciate, la CTR ha negato nel caso di specie qualsiasi rilievo alla mancanza del parere di cui alla citata norma, fondandosi gli accertamenti sulla mancanza dei presupposti di cui all’art. 10 cit. e non già dei requisiti di cui al successivo art. 14, ed operando le procedure di cui agli artt. 10 e 14 d.p.r. n. 601/1973 su piani e a fini diversi, con ogni conseguenza in ordine alla necessità del parere previsto solo dalla seconda delle due norme suddette.
La ricorrente contestatale conclusione ritenendo in ogni caso indispensabile il parere degli organi di vigilanza, e sostenendo al riguardo trattarsi di norma sostanziale;quella dell’art. 10, e norma procedurale; quella dell’art. 14, entrambe da coordinarsi con i generali poteri di accertamento spettanti all’Ufficio. A sostegno della nullità dell’accertamento emesso senza il preventivo parere degli organi di vigilanza invoca la giurisprudenza della Suprema Corte (v. Cass. 13635/1992 ed altre).
La censura è infondata, risultando la decisione della CTR sul punto assolutamente corretta, anche se la motivazione al riguardo articolata dal giudice di merito appare meritevole di qualche ulteriore precisazione.
L’attenta analisi delle norme di cui al titolo 3^ del d.p.r.
29.9.1973, n. 601, intitolato "Agevolazioni per la Cooperazione", consente di cogliere con sufficiente chiarezza un fondamentale elemento di distinzione tra il contenuto dell’art. 14 e quello del precedente art. 10, nell’ambito della disciplina delle agevolazioni previste per la società cooperative. L’art. 14, invero, riguarda i requisiti soggettivi e strutturali richiesti dal legislatore per il godimento delle agevolazioni (deve trattarsi di società cooperative, e loro consoni, disciplinate dai principi della mutualità e iscritti nei registri prefettizi o nello schedario generale della cooperazione), mentre l’art. 10 attiene ai presupposti oggettivi richiesti per la stessa finalità, desumibili dalla natura e dalle modalità di svolgimento dell’attività (deve trattarsi di attività di allevamento di animali, svolta con mangimi ottenuti per almeno un quarto dai terreni dei soci nonchè mediante la manipolazione, trasformazione e alienazione, nei limiti stabiliti alla lettera c) dell’art. 28 del DPR. 29.9.1973, n. 597, di prodotti agricoli e zootecnici e di animali conferiti dai soci nei limiti della potenzialità dei loro terreni).
In tale contesto, solo l’art. 14 prevede come obbligatorio ai fini dell’accertamento dei redditi della società cooperativa, il preventivo parere del Ministero del Lavoro e degli altri organi di vigilanza, la qua cosa consente di affermare che tale parere è effettivamente necessario, ai fini della legittimità dell’accertamento fiscale, solo quando siano in discussione i presupposti soggettivi previsti dal legislatore per la concessione delle agevolazioni.
Quando viceversa l’accertamento in rettifica non si basi sulla contestazione dei presupposti previsti dal cit. art. 14, nessun preventivo parere degli organi di vigilanza deve ritenersi obbligatoriamente richiesto per l’attività dell’Amministrazione finanziaria, come appunto correttamente ha ritenuto di concludere il giudice di merito nel caso di specie nel quale l’accertamento è fondato su circostanze attinenti esclusivamente al rispetto delle condizioni di cui al cit. art. 10.
In tal senso, dei resto, ha già più volte avuto modo di esprimersi la giurisprudenza di legittimità affermando espressamente che: "il parere del Ministero del Lavoro o degli altri organi di vigilanza è richiesto solo al fine dell’accertamento… dei presupposti di applicabilità delle agevolazioni, o requisiti della mutualità ex art. 26 d.lgs. CPS 14 dicembre 1947, n. 1577, o condizioni di applicabilità dette agevolazioni, che riguardano l’appartenenza del soggetto passivo di imposta al genere della cooperativa ai sensi dell’art. 14 d.p.r. 29 settembre 1973, n. 601, ma non al fine, che è di competenza esclusiva delle autorità amministrative tributarie, di accertare i presupposti di applicabilità delle agevolazioni tributarie previste per le singole specie di cooperative ai sensi degli artt. 11-13 d.p.r. 29 settembre 1973, n. 601"(così Cass. 25.2.2002, n. 2714; cfr Cass. 24.2.2001, n. 2725; nonchè, sia pure incidentalmente, Cass. 27.11.2000, n. 15256 laddove afferma che il Ministero per il Lavoro "ha una competenza limitata alla verifica dei requisiti dello Statuto sociale, e non anche al riscontro della conformità dell’attività svolta dalla cooperativa al contenuto di dette clausole"). La stessa circolare del Ministero delle Finanze n. 26 del 21.10.1988, richiamata in ricorso, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, e coerentemente invece con la distinzione innanzi svolta, ribadisce la necessità del parere degli organi di vigilanza solo quando l’Amministrazione ritenga di negare le agevolazioni richieste dalla cooperativa per mancanza dei "presupposti" così come accomunati nei terzo comma dell’art. 14 cit. e che, per la ragioni innanzi dedotte, devono ritenersi rappresentati dai soli requisiti soggettivi previsti da quella disposizione.
Nè seri argomenti di segno contrario possono fondatamente trarsi dalla giurisprudenza di legittimità richiamata in ricorso dalla società, posto che il precedente costituito dalla sentenza n. 13635/1992, oltre che estremamente risalente nel tempo e oramai superato dalla citata giurisprudenza di segno contrario, risulta poco significativo riguardando un caso di contestazione della conformità dello Statuto della società ai requisiti dell’art 26 del d. Lgs.
C.P.S. n. 1577/1946; mentre delle altre sentenze citate, alcune non affrontano affatto il problema nei sensi dinanzi posti (Cass. n. 5735/1992 e n. 10739/1990, quest’ultima relativa tra l’altro ad una controversia in cui oggetto di contestazione era la conformità allo Statuto dell’attività concretamente esercitata, e la procedura si era pacificamente svolta senza parere ministeriale), ed altre addirittura presentano contenuti di segno diverso rispetto all’assunto della ricorrente (v. Cass. n. 15256/2000, già innanzi richiamata, e n. 10625/2000).
Conclusivamente può pertanto affermarsi che il procedimento di verifica previsto dall’art. 14 c. 3^ d.p.r. n. 601/1973, e che prevede come obbligatorio il preventivo parere degli organi di vigilanza, non riguarda le condizioni previste dall’art. 10 in merito alta natura e alle modalità di svolgimento dell’attività produttiva da parte della società cooperativa, così che sotto questo profilo nessun limite incontra l’ordinario potere di accertamento spettante all’Amministrazione Finanziaria, la cui attività ai riguardo è da ritenersi legittima indipendentemente dall’esistenza o meno di pareri da patte di organi esterni alla sua organizzazione.
1/b.) Per quel che riguarda, invece, la violazione dell’art. 10- d.p.r. n. 601/1973 pure dedotta dalla ricorrente, per la mancata concessione della esenzione da detta disposizione prevista per i redditi conseguenti all’attività di allevamento di animali, ritiene questa Corte che anche detta censura, così come formulata, sia da ritenersi infondata se non addirittura inammissibile.
Come chiaramente risulta dalla sentenza impugnata, l’ufficio ha negato alla società ricorrente l’agevolazione di cui alla predetta norma, affermando che la parte non aveva prodotto documentazione sufficiente al fine di verificare il non superamento dei limiti a questo riguardo previsti dalla suddetta disposizione, e la C.T.R. ha sostanzialmente avallato tale condotta, con ciò implicitamente e correttamente ritenendo che l’onere probatorio relativo alla circostanza contestata gravasse, in virtù dei principi generali del nostro ordinamento, sulla contribuente che invocava l’agevolazione Tale conclusione del giudice di merito risolve una questione di fatto non riproponibile in sede di giudizio di legittimità, se non sotto il profilo del difetto di motivazione, in alcun modo dedotto nel presente giudizio. La censura al riguardo formulata dalla ricorrente, risulta tra l’altro esposta in termini di assoluta genericità, senza nessun concreto riferimento ai documenti prodotti a fondamento dell’agevolazione richiesta, e ai tempi e ai modi della loro produzione in giudizio, e pertanto in maniera tale da risultare niente affatto rispettoso, del principio di autosufficienza del ricorso. Ed invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il ricorreste che in sede di legittimità denunci l’esistenza di un vizio della sentenza correlato alla vantazione di un documento, ha l’onere di indicare specificamente il contenuto del documento trascurato dal giudice di merito, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della prova stessa, che, per il principio di autosufficienza del ricorso in Cassazione, la Corte di Cassazione deve essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, le cui lacune non è assolutamente consentito colmare con indagini integrative sugli altri atti di causa (v. Cass. 14.3.2001, n. 3737; Cass. 2.11.1998, n. 10913; Cass. 21.8.1996, n. 7692; Cass. 17.6.1995, a 6863; Cass. 22.3.1993, n. 3356).
2.) Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce ancora la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 d.p.r. n. 600/1973, ritenendo illegittimo il ricorso dell’amministrazione alla procedura di accertamento analitico-induttivo prevista dal primo comma, lett. d), della citata norma, in presenza di un’unica irregolarità riscontrata nella tenuta delle scritture contabili, e rappresentata dalla omessa vidimazione del libro degli inventari, tanto più trattandosi di omissione non più rilevante ai fini dell’accertamento delle imposte, secondo quanto previsto dall’art. 7 D.L. 10.6.1994, n. 357. Denuncia inoltre l’incoerenza della decisione impugnata per aver il giudice di merito affermato la legittimità della procedura di accertamento seguita dall’Ufficio con applicazione di criteri propri del metodo c.d. sintetico-induttivo, benchè gli atti impugnati fossero in realtà fondati sul richiamo atta previsione dell’art. 39, comma 1^, d.p.r. n. 600/1973.
Anche detto motivo è però infondato.
Effettivamente la motivazione esposta dalla CTR a sostegno della sua decisione in merito alla legittimità delle procedure di accertamento seguite dall’Ufficio in danno della società ricorrente, non può dirsi del tutto chiara e coerente laddove richiama, in maniera alquanto confusa, la giurisprudenza della Suprema Corte in tema di potere di accertamento da parte dell’A.F. con riferimento ad entrambe le distinte ipotesi previste dall’art. 39 d.p.r. n. 600/1973, rispettivamente al comma 1^ e al comma 2^, e pretende poi di applicarla alla fattispecie in esame, senza adeguatamente distinguere e chiarire i presupposti in fatto idonei a legittimare l’operato dell’Ufficio, e trascurando di considerare, come giustamente obietta parte ricorrente, che il richiamo dell’Amministrazione ai poteri ad essa attribuiti dal comma 1^ della citata norma, è tate da incidere concretamente sul modus procederne dell’Ufficio, condizionandolo sotto vari aspetti.
Tanto premesso, deve però osservarsi che, secondo quanto risulta dalla stessa sentenza impugnata, gli accertamenti contestati dalla società ricorrente si fondano non solo sull’omessa vidimazione delle scritture contabili, ma anche sulle risultanze degli studi di settore, così come dedotto dall’Ufficio nella motivazione degli atti impugnati, e successivamente anche dinanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale di Rieti con le sue note del 24.101.998. E tale circostanza è stata correttamente valutata dalla CTR allorchè essa ha affermato che: "Nella fattispecie in esame, poi, la ricostruzione dell’imponibile è stata effettuata dagli Ufficiali verificatori – come esplicitamente dichiarato – applicando dati e valori reperiti da studi effettuati per il settore specifico.
Ciò conferisce particolare fondatezza ai risultati ottenuti atteso che, come è noto, gli studi di settore… sono uno strumento di calcolo costruito con una complessa metodologia matematico-statistica per ogni categoria di impresa con specifici indicatori economici…".
Orbene, ai semi dell’art. 62 sexies D.L. 30 8.1993, n. 331 (conv. Con L. 29.10.1973, n. 427), gli accertamenti di cui agli art. 39, 1^ comma, lett. d) d.p.r. n. 600/1973, e 54 d.p.r. 26.10.1972, n. 633, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62 bis dello stesso D.L. e la norma, avendo palesemente natura procedimentale, è certamente applicabile anche ai periodi di imposta anteriori alla sua entrata in vigore, non diversamente da quanto dalla giurisprudenza di legittimità costantemente affermato per i coefficienti presuntivi di reddito di cui all’art. 1 L. n. 413/1991, sul presupposto che, rimanendo sul piano dell’accertamento e delle prove, l’applicabilità del c.d. "redditometro" agli anni anteriori deve ritenersi insito nella previsione dell’art. 38 del d.p.r. n. 600/1973 (v. Cass. 24.10.2003, n. 14161; Cass. 30.8.2002, n. 12711;
Cass. 20.6.2001, n. 8732).
La legittimità degli avvisi di rettifica notificati alla società ricorrente, pertanto, senz’altro deve affermarsi alla stregua dell’art. 39, comma 1, lett. d) d.p.r. n. 601/1973 e del cit art. 62 sexies D.L. n. 331/1993, avuto riguardo alle rilevanti discordanze emergenti dal raffronto tra i redditi dichiarati dalla società e quelli risultanti dagli studi di settore, così come indicati nella narrativa dell’impugnata sentenza, valendo la omessa vidimazione del libro degli inventali soltanto a rendere ancor più inaffidabili i dati dichiarati dalla contribuente, indipendentemente da ogni considerazione in ordine al contenuto dell’art. 7, comma 1, D.L. n. 357/1994, tra l’altro soppresso in sede di conversione con la L. 8.8.1994, n. 489. E ciò senza che argomenti in senso contrario possano assolutamente trarsi dalla giurisprudenza di legittimità richiamata in ricorso, riferendosi essa a controversie anteriori alla modifica attuata dal legislatore nel 1994 con l’introduzione degli studi di settore.
Quanto poi ai contenuti degli accertamenti impugnati, e alla censura della ricorrente riguardante il fatto che essi risulterebbero emessi secondo il c.d. metodo sintetico-induttivo, consentito solo nelle più gravi ipotesi previste dall’art. 39, comma 2^, d.p.r. n. 601/1973, anzichè nelle forme del c.d. metodo analitico, previsto al comma 1^, la relativa doglianza risulta formulata in maniera assolutamente generica, senza nessun concreto riferimento agli atti contestati, ed è pertanto sicuramente inammissibile.
Il ricorso deve dunque essere rigettato.
Ricorrono giusti motivi per la integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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