Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-05-2012, n. 7557 Servitù coattive di passaggio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 9.1.2002 M.A. agiva innanzi al Tribunale di Bergamo nei confronti Mo.Vi. a tutela del possesso di una servitù di passo, che sosteneva lesa da una recinzione apposta dal convenuto al proprio fondo. Accolta in primo grado con ordinanza che, a chiusura della fase interdittale, regolava anche le spese, la domanda era respinta con sentenza n. 193/05 della Corte d’appello di Brescia.

Premesso, in rito, che l’ordinanza del Tribunale doveva ritenersi di natura decisoria, e nel merito, che l’attore aveva chiesto l’ammissione di prove soltanto per l’ipotesi che fossero ammesse quelle dedotte dalla parte convenuta, le quali ultime erano, a loro volta, irrilevanti, il giudice di secondo grado osservava che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, non rispondeva al vero che il c.t.u. avesse accertato che l’attore esercitava il possesso corrispondente ad una servitù di passo su di una strada della larghezza di m. 7, ridotta a m. 5,90 dal convenuto.

L’ausiliario, osservava la Corte bresciana, aveva soltanto accertato che dai titoli versati in atti risultava costituita una servitù di non precisata larghezza. Neppure era vero, proseguiva la Corte territoriale, che il convenuto avesse ammesso l’esercizio di un possesso corrispondente alla servitù su di una striscia di terreno compresa tra un cordolo di non recente fattura e la recinzione di cui l’attore aveva lamentato la posa in opera. Il convenuto, infatti, aveva negato di aver incluso nella recinzione una parte del focus servitutis, tanto da sostenere che la recinzione per come collocata aveva di fatto ampliato la superficie della strada disponibile per il passaggio.

Osservava, quindi, che sia dalla planimetria redatta dal c.t.u., sia dalle fotografie dei luoghi risultava che la recinzione era stata posta tra il ciglio della strada e una siepe preesistente, escludendo in tal modo i terzi dalla possibilità di accedere all’area occupata dalla siepe stessa. Pertanto, poichè l’attore aveva dedotto il possesso di una servitù di passaggio a mezzo di veicoli pesanti, ed atteso che lo spazio al quale la rete non consentiva di accedere era quello su cui allignava la siepe, se ne doveva trarre la conclusione dell’infondatezza della domanda, considerato, da un lato, che l’attore non aveva fornito alcuna prova del passaggio con carri sull’area occupata dalla siepe, e dall’altro, che la presenza di quest’ultima costituiva un ostacolo insuperabile rispetto all’ipotesi che la relativa superficie potesse essere utilizzata per il transito veicolare.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre M.A., formulando due motivi d’impugnazione.

Resiste con controricorso Mo.Vi., che ha altresì depositato memoria.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo. Assume il ricorrente che il giudice di secondo grado ha ritenuto controverso un fatto pacifico – il transito sulla strada in questione di veicoli industriali di grosse dimensioni – che, in quanto tale, non era oggetto dell’onere probatorio gravante sull’attore. Il convenuto, prosegue, non aveva contestato che, prima dell’apposizione della seconda recinzione più spostata verso il centro strada, sulla via transitassero veicoli di grosse dimensioni diretti verso il capannone del fratello, ma si era limitato ad eccepire la nullità dell’atto d’acquisto di lui, la sussistenza di un passaggio di mera tolleranza e, infine, il diritto di recingere il fondo. Si duole, pertanto (formulando un quesito di diritto superfluo, non essendo il ricorso soggetto ratione temporis all’art. 366-bis c.p.c.), del malgoverno dell’art. 2697 c.c., essendo oggetto di prova unicamente i fatti controversi.

2. – Il secondo motivo denuncia l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, quale la lesione da parte di Mo.Vi. del diritto di servitù di passaggio del ricorrente. Quest’ultimo sostiene che il c.t.u., nel processo di primo grado, ha accertato che a seguito della posa in opera della recinzione, da parte di Mo.Vi., lungo la via (OMISSIS), la larghezza della carreggiata si è ridotta dagli originari m. 7 a m. 5,90, e che la costruzione del manufatto ha interessato una striscia di terreno della larghezza di circa m. 70, che insiste sulla predetta via. Quindi il c.t.u. ha accertato, sostiene il ricorrente, che vi è stata una lesione evidente e totale del diritto di servitù di passaggio, avendo la recinzione interessato la strada servente per tutta la sua estensione, con conseguente restringimento della carreggiata che ha reso difficoltoso il transito di mezzi pesanti. Prosegue il motivo affermando che la circostanza per cui M.A. abbia da sempre utilizzato la carreggiata in tutta la sua ampiezza, non è mai stata contestata nel giudizio possessorio. Del tutto privo di fondamento, poi, è l’assunto che pretendeva di ricondurre l’esercizio del diritto di passo da parte di M.A. ad un atto di tolleranza, sia perchè è stato dimostrato che il fondo di Mo.Vi. è gravato da servitù a carico di quello dell’odierno ricorrente, sia in quanto i rapporti di vicinato fra le parti erano tali da non giustificare atteggiamenti di accondiscendenza. Del pari non pertinente al caso di specie si è rivelata l’eccezione feci sed iure feci, perchè Mo.Vi. nell’esercitare il proprio diritto di recintare il fondo ha privato totalmente l’odierno ricorrente della servitù.

La sentenza di secondo grado, conclude il ricorrente, appare quindi censurabile per il mancato esame della consulenza tecnica.

3. – Entrambi i motivi sono inammissibili.

3.1. – L’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, nel prescrivere che il ricorso contenga i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui essi si fondano, pone l’implicito principio per cui i motivi stessi devono, a pena d’inammissibilità, avere i caratteri della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta la necessità dell’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e dell’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione (cfr. Cass. nn. 20652/09,15952/07, 13259/06, 6219705, 2808/05, 3741/04, 13443/04 e 13358/04). Non può, pertanto, ritenersi ammissibile un motivo che non colga la ratio decidendi della sentenza impugnata, ma (re)introduca argomentazioni difensive che, in quanto prive di collegamento logico e giuridico rispetto ad essa, siano in partenza inidonee a confutarne le conclusioni.

3.1.1. – Nella specie, a tacere dell’erronea indicazione della norma dell’art. 2697 c.c., che riguarda il riparto soggettivo dell’onere della prova, lì dove, invece, l’allegata violazione del principio per cui sono oggetto di prova solo i fatti controversi, e non anche quelli pacifici, denuncia semmai l’inosservanza dell’art. 115 c.p.c., comma 1, va rilevato che il motivo non si attaglia minimamente alla ratio deciderteli della sentenza della Corte bresciana, la quale ha escluso la fondatezza della domanda non già perchè abbia ritenuto non provato il passaggio tout court di mezzi pesanti sul fondo di parte convenuta per raggiungere quello di parte attrice, ma in quanto ha considerato che l’attore non ha fornito prova del fatto che tale passaggio con autocarri avvenisse sull’area occupata dalla siepe, la cui presenza costituiva un ostacolo insuperabile rispetto all’ipotesi che la relativa superficie potesse essere utilizzata per il transito veicolare.

3.2. – Valutazioni consimili, quanto alla mancata riferibilità della critica al senso della decisione impugnata, s’impongono anche per il secondo motivo d’annullamento, cui va aggiunto, quale ulteriore profilo d’inammissibilità, il fatto che le critiche svolte sono tutte incentrate sugli elementi istruttori emersi nel giudizio di merito, e di cui il ricorrente sollecita un nuovo e diverso apprezzamento favorevole alla propria prospettazione. Il che eccede i poteri di questa Corte e i limiti interni del giudizio di legittimità. 4. – In conclusione il ricorso va respinto.

5. – Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in Euro 2.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 gennaio 2012.

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