Cass. civ. Sez. III, Sent., 15-05-2012, n. 7554 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.L.E. ed C.U.M. convenivano davanti al tribunale di Torino il Ministero della Salute, chiedendone la condanna al risarcimento del danno per il decesso della congiunta R.A., conseguente alla riportata infezione da HCV a seguito di trasfusioni con sangue infetto, ricevute presso la casa di cura "Sedes sapientiae" di (OMISSIS); che tanto era stato accertato dalla Commissione medica ospedaliera nel procedimento per l’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992. Il tribunale di Torino rigettava la domanda per mancanza del nesso causale tra l’omissione ascritta ed il danno subito dalla de cuius.

La corte di appello di Torino, adita dagli attori, con sentenza depositata il 26 giugno 2009 rigettava l’appello , ritenendo che l’unica indagine che avrebbe potuto compiere all’epoca il Ministero atteneva ad analisi in merito alle transaminasi eventualmente alterate dei donatori, ma che tale indagine riduceva il rischio di contagio da epatite non-a e non-b solo del 30%; che conseguenzialmente tale limite era inferiore al 50%, per cui non risultava provato il nesso causale tra il comportamento omissivo ascritto al convenuto di mancata vigilanza e l’evento lesivo subito dall’attore. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli attori. Resiste on controricorso il convenuto.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti censurano l’impugnata sentenza per violazione degli artt. 2043, 2049 e 2050 c.c. e per aver ritenuto non provato il nesso causale tra il preteso comportamento omissivo del Ministero (da omessa vigilanza in tema di sangue per emotrasfusioni) e l’evento dannoso.

2. Il motivo è fondato e va accolto.

Con sentenza 31/05/2005, n. 11609, questa Corte osservava che, finchè non erano conosciuti dalla scienza medica mondiale, i virus della HIV, HBC ed HCV, proprio perchè l’evento infettivo da detti virus era già astrattamente inverosimile, in quanto addirittura anche astrattamente sconosciuto, mancava il nesso causale tra la condotta omissiva del Ministero e l’evento lesivo, in quanto all’interno delle serie causali non poteva darsi rilievo che a quelle soltanto che, nel momento in cui si produsse l’omissione causante e non successivamente, non apparivano del tutte inverosimili, tenuto conto della norma comportamentale o giuridica, che imponeva l’attività omessa. La corte di legittimità, quindi, riteneva esente da vizi logici la sentenza della Corte di appello, che aveva ritenuto di delimitare la responsabilità del Ministero a decorrere dal 1978 per l’HBC (epatite B), dal 1985 per l’HIV e dal 1988 per l’HCV (epatite C), poichè solo in tali rispettive date erano stati conosciuti dalla scienza mondiale rispettivamente i virus ed i tests di identificazione.

3. Rivisitando la questione le S.U di questa Corte (n. 576 e 581 del 11/01/2008) hanno statuito che (in conformità a quanto ritenuto da una parte della giurisprudenza di merito e della dottrina) non sussistono tre eventi lesivi, come se si trattasse di tre serie causali autonome ed indipendenti, ma di un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica (essenzialmente del fegato), per cui unico è il nesso causale: trasfusione con sangue infetto – contagio infettivo – lesione dell’integrità.

Pertanto già a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B (la cui individuazione, costituendo un accertamento fattuale, rientra nell’esclusiva competenza del giudice di merito) sussiste la responsabilità del Ministero anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto, che il Ministero non aveva controllato, come pure era obbligato per legge. Di fronte ad obblighi di prevenzione, programmazione, vigilanza e controllo imposti dalla legge, deve inoltre sottolinearsi che si arresta la discrezionalità amministrativa, ove invocata per giustificare le scelte operate nel peculiare settore della plasmaferesi. Il dovere del Ministero di vigilare attentamente sulla preparazione ed utilizzazione del sangue e degli emoderivati postula un dovere particolarmente pregnante di diligenza nell’impiego delle misure necessarie a verificarne la sicurezza, che comprende il dovere di adoperarsi per evitare o ridurre un rischio che è antico quanto la necessità della trasfusione.

4.1. Premesso ciò, va osservato che effettivamente le stesse S.U. hanno statuito che lo standard probatorio in materia civile si fonda sul principio "del più probabile che non" ovvero della preponderanza dell’evidenza, come rilevato dalla sentenza impugnata.

Sennonchè, pur richiamandosi la sentenza impugnata a tali principi, non nè ha fatto una corretta applicazione ai fini della ricostruzione ed accertamento del nesso causale.

4.2. Infatti, anzitutto, ha ritenuto che l’esclusione dalla donazione di sangue degli individui con transaminasi alterate avrebbe ridotto di circa il 29% il rischio delle epatiti post trasfusionali non A e non B (come originariamente veniva individuata quella nuova forma di epatite, poi chiamata C). Tale impostazione torna al principio, superato dalle citate sentenze delle S.U., secondo cui il dovere di vigilanza si doveva necessariamente esplicare da parte del Ministero (ed accertare da parte del giudice) con riferimento allo specifico virus (HCV) lamentato dal soggetto trasfuso infettato. Invece, come sopra rilevato, il dovere di vigilanza , proprio per effetto delle ritenuta unicità dell’evento lesivo, doveva investire qualunque alterazione del sangue del donatore e segnatamente l’individuazione delle transaminasi alterate.

5.1. Ma l’errore maggiore in cui è incorso il giudice di appello nella valutazione della prova, e quindi nell’applicazione del principio della prevalenza, consiste nell’aver trasferito direttamente la percentuale statistica di riduzione del rischio post- trasfusionale di infezione da epatite non-a e non-b (nella misura del 29% per effetto della esclusione dei soggetti con transaminasi alterate ) nella minore probabilità ai fini della prova del nesso causale.

Cioè il giudice di appello ha ritenuto che, poichè la riduzione del rischio di contrazione di tale epatite era solo del 29 % a seguito di esclusione dalla trasfusione del sangue di donatori con transaminasi alterate, tanto costituisse una minore probabilità rispetto al 50% e quindi dovesse ritenersi non provato il nesso di causalità omissiva (da omessa vigilanza).

5.2. Ciò è errato.

Essendo eguali i principi che regolano il nesso causale in materia penale ed in materia civile ( art. 40 e 41 c.p.) ciò che muta sostanzialmente tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell’evidenza o "del più probabile che non", stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, come rilevato da attenta dottrina che ha esaminato l’identità di tali standars delle prove in tutti gli ordinamenti occidentali, con la predetta differenza tra processo civile e penale (Cass. 16.10.2007, n. 21619; Cass. 18.4.2007, n. 9238).

Il principio ha avuto larga diffusione in tema di prova del nesso causale. Anche la Corte di Giustizia CE è indirizzata ad accettare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (CGCE, 13/07/2006, n. 295, ha ritenuto sussistere la violazione delle norme sulla concorrenza in danno del consumatore se "appaia sufficientemente probabile" che l’intesa tra compagnie assicurative possa avere un’influenza sulla vendita delle polizze della detta assicurazione; Corte giustizia CE, 15/02/2005, n. 12, sempre in tema di tutela della concorrenza, ha ritenuto che "occorre postulare le varie concatenazioni causa-effetto, ad fine di accogliere quelle maggiormente probabili").

Sennonchè detto standard di "certezza probabilistica" in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa – statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). Nello schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l’attendibilità dell’ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma (ed. evidence and inference nei sistemi anglosassoni).

5.3. Esigenze di coerenza e di armonia dell’intero processo civile comportano che tale principio della probabilità prevalente si applichi anche allorchè vi sia un problema di scelta di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie, sul fatto, quando tali ipotesi abbiano ottenuto gradi di conferma sulla base degli elementi di prova disponibili. In questo caso la scelta da porre a base della decisione di natura civile va compiuta applicando il criterio della probabilità prevalente. Bisogna in sede di decisione sul fatto scegliere l’ipotesi che riceve il supporto relativamente maggiore sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili. Trattasi, quindi, di una scelta comparativa e relativa all’interno di un campo rappresentato da alcune ipotesi dotate di senso, perchè in vario grado probabili, e caratterizzato da un numero finito di elementi di prova favorevoli all’una o all’altra ipotesi.

Il criterio della probabilità prevalente fonda anche il sistema logico-operativo della prova presuntiva (secondo la dottrina che più di ogni altra ha esaminato l’argomento, con riferimento al requisito della "gravità"), che è essenzialmente un ragionamento probabilistico per giungere alla conclusione più probabile (fatto ignoto) tra quante possono esser ipoteticamente tratte dalla stessa premessa e cioè dal fatto noto.

Questi criteri operativi della valutazione degli elementi probatori fondati sulla probabilità prevalente attengono esclusivamente al processo civile, mentre sono estranei al processo penale, attesa la diversità di struttura e di finalità dei due procedimenti.

5.4. Ne consegue che nella fattispecie presenta i lamentati vizi la sentenza impugnata che ha ritenuto non provato il nesso causale tra condotta omissiva ed evento sul rilievo che gli accertamenti omessi dei livelli di transaminasi avrebbero ridotto solo di un 30% il rischio di infezione.

Invece il giudice di appello avrebbe dovuto porsi il diverso problema di quali fossero le possibili cause dell’infezione da epatite e tra queste cause avrebbe dovuto individuare quella "più probabile che non".

Se la causa era individuata nella trasfusione di sangue infetto durante l’intervento presso la casa di cura, giusto quanto ritenuto sia dal c.t.u. che dalla Commissione medica, all’interno di tale causa andava ulteriormente valutato, utilizzando lo stesso principio di preponderanza dell’evidenza nella concatenazione causa-effetto, se il comportamento omissivo del convenuto (che non aveva compiuto gli accertamenti necessari sul donatore) si presentava con maggiore probabilità eziologica rispetto ad altri elementi alternativi, se esistenti.

Il ricorso, va, pertanto accolto e va cassata l’impugnata sentenza, con rinvio anche per le spese ad altra sezione della corte di appello di Torino, che si uniformerà ai principi suddetti.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per le spese ad altra sezione della corte di appello di Torino.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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