Cassazione civile anno 2005 n. 1794 Sentenze e atti giudiziari

IMPOSTA REGISTRO IVA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
1. La Banca M. s.p.a. impugnò dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Potenza il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso della somma di L.. 57.950.000, versata a titolo di imposta proporzionale per la registrazione – avvenuta nel 1996 – di un decreto ingiuntivo emesso a favore di una società di factoring (nel frattempo incorporata dalla ricorrente), eccependo che nella specie andasse applicata l’imposta in misura fissa, poichè il predetto decreto ingiuntivo concerneva corrispettivi soggetti all’imposta sul valore aggiunto.
La Commissione adita rigettò il ricorso.
La Banca di R. s.p.a., incorporante la Banca M., propose appello, che fu accolto, con sentenza depositata il 4 dicembre 2001, dalla Commissione tributaria regionale della Basilicata, la quale, per quanto qui rileva, osservò che "la norma che prevede la tassazione ai fini della registrazione del decreto ingiuntivo a tassa fissa è stata ritenuta retroattiva per legge, art, 4 della legge 8/5/1998, n. 146". 2. Propongono ricorso per Cassazione il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate, sulla base di un unico motivo.
Resiste con controricorso la Banca di R. s.p.a.

Motivi della decisione
1. I ricorrenti, denunciando violazione dell’art. 4 della legge 8 maggio 1998, n. 146, censurano la sentenza impugnata nella parte in cui la Commissione regionale, nell’applicare la norma anzidetta, ha omesso di valutarla nella sua interezza, non considerando, in particolare, che, ai fini di dare certezza ai pregressi rapporti di imposta, il legislatore ha sancito, nel secondo periodo della disposizione in esame, che "resta fermo in ogni caso il trattamento fiscale già applicato e non si fa luogo a rimborso di imposte già pagate", la questione, quindi, concludono i ricorrenti, non verte sulla retroattività o meno della norma che introduce nell’ambito di applicazione dell’IVA alcune operazioni finanziarie e creditizie, "quanto invece sulla definitività del trattamento fiscale già applicato e sulla inesistenza del diritto alla restituzione delle somme già pagate".
La resistente osserva in contrario che la norma "vuole dire solo che, essendosi attribuita efficacia retroattiva alle sue previsioni, essa non poteva far sorgere diritti alla restituzione di somme pagate a titolo di imposta sul valore aggiunto", laddove, nei confronti di chi instaura un giudizio per la restituzione del tributo di registro, "la norma non può essere interpretata nel senso che abbia voluto la caducazione del credito". Conclude eccependo, in ogni caso, che il ricorso non verte sull’applicazione o meno della registrazione a tassa fissa e che, pertanto, su tale questione si è formato il giudicato interno.
2.1. Il ricorso non è fondato.
Va, innanzitutto, precisato che, in considerazione dei limiti della censura formulata dai ricorrenti, il thema decidendum deve ritenersi circoscritto all’individuazione dell’ambito applicativo della disposizione, contenuta nel citato art. 4 della legge n. 146 del 1998, che prevede il divieto del rimborso delle imposte già versate, restando ormai definitivamente incontestato che, nella fattispecie, in virtù della disciplina dettata dalla norma anzidetta, andasse applicata l’imposta di registro in misura fissa e non proporzionale, essendo l’atto registrato relativo a corrispettivi soggetti ad IVA. Ciò posto, ad avviso del Collegio, la portata della disposizione che esclude il diritto al rimborso va limitata alle sole somme eventualmente versate, in base alla previgente normativa, a titolo di imposta sul valore aggiunto.
A tale conclusione induce un duplice ordine di considerazioni.
2.2. L’art. 4, comma 1, lett. a) e b), della legge 18 febbraio 1997, n. 28, in attuazione della direttiva comunitaria n. 95/7/CE, che ha modificato la direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388, in materia di IVA (sesta direttiva), da un lato – sostituendo l’art. 3, secondo comma, n. 3), primo periodo, del dPR 26 ottobre 1972, n. 633, il quale considerava prestazioni di servizi, nell’ambito delle operazioni finanziarie, solo lo sconto di crediti, cambiali o assegni bancali – ha ricondotto nell’ambito di applicazione di tale imposta, più in generale, le "operazioni finanziarie mediante la negoziazione, anche a titolo di cessione pro soluto, di crediti, cambiali o assegni";
dall’altro – sostituendo l’art. 10, primo comma, n. 1), dello stesso dPR n. 633 del 1972 – ha contestualmente ampliato il campo di esenzione dall’imposta, ricomprendendovi, fra l’altro, le "prestazioni di servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti", nonchè le "operazioni, compresa la negoziazione, relative a depositi di fondi, conti correnti, pagamenti, giroconti, crediti e ad assegni o altri effetti commerciali, ad eccezione del recupero di crediti".
Successivamente, la legge 8 maggio 1998, n. 146, al citato art. 4 – recante "disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto relativamente alle operazioni creditizie e finanziarie" -, dopo aver stabilito che "le disposizioni di cui all’art. 4, comma 1, lettere a) e b), della legge 18 febbraio 1997, n. 28, si applicano anche alle operazioni effettuate anteriormente alla data di entrata in vigore della predetta legge", ha disposto – nel secondo periodo, poi divenuto terzo a seguito dell’art. 4 della legge 13 maggio 1999, n. 133, non rilevante in questa sede – che "resta fermo in ogni caso il trattamento fiscale già applicato e non si fa luogo a rimborso di imposte già pagate nè è consentita la variazione di cui all’art. 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633".
Dall’esame complessivo di tale normativa, dettata al fine di adeguare all’ordinamento comunitario la disciplina interna dell’imposta sul valore aggiunto concernente le operazioni creditizie e finanziarie, discende che, in ordine alla specifica disposizione in esame, sia in base al suo tenore letterale (significativo al riguardo è il riferimento, immediatamente successivo alla esclusione del rimborso, al divieto di emissione delle note di variazione di cui all’art. 26 del dPR n. 633/72), sia in considerazione della sedes materiae, sia sotto il profilo logico, appare preferibile l’interpretazione secondo la quale il divieto di rimborso delle imposte già pagate si riferisca esclusivamente alle somme versate, in base alla normativa previgente, a titolo di imposta sul valore aggiunto – e poi divenute indebite a seguito della disposta retroattività della disciplina sopravvenuta -, e non anche a somme pagate per assolvere ad oneri fiscali diversi. In particolare, sembra doversi escludere che il legislatore abbia inteso comprendere nel divieto di restituzione importi la cui natura indebita sia derivata soltanto per via riflessa (e, per così dire, "esterna") dalla normativa sopravvenuta, quali, appunto, quelli versati a titolo di imposta di registro e divenuti retroattivamente non dovuti (nella misura precedentemente prevista) in virtù del principio, contenuto nell’art. 40 del dPR 26 aprile 1986, n. 131, dell’alternatività tra IVA ed imposta di registro (principio operante in relazione ad ogni prestazione di servizi rientrante nel campo di applicazione dell’IVA, sia pur in regime di esenzione).
2.3. La anzidetta interpretazione riceve, poi, definitiva conferma dal principio generale secondo cui, tra più interpretazioni possibili, va preferita quella che non dia luogo a dubbi di legittimità costituzionale.
La Corte costituzionale ha più volte avuto occasione di occuparsi di norme che, dopo aver assoggettato retroattivamente un determinato rapporto giuridico ad un regime (fiscale, contributivo, sanzionatorio) più favorevole per i soggetti interessati, prevedevano la non ripetibilità delle somme già versate in base alla previgente disciplina; ed ha dichiarato l’illegittimità delle norme stesse per violazione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza, osservando, che "il legislatore cade in una contraddizione formale ove qualifichi un versamento come non dovuto e nello stesso tempo lo sottragga all’azione di ripetizione di indebito" (così Corte cost, sent. n. 416 del 2000; v. anche sentt. nn. 292 del 1997 e 223 del 2001). Questa Corte, inoltre, con ordinanza n. 5616 del 2003, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 Cost., dell’art. 39 della legge 21 novembre 2000, n. 342, nella parte in cui, dopo aver riconosciuto, in via interpretativa, l’applicabilità dell’art. 88 del TUIR ai fondi pubblici di agevolazione (e quindi retroattivamente escluso tali fondi dall’imposizione sul reddito), stabilisce che "non si fa luogo a rimborso di imposte già pagate".
Ne deriva, in conclusione, in ordine alla norma in esame, che va senz’altro privilegiata l’interpretazione che, come quella sopra enunciata, restringe la sua portata applicativa.
L’evidente irrilevanza, ai fini della decisione del presente giudizio, della questione di costituzionalità della norma stessa, là dove dispone – così come interpretata – il divieto di rimborso (unicamente) dell’IVA già versata, non consente a questa Corte di procedere ad esaminarne compiutamente la non manifesta infondatezza.
3. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Sussistono giusti motivi, anche in ragione della novità della questione, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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