Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-10-2011) 10-11-2011, n. 40948

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 1 luglio 2010 la Corte d’Assise d’Appello di Venezia, sull’appello proposto dal P.M. presso il Tribunale di Verona ed in via incidentale dai difensori della parti civili costituite, in riforma della sentenza di assoluzione, emessa ex art. 530 c.p.p., comma 2 con la formula "per non aver commesso il fatto" dalla Corte d’assise di Verona rii aprile 2005, ha condannato L.A. alla pena di anni 21 e mesi 6 di reclusione, avendolo ritenuto penalmente responsabile dei delitti, riuniti col vincolo della continuazione, di omicidio volontario di LA.Pa., da lui attinto al torace con tre colpi di pistola che ne avevano determinato il decesso quasi istantaneo, esclusa l’aggravante del motivo abietto e futile ( art. 575 cod. pen.), e di illegale porto in luogo pubblico di una pistola semiautomatica calibro 7,65 ( L. n. 895 del 1967, art. 4 e successive modificazioni).

2. L’omicidio è avvenuto fra le 23,40 e le 23,54 di (OMISSIS);

il corpo del LA. è stato rinvenuto riverso sulla carreggiata, colpito da tre proiettili di cui due rinvenuti nel corpo della vittima e che si è accertato essere stati esplosi con una pistola calibro 7,65, peraltro mai rinvenuta, come pure non era stato mai rinvenuto il terzo proiettile, fuoriuscito dal corpo della vittima; a due metri di distanza vi era l’auto della vittima, una Wv Golf rossa, col motore acceso ed i fari spenti.

La Corte territoriale ha ritenuto la colpevolezza di L.A. sulla base dei seguenti elementi di prova:

-l’esame delle telefonate partite e ricevute dai cellulari in possesso dei soggetti coinvolti nel delitto (l’imputato L. A., la vittima LA.Pa., M.D., cugino dell’imputato, e L.A., amico dell’imputato) con particolare riferimento alle celle interessate all’invio ed alla ricezione delle telefonate medesime nel periodo immediatamente precedente e successivo all’omicidio;

-l’impronta del L. rinvenuta sul cofano della Wv Golf della vittima, che apposita perizia svolta in grado di appello ha ritenuto risalente al periodo di tempo in cui avvenne l’omicidio;

-le dichiarazioni rese dall’imputato il quale, dopo essersi avvalso in primo grado della facoltà di non rispondere, nell’ultima udienza del giudizio di appello avrebbe ammesso di avere incontrato la vittima sul luogo e nell’ora del delitto, fornendo peraltro di ciò una giustificazione ritenuta incongrua (avere ispezionato l’auto della vittima, che quest’ultimo avrebbe dovuto cedere all’intermediario M. per saldare il debito che aveva con lui, in quel momento disoccupato e bisognoso di danaro);

-il comportamento tenuto dall’imputato dopo l’omicidio, essendosi egli precipitosamente allontanato, con l’aiuto di L. A., dal territorio veronese, nel quale pur era radicato, ancor prima dell’emissione di misure cautelari nei suoi confronti, avendo il 7 maggio successivo fornito false generalità alla polizia di Bologna ed essendo poi rientrato in (OMISSIS), da dove era tornato in Italia solo nel mese di luglio, quando la situazione sembrava essersi tranquillizzata.

3. La Corte territoriale, dissentendo dalle conclusioni cui era giunto il primo giudice, al quale ha imputato una valutazione degli indizi troppo parcellizzata, anche sulla base dell’ulteriore istruttoria dibattimentale espletata ha pertanto ritenuto:

-che la vittima si era effettivamente incontrata nel luogo dell’omicidio con l’imputato il quale, invitato dall’intermediario M.D. ed ivi accompagnato in auto o da quest’ultimo ovvero da L.A., avrebbe dovuto consegnargli delle pistole "pulite" e cioè mai coinvolte in rapine o fatti di sangue; -che, a quel punto, era sorto fra i due un diverbio, connesso agli illeciti traffici fra di essi intercorrenti ed a pregressi rapporti di debito- credito, degenerato in colluttazione nel corso della quale l’imputato si era impadronito della pistola che la vittima solitamente portava infilata nella cintura, come desunto dalle tracce di polvere da sparo rinvenute sulle mani della vittima; ed in esito a detta colluttazione il LA. era stato mortalmente attinto da tre colpi, esplosi dall’imputato con la pistola che aveva sottratto alla vittima; -che L.A., chiamato dall’imputato con numerose e ravvicinate telefonate fra le ore 23,55 e 24,07, e quindi subito dopo la commissione dell’omicidio, aveva preso l’imputato a bordo della sua auto da un luogo limitrofo, aiutandolo ad allontanarsi dal luogo dell’omicidio.

4. Avverso detta sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Venezia ricorre per cassazione L.A. per il tramite dei suoi difensori, deducendo due motivi di ricorso.

Col primo motivo lamenta violazione di legge e motivazione carente e contraddittoria in ordine alla valutazione degli elementi indiziari a suo carico, in quanto essi avrebbero dovuto prima essere esaminati singolarmente, onde accertarne la precisione e gravità e solo dopo avrebbero potuto essere valutati nella loro globalità.

Ha evidenziato che certamente la sera del 30 aprile 2002 vi erano stati più incontri fra la vittima e l’imputato ma nulla poteva far ritenere che vi era stato un ulteriore loro incontro sul luogo del delitto; ciò non poteva desumersi dagli esami dei tabulati telefonici e dall’esame delle celle agganciate dai telefoni cellulari dei soggetti coinvolti nell’omicidio poichè si trattava di elementi poco precisi, potendo dette celle coprire anche spazi estesi, nell’ordine di 2 km; nella circostanza la cella di (OMISSIS) distava dal luogo dell’omicidio ((OMISSIS)) circa 2 km.

Pertanto la difesa aveva posto in primo grado il problema di come l’imputato avesse potuto raggiungere il luogo dell’omicidio, non disponendo nè egli, nè il M. di un mezzo di trasporto; ed era ipotetico l’avere la sentenza impugnata ritenuto che fosse stato il M. a trasportare in auto l’imputato sul luogo dell’omicidio, tanto non potendosi desumere dalle spontanee dichiarazioni rese dall’imputato in appello, in quanto sia il M. che l’imputato usavano muoversi a piedi od in bicicletta.

Non era quindi provato che l’imputato si trovasse sul luogo del delitto dalle ore 23,40 alle ore 23,55, essendo solo emerso che l’imputato si era recato la sera del delitto a (OMISSIS) assieme a L.A., che abitava ivi.

Neppure era chiara la causale dell’incontro fra l’imputato e la vittima, in quanto non il L. ma il M. avrebbe dovuto fornire alla vittima le armi, oltre che imprecisati quantitativi di cocaina.

Quanto al movente dell’omicidio, era evidente che la vittima girava armata perchè si sentiva minacciato; tuttavia nulla poteva far ritenere che fosse stato proprio l’imputato a minacciarlo, trattandosi di ipotesi non provata; pertanto il movente dell’omicidio era stato solo supposto, ma non dimostrato.

Era da ritenere invece più verosimile la presenza di una terza persona sul luogo del delitto, presenza ipotizzata dal primo giudice, con riferimento ad impronte ritenute non utili sulla portiera lato guida e sulla portiera destra dell’auto della vittima; inoltre, dei tre proiettili che avevano raggiunto la vittima, solo due erano stati ritenuti ed erano stati indicati come esplosi con una pistola semiautomatica calibro 7,65; il terzo proiettile non era stato mai rinvenuto, si che non era certo che provenisse dalla stessa pistola.

Non erano stati fatti accertamenti su P.S., il cui cellulare aveva chiamato quello dell’imputato prima e dopo l’arco di tempo in cui era stato commesso l’omicidio.

Non era poi attendibile, siccome privo del requisito della scientificità, il metodo utilizzato dalla perizia disposta dalla Corte territoriale per la datazione delle impronte lasciate dal ricorrente sull’auto della vittima, in quanto detta perizia aveva ritenuto le impronte del L. recenti e di ottima definizione seguendo una metodica contestata dal consulente di parte e non supportata da alcun riferimento bibliografico.

Non era attendibile la ricostruzione della colluttazione intercorsa fra la vittima e l’imputato, fondata sul rilevamento delle impronte dell’imputato sull’auto della vittima qualificate come probabilmente contestuali all’omicidio, mentre invece le impronte della vittima rinvenute sul medesimo cofano dell’auto dovevano ritenersi antecedenti all’omicidio medesimo; era invero improbabile che una colluttazione, quale quella ipotizzata dalla Corte territoriale, non avesse lasciato altri segni sul cofano, quali ammaccature o graffi;

inoltre l’impronta lasciata dall’imputato era perpendicolare e non strisciata, quindi incompatibile con una colluttazione, caratterizzata da movimenti scomposti e caotici; nè l’ipotizzata colluttazione poteva ritenersi provata dalla presenza di residui di polvere da sparo sulle mani della vittima, trattandosi di polvere idonea a contaminare un’ampia zona circonvicina.

Non erano state decisive le spontanee dichiarazioni rese dall’imputato in appello, siccome rese in evidente stato confusionale; invero l’imputato, subito dopo, era stato ricoverato all’ospedale di (OMISSIS) per evidente alterazione psichica; e da esse comunque non poteva desumersi quanto ritenuto dalla Corte territoriale a suo carico.

Non poteva infine ritenersi decisivo il comportamento tenuto dall’imputato dopo l’omicidio in quanto egli, se avesse avuto timore di essere arrestato per omicidio, non avrebbe fatto rientro in Italia dall'(OMISSIS).

Coi secondo motivo lamenta violazione di legge e carenza di motivazione, per avere la Corte territoriale dichiarato inammissibile la controprova richiesta dalla difesa alla perizia dell’ispettore B. circa la datazione delle impronte dell’imputato rinvenute sull’auto della vittima.

Poichè detta perizia era stata disposta dalla Corte territoriale in sede di rinnovazione del dibattimento di primo grado, egli avrebbe avuto diritto alla prova contraria, che avrebbe potuto esercitare anche dopo l’ordinanza pronunciata ex art. 507 cod. proc. pen., in quanto spesso solo dopo l’effettiva assunzione della prova potevano essere individuati con chiarezza i temi su cui esercitare tale diritto; e la prova nuova ammessa ex art. 507 cod. proc. pen. era assimilabile alla prova nuova disposta ex art. 603 cod. proc. pen., si che sussisteva il suo diritto alla controprova.

Motivi della decisione

1. Premesso che il diritto di controdedurre rispetto alle risultanze dell’accertamento peritale poteva essere esercitato mediante la nomina di un consulente di parte, risulta invece fondato il primo motivo di ricorso proposto da L.A..

2. Con esso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata erroneamente abbia capovolto l’esito del primo giudizio, con il quale egli era stato mandato assolto dai reati ascrittigli con la formula "per non aver commesso il fatto", avendo fondato la affermazione della sua colpevolezza su indizi inadeguati; ed ha passato in rassegna i singoli indizi posti a suo carico, deducendone l’inattendibilità. 3. E’ noto che il controllo di legittimità riservato a questa Corte non può investire l’intrinseca adeguatezza della valutazione dei risultati probatori cui è pervenuto il giudice del merito, essendo tale valutazione riservata a quest’ultimo, ma consiste nello stabilire se il giudice di merito abbia fornito una corretta interpretazione degli elementi a propria disposizione, se abbia fornito adeguata risposta alle deduzioni delle parti e se abbia applicato le regole della logica e della non contraddizione nello sviluppo delle argomentazioni svolte per preferire alcune conclusioni rispetto ad altre pure astrattamente ipotizzabili (cfr. Cass. Sez. 1 n. 803 del 10/02/1998 dep. 10/03/1998, imp. Scuotto, Rv. 210016;

Cass. 1A 20.12.1993 n. 2176).

Particolarmente impegnativo è poi il sindacato di legittimità nei confronti dei processi caratterizzati, come quello in esame, dall’essere di natura indiziaria e dall’avere avuto un contraddittorio percorso di merito, in quanto la sentenza assolutoria emessa dai giudici di primo grado è stata ribaltata dalla sentenza di appello, la quale ha rivalutato gli indizi già emersi a carico del ricorrente in primo grado e ritenuti insufficienti dal primo giudice, alla luce delle ulteriori acquisizioni intervenute nel corso del giudizio di appello.

Sono note le regole fissate dalla giurisprudenza di legittimità in materia di valutazione della prova indiziaria.

E’ stato invero rilevato che il metodo della lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio indiziario non può farsi consistere in una mera sommatoria degli indizi, dovendo essa essere preceduta da un’indispensabile operazione preliminare, consistente nel valutare ogni elemento indiziario singolarmente, ciascuno nella propria valenza qualitativa e per il proprio grado di precisione e gravità; e solo dopo avere compiuto detta operazione preliminare i singoli indizi possono essere valorizzati in una prospettiva globale ed unitaria, che ne sottolinei i collegamenti e la loro confluenza verso un coerente ed unitario contesto dimostrativo (cfr. Cass. SS.UU. n. 33748 del 12/07/2005 dep. 20/09/2005, Mannino, Rv. 231678).

4. Fatta tale premessa, va ricordato che, come si è già rilevato, la sentenza dalla Corte d’assise d’appello di Venezia impugnata nella presente sede ha ribaltato il verdetto assolutorio emesso dal giudice di primo grado avendo ritenuto adeguati a provare la colpevolezza del ricorrente i seguenti indizi:

a)-l’esame dei tabulati telefonici, riferiti alle telefonate partite e ricevute dai cellulari in possesso dei soggetti coinvolti nella vicenda (l’imputato L.A., la vittima LA. P., il cugino dell’imputato M.D. e l’amico dell’imputato L.A.), con particolare riferimento alle celle interessate all’invio ed alla ricezione delle telefonate nel periodo immediatamente precedente e successivo all’omicidio;

b)-l’impronta di L.A., rinvenuta sul cofano della Wv Golf della vittima, rinvenuta accanto al cadavere di quest’ultima e che apposita perizia svolta in grado di appello ha ritenuto risalente al lasso di tempo in cui avvenne l’omicidio;

c)-le dichiarazioni rese dall’imputato, il quale, dopo essersi avvalso in primo grado della facoltà di non rispondere, nell’ultima udienza del giudizio di appello avrebbe ammesso di avere incontrato la vittima sul luogo e nell’ora del delitto, fornendone peraltro una giustificazione incongrua (avere voluto ispezionare l’auto che la vittima avrebbe dovuto cedere all’intermediario M. per saldare il debito che aveva con lui, in quel momento disoccupato e bisognoso di danaro);

d)-il comportamento tenuto dall’imputato dopo l’omicidio, essendosi egli precipitosamente allontanato, con l’aiuto di L. A., dal territorio veronese, nel quale pur era radicato, ancor prima dell’emissione di misure cautelari nei suoi confronti, avendo il 7 maggio successivo fornito false generalità alla polizia di Bologna, ed essendo poi rientrato in (OMISSIS), da dove era tornato in Italia solo nel mese di luglio, quando la situazione sembrava essersi ormai tranquillizzata.

5. Seguendo la metodologia sopra indicata, prima di valutare nel loro insieme gli indizi di cui sopra, occorre preliminarmente saggiare la consistenza di ciascuno di essi; e sotto tale aspetto va rilevata l’inadeguatezza di alcuni di tali elementi indiziari.

Ci si riferisce in particolare:

-alla conclusione, non desumibile in termini così precisi dalla perizia svolta in grado di appello, che peraltro appare poco affidabile per mancanza di dimostrata base scientifica e come si dirà più avanti perchè largamente congetturale quanto alla ricostruzione della dinamica dell’evento, che le impronte lasciate sul cofano dell’auto della vittima dal ricorrente la sera del fatto, il che risulta dalle sue stesse dichiarazioni, sarebbero sicuramente coeve all’evento omicidiario, e cioè riferibili proprio all’arco di tempo ricompreso fra le ore 23,40 e le ore 23,55 del 30 aprile 2002;

-alla circostanza che, dalla lettura del verbale d’udienza innanzi alla Corte d’assise d’appello di Venezia del 1 luglio 2010 come trascritto da fonoregistrazione, non appare affatto chiaro che il ricorrente abbia ammesso di essersi trovato in compagnia della vittima al momento dell’omicidio e cioè fra le ore 23,40 e le ore 23,55 del 30 aprile 2002.

Pur nella non facile intellegibilità di tali dichiarazioni, data la scarsa dimestichezza del ricorrente con la lingua italiana, dalla lettura del verbale anzidetto sembra piuttosto potersi desumere che l’ispezione dell’auto della vittima è stata a suo dire effettuata non nel luogo ed al momento dell’omicidio, ma in un momento precedente, davanti ad un vicino bar sito nello stesso quartiere di (OMISSIS);

-alla mera congetturalità sia del movente dell’omicidio, sia dell’ipotizzato litigio con colluttazione che sarebbe intercorso fra la vittima ed il ricorrente, e che sarebbe poi sfociato nell’uccisione del LA., in quanto anche dalle deposizioni rese dalla moglie della vittima può desumersi che i rapporti di debito e di credito intercorrevano, più che fra la vittima ed il ricorrente, fra la vittima ed il M., cugino del ricorrente, la cui posizione è rimasta del tutto indefinita; inoltre l’impronta del ricorrente rinvenuta sul cofano dell’auto della vittima, siccome di tipo perpendicolare, appare non facilmente compatibile con una colluttazione, che presuppone movimenti scomposti ed incontrollabili degli antagonisti.

6. Una volta ridimensionata la consistenza e valenza degli indizi sub b) e sub c), costituenti l’architrave sulla quale la Corte d’assise d’appello di Venezia ha fondato la declaratoria di colpevolezza del ricorrente, siccome elementi nuovi rispetto a quelli già in possesso del primo giudice, risulta evidente l’insufficienza del grado di univocità dei restanti due indizi, ai quali può essere solo riconosciuto valore rafforzativo di altri e più significativi elementi idonei a giustificare una pronuncia di condanna.

7.Conclusivamente, le argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata per affermare la colpevolezza dell’odierno ricorrente in ordine ai reati ascrittigli non appaiono, allo stato, nè congrue nè logiche, nè tali da giustificare una siffatta conclusione, ove si tenga presente che la regola contenuta nell’art. 533 cod. proc. pen., secondo cui la condanna presuppone che la colpevolezza dell’imputato risulti al di là di ogni ragionevole dubbio, impone di pronunciare una condanna solo se i dati probatori acquisiti lascino fuori solo eventualità remote, le quali, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili "in rerum naturae", risultino, nel caso concreto, prive del benchè minimo riscontro nelle emergenze processuali, si da porsi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana; il che nella specie non può dirsi avvenuto (cfr. Cass. Sez. 1 n. 17921 del 3/03/2010 dep. l’H/05/2010, Giampà, Rv. 247449).

8. La sentenza impugnata va pertanto annullata e gli atti vanno rimessi ad altra sezione della Corte d’assise di appello di Venezia affinchè, in piena libertà ma senza ricadere nelle carenze motivazionali sopra rilevate, esamini nuovamente l’appello proposto dal P.M. di Verona, nonchè l’appello incidentale proposto dai difensori delle parti civili, tenendo conto del materiale probatorio disponibile e di quello che potrà eventualmente essere ulteriormente acquisito.

9. Nulla si dispone in ordine alla libertà personale del ricorrente, essendo stato egli scarcerato il 16 luglio 2010.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’assise d’appello di Venezia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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