Cass. civ. Sez. III, Sent., 15-05-2012, n. 7549

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 31.8.1994, R.R. conveniva davanti al Tribunale di Torre Annunziata la casa di Cura Maria Rosaria s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento del danno per aver riportato l’infezione da epatite C, a seguito di trasfusioni con sangue infetto subite durante e dopo l’operazione di calcoli renali avvenuta il (OMISSIS). La casa di cura contestava la domanda e chiamava in garanzia l’Avis di (OMISSIS), che aveva fornito il sangue per le trasfusioni.

Il Tribunale adito, con sentenza depositata il 13.3.2003, condannava la convenuta al pagamento della somma di Euro 39547,00.

Proponevano separati appelli sia l’attrice sia la convenuta casa di cura.

La corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 18.5.2007, rigettava la domanda sul rilievo che, poichè l’intervento e quindi le trasfusioni di sangue infetto furono effettuate nel (OMISSIS), e poichè a quella data non era noto il virus dell’epatite C (noto solo dal 1989 secondo la corte) non poteva affermarsi la responsabilità della casa di cura per un’affezione ignota a tutti.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione R. R., che ha anche presentato memoria. Non ha svolto attività difensiva la parte intimata.

Motivi della decisione

1. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente censura l’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione di legge e per vizio di motivazione ( art. 1218, 1225, 2043 e 2056 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). In particolare la ricorrente assume che già prima del 1988, in cui ufficialmente fu conosciuto il virus dell’epatite C, era stata individuata un’epatite non-a e non-b e che in ogni caso, se fossero state adottate tutte le misure precauzionali per contrastare l’epatite B, già nota dagli inizi del 1970, era possibile evitare anche l’infezione da epatite C;

che per l’effetto è errata la sentenza impugnata che ha escluso la responsabilità della casa di cura sul solo rilievo che nel 1987 non era noto ufficialmente il virus dell’epatite C ed i relativi tests diagnostici.

2. Il motivo è fondato.

Con sentenza 31/05/2005, n. 11609, a cui si riporta la sentenza impugnata, questa Corte osservava che, finchè non erano conosciuti dalla scienza medica mondiale, i virus della HIV, HBC ed HCV, proprio perchè l’evento infettivo da detti virus era già astrattamente inverosimile, in quanto addirittura anche astrattamente sconosciuto, mancava il nesso causale tra la condotta omissiva del Ministero e l’evento lesivo, in quanto all’interno delle serie causali non poteva darsi rilievo che a quelle soltanto che, nel momento in cui si produsse l’omissione causante e non successivamente, non apparivano del tutte inverosimili, tenuto conto della norma comportamentale o giuridica, che imponeva l’attività omessa. La corte di legittimità, quindi, riteneva esente da vizi logici la sentenza della Corte di appello, che aveva ritenuto di delimitare la responsabilità del Ministero a decorrere dal 1978 per l’HBC (epatite B), dal 1985 per l’HIV e dal 1988 per l’HCV (epatite C), poichè solo in tali rispettive date erano stati conosciuti dalla scienza mondiale rispettivamente i virus ed i tests di identificazione.

3.Sennonchè questo orientamento è stato rivisitato dalle S.U. di questa Corte che con sentenze n. 576 e 581 del 11/01/2008 hanno statuito che, (in conformità a quanto ritenuto da una parte della giurisprudenza di merito e della dottrina) non sussistono tre eventi lesivi, come se si trattasse di tre serie causali autonome ed indipendenti, ma di un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica (essenzialmente del fegato), per cui unico è il nesso causale: trasfusione con sangue infetto – contagio infettivo – lesione dell’integrità.

Pertanto già a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B (la cui individuazione, costituendo un accertamento fattuale, rientra nell’esclusiva competenza del giudice di merito) sussiste la responsabilità del Ministero e degli operatori sanitari (tenuti a garantire che le trasfusioni siano effettuate con sangue non infetto, come nella fattispecie la convenuta) anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto, non controllato, come dovuto per legge.

4.1.Inoltre è fondata anche la censura di violazione dell’art. 2967 c.c., poichè spettava alla struttura sanitaria provare di aver controllato e custodito il sangue secondo le metodiche prescritte.

La giurisprudenza di questa Corte in tema di responsabilità professionale del medico ha ritenuto generalmente che gravasse sull’attore (paziente danneggiato che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria) oltre alla prova del contratto, anche quella dell’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie nonchè la prova del nesso di causalità tra l’azione o l’omissione del debitore e tale evento dannoso, allegando il solo inadempimento del sanitario. Resta a carico del debitore l’onere di provare l’esatto adempimento, cioè di aver tenuto un comportamento diligente (Cass. n. 12362 del 2006;

Cass. 11.11.2005, n. 22894; Cass. 28.5.2004, n. 10297; Cass. 3.8.2004, n. 14812).

4.2. Il punto relativo alla prova del nesso di causalità non può essere condiviso, nei termini in cui è stato enunciato, poichè esso risente implicitamente della distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato, che se può avere una funzione descrittiva, è dogmaticamente superata, quanto meno in tema di riparto dell’onere probatorio dalla sentenza delle S.U. n. 13533/2001 (vedasi anche S.U. 28.7.2005, n. 15781).

5.1. La dottrina ha assunto posizioni critiche sull’utilizzo della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, la quale, ancorchè operante soltanto all’interno della categoria delle obbligazioni di fare (a differenza che in Francia dove rappresenta una summa divisio valida per tutte le obbligazioni), ha originato contrasti sia in ordine all’oggetto o contenuto dell’obbligazione, sia in relazione all’onere della prova e, quindi, in definitiva, allo stesso fondamento della responsabilità del professionista. Come insegna la definizione tradizionale, nelle obbligazioni di mezzi la prestazione dovuta prescinde da un particolare esito positivo dell’attività del debitore, che adempie esattamente ove svolga l’attività richiesta nel modo dovuto.

In tali obbligazioni è il comportamento del debitore ad essere in obbligazione, nel senso che la diligenza è tendenzialmente considerata quale criterio determinativo del contenuto del vincolo, con l’ulteriore corollario che il risultato è caratterizzato dall’aleatorietà, perchè dipende, oltre che dal comportamento del debitore, da altri fattori esterni oggettivi o soggettivi. Nelle obbligazioni di risultato, invece, ciò che importa è il conseguimento del risultato stesso, essendo indifferente il mezzo utilizzato per raggiungerlo. La diligenza opera solo come parametro, ovvero come criterio di controllo e valutazione del comportamento del debitore: in altri termini, è il risultato cui mira il creditore, e non il comportamento, ad essere direttamente in obbligazione.

5.2. Tale impostazione non è immune da profili problematici, specialmente se applicata proprio alle ipotesi di prestazione d’opera intellettuale, in considerazione della struttura stessa del rapporto obbligatorio e tenendo conto, altresì, che un risultato è dovuto in tutte le obbligazioni.

In realtà, in ogni obbligazione si richiede la compresenza sia del comportamento del debitore che del risultato, anche se in proporzione variabile, sicchè molti Autori criticano la distinzione poichè in ciascuna obbligazione assumono rilievo così il risultato pratico da raggiungere attraverso il vincolo, come l’impegno che il debitore deve porre per ottenerlo.

5.3. Dalla casistica giurisprudenziale emergono spunti interessanti in ordine alla dicotomia tra obbligazione di mezzi e di risultato, spesso utilizzata al fine di risolvere problemi di ordine pratico, quali la distribuzione dell’onere della prova e l’individuazione del contenuto dell’obbligo, ai fini del giudizio di responsabilità, operandosi non di rado, per ampliare la responsabilità contrattuale del professionista, una sorta di metamorfosi dell’obbligazione di mezzi in quella di risultato, attraverso l’individuazione di doveri di informazione e di avviso (cfr. segnatamente, per quanto riguarda la responsabilità professionale del medico: Cass. 19.5.2004, n. 9471), definiti accessori ma integrativi rispetto all’obbligo primario della prestazione, ed ancorati a principi di buona fede, quali obblighi di protezione, indispensabili per il corretto adempimento della prestazione professionale in senso proprio.

5.4. Sotto il profilo dell’onere della prova, la distinzione (talvolta costruita con prevalente attenzione alla responsabilità dei professionisti intellettuali e dei medici in particolare) veniva utilizzata per sostenere che mentre nelle obbligazioni di mezzi, essendo aleatorio il risultato, sul creditore incombesse l’onere della prova che il mancato risultato era dipeso da scarsa diligenza, nelle obbligazioni di risultato, invece, sul debitore incombeva l’onere della prova che il mancato risultato era dipeso da causa a lui non imputabile.

5.5. Ma anche sotto tale profilo la distinzione è stata sottoposta a revisione sia da parte della giurisprudenza che della dottrina.

Infatti, come detto, questa Corte (sent. n. 13533/2001) ha affermato che il meccanismo di ripartizione dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c. in materia di responsabilità contrattuale (in conformità a criteri di ragionevolezza per identità di situazioni probatorie, di riferibilità in concreto dell’onere probatorio alla sfera di azione dei singoli soggetti e di distinzione strutturale tra responsabilità contrattuale e da fatto illecito) è identico, sia che il creditore agisca per l’adempimento dell’obbligazione, ex art. 1453 c.c., sia che domandi il risarcimento per l’inadempimento contrattuale, ex art. 1218 c.c., senza richiamarsi in alcun modo alla distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato.

6.1. Prestata piena adesione al principio espresso dalla pronunzia suddetta, ritiene questa Corte che l’inadempimento rilevante nell’ambito dell’azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni così dette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno.

Ciò comporta che l’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno.

6.2. Nella fattispecie, quindi, avendo l’attrice provato il contratto relativo alla prestazione sanitaria (ed il punto non è in contestazione) ed il danno assunto (epatite), allegando che la convenuta era inadempiente avendola sottoposto ad emotrasfusione con sangue infetto, competeva alla convenuta fornire la prova che tale inadempimento non vi era stato, poichè non era stata effettuata una trasfusione con sangue infetto, oppure che, pur esistendo l’inadempimento, esso non era eziologicamente rilevante nell’azione risarcitoria proposta, per una assorbente ragione che recideva il nesso causale.

7.1. Per quanto concerne, in particolare, l’ipotesi del contagio da emotrasfusione eseguita all’interno della struttura sanitaria, gli obblighi a carico della struttura ai fini della declaratoria della sua responsabilità, vanno posti in relazione sia agli obblighi normativi esistenti al tempo dell’intervento e relativi alle trasfusioni di sangue, quali quelli relativi alla identificabilita del donatore e del centro trasfusionale di provenienza (c.d. tracciabilità del sangue) che agli obblighi più generali di cui all’art. 1176 c.c. nell’esecuzione delle prestazioni che il medico o la struttura possono aver violato nella singola fattispecie.

8. l’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta l’assorbimento dei restanti.

Pertanto va cassata l’impugnata sentenza e va rinviata la causa, anche per le spese processuali, alla corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che si uniformerà ai suddetti principi di diritto.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti i restanti. Cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio di cassazione alla corte di appello di Napoli, in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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