Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-10-2011) 10-11-2011, n. 40989 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 1 ottobre 2010 il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l’istanza di riesame, proposta ex art. 309 cod. proc. pen. da S.R. avverso il provvedimento del G.I.P. in sede in data 8 giugno 2010, con il quale era stata adottata nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere, siccome gravemente indiziato per il delitto di cui al capo TT) della rubrica (art. 416 bis cod. pen.: partecipazione ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso, operante nella provincia di Reggio Calabria e nota come cosca Gallico, che contendeva alla cosca Condello-Bruzzise il controllo della zona di (OMISSIS), sita al crocevia fra l’omonimo Comune, (OMISSIS) ed alla confluenza fra il tratto autostradale della A3, la strada statale 18 e la località turistica di (OMISSIS), nonchè i Comuni di Seminara, Melicuccà e Bagnara Calabra).

2. Il Tribunale ha rilevato come più sentenze (fra le altre quella emessa dalla Corte d’assise di Palmi il 15 dicembre 1994, irrevocabile il 21 ottobre 1996, nonchè quella emessa dal G.U.P. del Tribunale di Reggio Calabria l’8 maggio 2003) avevano accertato l’esistenza e l’operatività della cosca GALLICO, radicata sul territorio di (OMISSIS), attiva nel settore degli appalti e delle estorsioni e caratterizzata da una consistente disponibilità di armi; da numerose intercettazioni di conversazioni fra presenti registrate il 1 febbraio 2007 presso il carcere di Secondigliano e concernenti il detenuto G.G., uno dei capi della cosca in esame, era poi emerso come la cosca Gallico aveva partecipato alla ripartizione dei proventi connessi alla realizzazione dei lavori di ammodernamento del tratto autostradale A3 ed alla riscossione dei proventi delle estorsioni, commesse in danno delle imprese appaltatrici dei lavori del 5^ macrolotto del citato tratto autostradale A/3 Salerno-Reggio Calabria.

3.Con riferimento poi alla posizione specifica del ricorrente, il Tribunale ha innanzitutto rigettato due eccezioni di nullità sollevate dalla difesa.

La prima di esse concerneva la perdita di efficacia dell’ordinanza custodiale emessa nei suoi confronti, per non avere il Tribunale del riesame rispettato il termine di 10 giorni, decorrenti dal 2 agosto 2010, momento in cui gli atti erano pervenuti alla propria cancelleria, entro il quale il Tribunale avrebbe dovuto pronunciarsi sull’istanza di riesame da lui proposta, per essersi il Tribunale illegittimamente pronunciato solo il 1 ottobre 2010.

Il Tribunale ha ritenuto la piena legittimità del proprio operato, per avere esso all’udienza dell’11 ottobre 2010 sospeso, ai sensi dell’art. 101 disp. att. cod. proc. pen., comma 2, i termini anzidetti, onde consentire al Magistrato di sorveglianza del luogo in cui il ricorrente era detenuto di sentire quest’ultimo; e poichè gli atti assunti dal Magistrato di sorveglianza erano pervenuti il 21 settembre 2010, da tale ultima data dovevano farsi decorrere i 10 giorni di cui all’art. 309 cod. proc. pen., commi 9 e 10, si che il termine anzidetto era da ritenere nella specie pienamente rispettato.

La seconda di tali eccezioni concerneva la nullità dell’audizione del ricorrente da parte del Magistrato di sorveglianza, per omesso avviso ad uno dei suoi due difensori di fiducia.

Il Tribunale ha ritenuto infondata detta eccezione, avendo rilevato come, nella specie, dovesse ritenersi che entrambi i difensori di fiducia del ricorrente fossero a conoscenza dell’ora e del luogo in cui il loro assistito sarebbe stato sentito, in quanto entrambi condividevano lo stesso studio nel medesimo stabile, si che l’avvenuto avviso ad uno dei due difensori di fiducia doveva ritenersi esteso anche all’altro.

4.Nel merito poi il Tribunale ha ritenuto la sussistenza in capo a S.R. dei validi e rilevanti indizi di colpevolezza evidenziati dal G.I.P. nell’ordinanza impugnata, in ordine alla sua partecipazione al sodalizio mafioso anzidetto, risalente fino alla prima metà degli anni 80, con il ruolo, svolto dal 1990 circa, di prestanome per conto della cosca e di intestatario fittizio di numerosi appezzamenti di terreno di proprietà della stessa, che venivano da lui periodicamente venduti.

Il Tribunale ha valorizzato a carico dell’indagato i seguenti elementi: -le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia S.G. che, nel corso delle sommarie informazioni rese il 1 ottobre 2009, lo aveva indicato come un prestanome dei G. ed aveva specificato che, interessato ad acquistare un terreno intestato allo S., era stato da lui indirizzato ai G., con i quali avrebbe dovuto accordarsi;

-gli accertamenti relativi alle ridotte capacità reddituali del ricorrente, incongrue rispetto alla disponibilità da parte sua di un cospicuo patrimonio immobiliare, acquistato dal 1973 in avanti; in particolare il Tribunale ha evidenziato come, da indagini svolte dal Commissariato p.s. di Palmi presso la conservatoria dei registri immobiliari, era emerso che le cospicue proprietà immobiliari, nel provvedimento impugnato analiticamente descritte, acquistate dall’odierno ricorrente e da sua moglie P.D. dal gennaio 1990 non avessero trovato adeguato riscontro nella capacità reddituale del ricorrente medesimo ovvero di sua moglie, se poste a confronto con il rilevante valore delle proprietà immobiliari anzidette, valutate circa L. 140.000.000, sì che poteva fondatamente ritenersi che il ricorrente avesse acquistato e custodito un ingente patrimonio immobiliare il quale, seppur formalmente a lui intestato, era di fatto nella piena disponibilità della cosca Gallico e solo per una parte residua era da ritenersi donato dai G. allo S. quale compenso per l’opera prestata; -le dichiarazioni fatte da uno dei capi della cosca, G.G., captate all’interno del carcere di Secondigliano il 23 agosto 2007, con le quali il primo aveva raccontato ai figli A. ed I.A. come lo S., noto col soprannome di "Penduluni", gli avesse fornito un aiuto indispensabile nel 1985 nell’eseguire un’estorsione in danno di B.R. e B.M.; -le dichiarazioni fatte dal medesimo G.G. a suo figlio A., captate all’interno del carcere di Secondigliano il 1 febbraio 2007, aventi ad oggetto l’omicidio S., commesso dal G. nel maggio del 1981. Descrivendo tale omicidio, G.G. aveva invero riferito di averne messo a conoscenza l’odierno ricorrente, il quale quindi già in quell’epoca era stato ritenuto degno della massima fiducia da parte di G.G., da lui incontrato pur essendo all’epoca latitante;

-la conversazione captata il 3 aprile 2007 all’interno della casa circondariale di Carinola fra il detenuto G.D., sua sorella G.T. e M.G., nel corso della quale si era fatto riferimento al patrimonio immobiliare di cui disponeva la cosca; si era parlato di un certo fondo di proprietà della defunta R.A., che era stato accertato come acquistato proprio dall’odierno ricorrente; era stato poi detto che l’odierno ricorrente si era fatto regalare dai G. tre ettari di terreno, che non avevano potuto essergli negati in quanto gli erano stati promessi da G.A., storico capo della cosca deceduto nel 2005; ed anche G.D. aveva riconosciuto che lo S. meritava un premio, pur ritenendo che il terreno regalatogli aveva un valore eccessivo;

-la conversazione captata in carcere il 25 ottobre 2007 fra G. G. e S.M.C., dalla quale era emerso un chiaro riferimento ad un terreno di "Sarò", inteso come l’odierno ricorrente e, dal contesto della conversazione, poteva chiaramente dedursi che i conversanti ne parlavano come se si trattasse di un bene immobile appartenente ai G..

5. Quanto poi alle esigenze cautelari il Tribunale, in considerazione del reato ascritto al ricorrente, ha fatto riferimento alla presunzione di pericolosità posta dall’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, che poteva essere superata solo quando fosse stata dimostrata la stabile rescissione dei legami dell’indagato con la cosca mafiosa di appartenenza; il che nella specie non era avvenuto, con conseguente persistenza di tale presunzione di pericolosità. 6. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Reggio Calabria ricorre per cassazione S.R. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto tre motivi di ricorso.

Coi primo motivo lamenta violazione di legge in quanto esso ricorrente, che si trovava ristretto in un carcere sito al di fuori della circoscrizione del Tribunale del riesame ed aveva chiesto di essere sentito, avrebbe dovuto essere interrogato dal Magistrato di sorveglianza di Messina almeno il giorno prima della data d’udienza, fissata innanzi al Tribunale del riesame per l’11 agosto 2010, e l’omesso interrogatorio da parte del Magistrato di sorveglianza anzidetto non poteva consentire al Tribunale di emettere il provvedimento di sospensione adottato, in quanto detta sospensione, prevista dall’art. 101 disp. att. cod. proc. pen., era legittima solo se fosse stato l’indagato ad avere presentato la richiesta di audizione direttamente in udienza, per il tramite dei propri legali, in tal modo rinunziando di fatto al termine perentorio di 10 giorni, di cui all’art. 309 cod. proc. pen., comma 9.

Erroneamente quindi il Tribunale del riesame aveva nella specie ritenuto di poter sanare la mancata audizione dell’indagato da parte del Magistrato di sorveglianza di Messina sospendendo i termini del procedimento ai sensi degli art. 309, commi 9 e 10, art. 127 cod. proc. pen., comma 4 e art. 101 disp. att. cod. proc. pen., fino al compimento dell’atto, in quanto dette norme erano riferibili ad un’ipotesi del tutto diversa rispetto a quella in esame, atteso che, nella specie, esso ricorrente fin dall’istanza di riesame aveva chiesto di essere tradotto all’udienza ovvero di essere sentito dal magistrato di sorveglianza, si che l’incombente, ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen., comma 3, avrebbe dovuto avvenire entro il giorno antecedente alla data dell’udienza; e la disposta sospensione dei termini era illegittima, siccome disposta a seguito di un’omissione non addebitabile ad esso ricorrente.

Col secondo motivo lamenta violazione di legge, in quanto il Magistrato di sorveglianza di Messina aveva fissato la sua audizione per il giorno 21 settembre 2010 ed il relativo avviso era stato notificato solo ad uno dei due difensori di fiducia da lui nominati e cioè solo all’avv. Armando VENETO, ma non anche all’avv. Vladimir SOLANO. Il Tribunale aveva ritenuto che anche quest’ultimo difensore fosse stato al corrente dell’ora e del luogo dell’audizione di esso ricorrente sulla base di due argomenti erronei:

-perchè aveva ritenuto che i due avvocati da lui nominati condividessero lo stesso studio, si che la notifica avvenuta nei confronti dell’avv. VENETO avrebbe dovuto ritenersi effettuata anche nei confronti dell’avv. SOLANO;

– perchè il verbale d’udienza innanzi al Magistrato di sorveglianza aveva attestato che era presente, in sostituzione dell’avv. VENETO, l’avv. VENTRA, il che avrebbe dimostrato l’avvenuta comunicazione della sua audizione presso lo studio comune dei due difensori.

Invero i due difensori anzidetti, pur avendo lo studio nel medesimo stabile, ben avrebbero potuto avere lo studio in diversi appartamenti; inoltre l’avvenuta comunicazione della audizione dello S. ad entrambi gli avvocati non poteva desumersi dal fatto che, all’udienza, l’avv. VENTRA era comparso quale sostituto processuale dell’avv. VENETO, in quanto rimaneva pur sempre il fatto che l’avv. SOLANO non era stato avvertito.

Era stato pertanto violato il diritto di difesa dell’indagato, in quanto ciascuno dei suoi due difensori di fiducia doveva essere messo in grado di esercitare, in modo pieno ed autonomo, le facoltà difensive ad essi spettanti; il che era stato impedito, nella specie, ad uno di essi.

Col terzo motivo lamenta carenza di motivazione circa la sussistenza di validi indizi di colpevolezza a suo carico, in quanto essi erano in realtà costituiti solo da intercettazioni ambientali, nelle quali era stato fatto riferimento a lui, in quel momento non presente, attribuendogli condotte costituenti reato; ma erano accuse generiche e prive di efficacia probatoria, le quali erano state ritenute avallate dall’accettata netta sproporzione fra i redditi suoi e del suo nucleo familiare rispetto al patrimonio posseduto, si che, con riguardo ad esso, egli sarebbe stato mero prestanome della cosca Gallico.

Non era stato tenuto conto del parere prò veritate espresso dal dr. C., dal quale poteva al contrario desumersi che i beni a lui sequestrati erano stati lecitamente acquistati con la sua attività di imprenditore agricolo; con particolare riferimento poi ai redditi prodotti dalla vendita dell’olio, ha fatto presente che essi, per loro natura, non potevano figurare direttamente nelle sue dichiarazioni dei redditi.

Quanto infine al colloquio in carcere captato il 25 ottobre 1997 fra G.G. ed i suoi familiari, ha rilevato come il Tribunale erroneamente ne avesse tratto il convincimento che i suoi terreni fossero stati nella effettiva disponibilità della cosca Gallico.

Motivi della decisione

1. E’ fondato il primo motivo di ricorso proposto da S.R..

2. Con esso il ricorrente lamenta che il Tribunale del riesame erroneamente abbia sospeso il termine di 10 giorni, di cui all’art. 309 cod. proc. pen., commi 9 e 10, onde consentire al Magistrato di sorveglianza di Messina di ascoltarlo, in quanto la sospensione (rectius interruzione) di cui sopra è prevista dall’art. 101 disp. att. cod. proc. pen. solo nell’ipotesi di cui all’art. 127 cod. proc. pen., comma 4 e cioè in caso di rinvio per legittimo impedimento dell’indagato che aveva chiesto di essere sentito personalmente, ovvero nell’ipotesi in cui sia necessario attendere gli atti assunti dal magistrato di sorveglianza a norma dell’art. 127 cod. proc. pen., comma 3, mentre nel caso in esame si era verificato un disservizio imputabile unicamente agli uffici giudiziari in quanto il Magistrato di sorveglianza competente non aveva sentito lo S. prima del giorno dell’udienza del Tribunale del riesame come previsto dal citato art. 127, comma 3; ed era documentalmente provato che il predetto aveva manifestato la volontà di essere sentito fin dalla proposizione dell’istanza di riesame.

3. La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il carattere perentorio del termine di 10 giorni, decorrente dalla ricezione degli atti, entro il quale il Tribunale deve decidere, ex art. 309 cod. proc. pen., commi 9 e 10, sulla richiesta di riesame delle ordinanze che dispongono una misura cautelare, pena l’immediata perdita di efficacia dell’ordinanza coercitiva (cfr., ex multis, Sez. 5 n. 30248 del 13/06/2003, Liscai, Rv. 226382).

Da tale perentorietà discende che il termine in esame non è suscettibile nè di sospensione, nè di interruzione, non potendosi consentire alcuna dilazione al di fuori dei casi espressamente e tassativamente previsti dall’art. 101 disp. att. cod. proc. pen., commi 1 e 2; e tali norme, costituendo eccezione alla norma generale, sono di stretta interpretazione, si che nei loro confronti non è ammessa alcuna interpretazione estensiva (cfr. Sez. 1 n. 678 dell’11/02/1992, Santonocito, Rv. 189510).

Da tali premesse discende che una lettura coordinata dell’art. 309, commi 9 e 10, art. 127 cod. proc. pen., commi 3 e 4 e art. 101 disp. att. cod. proc. pen., comma 2, induce a ritenere che la interruzione del termine in esame sia stata prevista dalla legge al solo fine di assicurare il diritto di difesa dell’indagato, onde consentirgli di essere sentito dal Magistrato di sorveglianza del luogo in cui è detenuto; trattasi pertanto di garanzia disposta dalla legge nel suo esclusivo interesse e di cui l’indagato deve poter usufruire, facendone tempestivamente richiesta, senza pregiudizio dell’altra garanzia rappresentata dall’intervento in tempi ristretti della decisione del Tribunale del riesame, il che ben è possibile ove all’incombente, come previsto dall’art. 127 c.p.p., comma 3, richiamato dall’art. 101 disp. att. cod. proc. pen., si provveda prima del giorno dell’udienza davanti al tribunale del riesame medesimo. Pertanto occorre distinguere fra l’ipotesi in cui l’indagato abbia chiesto, tramite il suo difensore, di essere sentito solo nel corso dell’udienza innanzi al Tribunale del riesame e l’ipotesi, come quella in esame, nella quale invece l’indagato abbia chiesto di essere sentito fin dalla richiesta di riesame, senza che il Magistrato di sorveglianza abbia provveduto all’incombente, previsto dall’art. 127 cod. proc. pen., comma 3, di sentirlo entro il giorno precedente la data dell’udienza fissata innanzi al Tribunale del riesame.

Invero solo nel primo caso il differimento della decorrenza del termine perentorio di giorni 10 di cui sopra può ritenersi consentita, dovendosi in tale ipotesi ritenere prevalente l’esigenza di assicurare all’indagato, la cui richiesta è stata fatta in tempi non compatibili con il rispetto del termine di cui all’art. 309 c.p.p., comma 9, il diritto di difesa, assecondando la sua volontà di esplicare le proprie ragioni difensive innanzi al Magistrato di sorveglianza. Nel caso in esame si è al contrario verificato:

– che il ricorrente ha manifestato fin dalla richiesta di riesame la sua volontà di essere tradotto, onde partecipare all’udienza innanzi al Tribunale del riesame, ovvero di essere sentito dal Magistrato di sorveglianza;

– che il Magistrato di sorveglianza del luogo in cui il ricorrente era detenuto non lo ha sentito entro il giorno precedente la data dell’udienza fissata innanzi al Tribunale del riesame per motivi certamente non ascrivibili al ricorrente. Appare pertanto censurabile la determinazione adottata dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria di differire anche nel caso in esame la decorrenza del termine perentorio di giorni 10, di cui all’art. 309 cod. proc. pen., commi 9 e 10, onde consentire al ricorrente di essere sentito dal Magistrato di sorveglianza del luogo in cui era detenuto, essendo in contrasto con le finalità garantistiche perseguite dalle norme in esame far ricadere sul ricorrente un’omissione imputabile all’ufficio giudiziario e non al comportamento del ricorrente, avendo quest’ultimo, come sopra detto, chiesto di essere sentito dal Magistrato di sorveglianza in largo anticipo rispetto alla data d’udienza innanzi al Tribunale del riesame.

In tal senso questa Corte si è già espressa nell’analogo caso di necessità di ripetere l’interrogatorio avanti il Magistrato di sorveglianza perchè ritenuto nullo (Sez. 6 n. 2013 del 25/06/1993, Torto, Rv. 159919); e tale orientamento, per quanto sopra detto, appare al Collegio senz’altro preferibile rispetto a quello contrario, al quale l’ordinanza impugnata ha fatto richiamo (Sez. 5 15/7/99, Conti, rv. 214.479).

4. La fondatezza del primo ed assorbente motivo esime dal procedere all’esame dei restanti motivi di ricorso.

5. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata senza rinvio, con conseguente immediata scarcerazione del ricorrente, se non detenuto per altra causa, a norma dell’art. 309 cod. proc. pen., comma 10. 6. La cancelleria è richiesta di procedere agli adempimenti di cui all’art. 626 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dichiara la perdita di efficacia della misura della custodia cautelare in carcere applicata a S.R. con ordinanza emessa l’8 giugno 2010 dal G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria. Ordina l’immediata liberazione dello S. se non detenuto per altra causa e manda alla Cancelleria per la comunicazione al P.G. in sede ai sensi dell’art. 626 cod. proc. pen..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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