Cass. civ. Sez. III, Sent., 15-05-2012, n. 7541 Responsabilità civile

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. F.U. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Brescia Liguria Assicurazioni S.p.A., nonchè M. e D.A., per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni patiti in occasione dell’incidente stradale verificatosi il (OMISSIS), a seguito della fuoriuscita di strada dell’autovettura di D.A., condotta da D.M., sulla quale egli viaggiava quale "trasportato , e del successivo impatto contro un ponte e poi del ribaltamento in un fosso. La Liguria, costituitasi, resisteva sostenendo il concorso di colpa dell’infortunato, perchè viaggiava "privo della cintura di sicurezza". Non si costituivano i D. e si procedeva in loro contumacia. Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, accertando la responsabilità di D.M. per essersi distratto mentre era alla guida del veicolo, perdendo il controllo del mezzo e fuoriuscendo di strada e, ritenuta l’incidenza del fatto colposo del danneggiato nella misura del 20% per il suo mancato uso delle obbligatorie cinture di sicurezza, che avevano comportato il suo essere sbalzato fuori dall’abitacolo a seguito dell’urto e le conseguenti gravi lesioni patite a carico di un tratto lombare della colonna vertebrale; condannava i convenuti in solido a risarcirgli Euro 79.547,18, oltre spese di lite. In particolare, il giudice di primo grado riconosceva il danno biologico da invalidità "permanente" (per l’accertata diminuzione del 24% della "capacità lavorativa generica", conseguita ai postumi permanenti) e "temporanea", nonchè il "danno morale" in via equitativa e le "spese materiali" e rigettava la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale da "incapacità lavorativa specifica", svolgendo l’attore attività lavorativa intellettuale.

2. Il F. appellava la sentenza, lamentando:

2.1. per il ritenuto "nesso causale" tra le lesioni riportate e la propria colpa, pur riconoscendo il mancato suo uso delle cinture di sicurezza, dubitava di essere stato catapultato fuori della macchina e, comunque, affermava che era possibile la riconducibilità delle lesioni patite all’urto subito dalla vettura contro l’ostacolo (un ponte) ed al successivo ribaltamento in un fosso ovvero che fosse stato provato in causa che le lesioni potessero essere escluse con l’utilizzo delle cinture di sicurezza. Le lesioni avrebbero potuto essere state causate, oltre che dall’urto del suo corpo contro il tetto dei veicolo o dalla sua avvenuta fuoriuscita dall’abitacolo, altresì dagli effetti dello schiacciamento del tetto medesimo su di sè per l’urto ovvero per le "onde" prodottesi all’interno dell’abitacolo a seguito dell’urto del veicolo contro l’ostacolo, possibilità queste ultime per le quali non aveva rilievo l’avvenuto mancato allacciamento delle cinture di sicurezza; l’assicuratore avrebbe dovuto provare in causa il concorso di colpa eccepito e non aveva adempiuto all’onere di cui era gravato;

2.2. per il risarcimento del danno liquidato, in particolare alla voce del danno patrimoniale "da postumi permanenti", che reputava non congruo data l’incidenza sulla futura capacità lavorativa dell’infortunato, limitandone la capacità di guadagno.

3. Disposta nuova consulenza tecnica d’ufficio allo scopo di accertare se le lesioni riportate dall’attore fossero state o meno conseguenza della fuoriuscita dalla macchina per l’urto e la successiva caduta a terra dal veicolo o per l’impatto dell’autovettura contro l’ostacolo fisso ed anche se sussistesse il danno per incapacità lavorativa specifica, con la sentenza oggetto della presente impugnazione, depositata l’8 ottobre 2009, la Corte d’Appello di Brescia ha respinto l’appello del F., in quanto infondato. Ha ritenuto incontroverso e coperto da giudicato l’accertamento della responsabilità di D.M. all’80% nella causazione del sinistro. Quanto alle censure del F., ha rilevato:

3.1. che dovesse confermarsi la concorrente responsabilità dello stesso al 20% nella causazione dell’evento lesivo, in quanto al momento del sinistro era trasportato "sul sedile posteriore" dell’autovettura pacificamente "senza le cinture di sicurezza", pur essendo la loro adozione obbligatoria. Era documentato ed incontroverso che al momento del sinistro non furono presenti testimoni esterni ed inoltre che i CC. Di Rudiano (BS) non poterono accertare la posizione del veicolo dopo il sinistro, essendo lo stesso stato rimosso prima del loro intervento, con l’effetto che la dinamica dello stesso era stata ricostruita solo sulla base delle dichiarazioni rese nell’immediato dal conducente D.M., dato che il trasportato F. era svenuto e poi non aveva comunque più nulla ricordato dei fatti. Il conducente D. nelle immediatezze dichiarò, invero, spontaneamente ai CC. che, a causa di una distrazione, aveva perso; "…il controllo del mezzo. La vettura sbandava e con la parte destra, anzi preciso usciva di strada e colpiva con la parte ant. dx. un ponte in cemento che si trovava sul canale al margine della strada. La vettura si alzava su sè stessa per finire nel campo adagiata su un fianco dx … I due miei amici sono sbalzati dalla vettura". La vettura a seguito del sinistro riportò danni a: ..fiancata laterale dx, con interessamento anche di parti meccaniche; parte anteriore ammaccata…". Il Tribunale aveva reputato sussistente il concorso colposo F. nell’evento, per essersi infortunato a seguito del sinistro per il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, venendo sbalzato fuori dalla vettura ovvero per la successiva caduta nel campo della vettura, aggiungendo che: "…la naturale struttura dei sedili dell’abitacolo di una qualsiasi autovettura consente di escludere che le gravi lesioni riportate da F.U. al tratto lombare della colonna vertebrale siano state provocate da un urto contro il sedile stesso..".

All’esito dell’istruttoria ulteriormente espletata in appello, mancavano elementi per ritenere che l’evento lesivo si sarebbe verificato "a prescindere" dall’uso delle cinture di sicurezza che per legge il trasportato F. era obbligatoriamente tenuto ad allacciare. La nuova c.t.u. non aveva nella sostanza inciso sulle conclusioni tratte dal giudice di primo grado dalla prima c.t.u. espletata nè eliso i congrui elementi presuntivi di responsabilità dal medesimo posti a base della decisione assunta, non avendo infatti escluso l’inesistenza dell’asserito rilievo della mancata adozione delle cinture di sicurezza al momento del sinistro e, anzi, avendo accertato che per la tipologia delle lesioni riportate, in particolare la "frattura di L3 tipica da scoppio", doveva presupporsi una: "…azione traumatolesiva che avesse agito in senso cauda- craniale quale si ha genericamente con cadute sul podice; nel caso in esame si tratta di un trauma confusivo violento sul podice per ricaduta del corpo a tronco eretto sul sedile dopo la proiezione in avanti del corpo stesso al momento del primo impatto del veicolo…", e conclusivamente ritenersi che: "…la lesione con ragionevole convincimento è attribuibile all’impatto della vettura contro l’ostacolo fisso e non è causalmente collegabile a fuoriuscita dalla macchina e successiva caduta a terra…". In tal modo si è accertato che l’evento era evitabile, o comunque poteva avere una ben minore incidenza, qualora fossero state utilizzate le cinture di sicurezza.

La Corte, acclarata l’incidenza eziologia di tale omissione sull’evento dannoso, posto che il trasportato a seguito della fuoriuscita dell’auto dalla carreggiata e dell’urto con la sponda del ponte in cemento, se avesse agganciato le cinture di sicurezza, non sarebbe stato prima così violentemente proiettato in avanti e poi non sarebbe pesantemente ricaduto all’indietro nel veicolo riportando frattura vertebrale, reputava che entrambe le azioni del conducente e del trasportato avessero avuto un’efficienza causale nella produzione dell’evento lesivo, come correttamente reputato da Tribunale, e che in assenza di appello incidentale andasse confermato il "risibile" venti per cento del concorso di colpa riconosciuto a carico del trasportato F.;

3.2. che andasse rigettata anche la seconda doglianza dell’appellante. Può essere riconosciuto all’infortunato, che presti attività lavorativa il danno da lucro cessante per la riduzione della capacità lavorativa specifica in presenza di elementi tali da far ritenere che, a causa dei postumi, il medesimo avrà minori guadagni dai proprio lavoro, posto invece che ogni diverso pregiudizio è risarcibile a titolo di danno alla salute o di danno morale. Il Tribunale ha negato l’esistenza di un danno alla capacità lavorativa specifica per la professione intellettuale del F., sulla base delle risultanze della c.t.u. che aveva escluso l’incidenza del danno invocato, per essere all’epoca del sinistro l’infortunato studente geometra. La c.t.u. svolta in appello ha ribadito il giudizio, escludendo una specifica quantificabilità della invocata riduzione della capacità lavorativa specifica, dato che residuavano: "…postumi di carattere permanente che sono stati valutati incidere sulla capacità lavorativa generica del 24% e la cui incidenza sulla capacità lavorativa specifica attuale non è percentualizzabile nè definibile se non nei termini generici di dolorabilità, affaticamento e usura.." del soggetto in un lavoro, non più di geometra (attività non più praticata) ma ora di "gestore di bar e barista con l’aiuto di due dipendenti", attività diversa, in relazione alla quale andava ora valutata l’incidenza dei postumi, osservando a completezza che attualmente F., quale lavoratore in proprio con due dipendenti, aveva la possibilità di gestire le pause di riposo secondo necessità e che, al più, l’eventuale valutazione dell’incidenza de nocumento andava rimessa al criterio equitativo del giudicante essendo l’entità dell’incidenza del nocumento "…difficilmente parametrabile e inquadrabile in termini temporali e ergonomici" il danno "biologico" ed il danno alla "capacità lavorativa specifica" attengano ad ambiti del tutto diversi: il primo concernendo il diritto all’integrità fisiopsichica della persona, il secondo riguardando, invece, la capacità di guadagno e, quindi, il reddito della persona. Solo quando risulti una riduzione della capacità di guadagno e del reddito effettivamente percepito, questo (e non la causa di questo, cioè la riduzione della capacità di lavoro specifica) è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante (Cass. 23 gennaio 2006 n. 1230).

Tale voce di danno, nel caso in esame, era del tutto indimostrata e meramente ipotetica nella sua concreta effettività ed entità, non avendo l’appellante dimostrato alcuna preclusione patita all’attività espletata, liberamente mutata in modo radicale (da geometra a gestore di bar), nè risultando che la stessa fosse mai stata impedita dalle lesioni subite nè avendo egli dato prova dell’eventuale reddito perduto, sia nel corso del periodo di invalidità temporanea sia con riferimento a quella permanente, dati di fatto di cui sarebbe stato estremamente semplice offrire adeguati riscontri. Andava rigettata la censura relativa al danno da perdita di opportunità di lavoro del tutto indimostrata, per l’assenza totale di qualsivoglia elemento probatorio di riscontro.

4. Avvero tale sentenza, propone ricorso per cassazione il F.;

resiste la Liguria con controricorso e chiede rigettarsi il ricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

4.1. Il ricorrente espone quelle che a suo avviso sarebbero le argomentazioni contrarie alla motivazione dell’impugnata sentenza.

4.1.1. Anzitutto, con riguardo a quelle relative al primo motivo di appello, relativamente al nesso causale (tra mancato uso delle cinture di sicurezza ed evento lesivo), rileva: a. le dichiarazioni del conducente D.M. (parte in causa), comunque rese, non possono far prova a suo favore ma soltanto (quando costituiscano confessione giudiziale o stragiudiziale) prova contro di lui. Quanto alla ricostruzione dell’incidente essa è frutto, nel rapporto giudiziario come in causa, dell’evidenza della situazione obiettiva (danni al muretto e al veicolo, veicolo fuori carreggiata sul piano di campagna) e della confessione, da parte di D., del fatto a lui sfavorevole (perdita di controllo, uscita di strada, urto contro ostacolo fisso, cappottamento) cui nulla aggiunge e nulla potrebbe aggiungere una conferma successiva;

b. l’argomento per cui "la naturale struttura dei sedili dell’abitacolo di qualsiasi vettura consente di escludere che le gravi lesioni siano state provocate da un urto contro il sedile stesso" (pag. 7) è contraddetto irrefutabilmente dal giudizio tecnico del CTU. Rispondendo ad un quesito appositamente mirato il CTU ha illustrato il meccanismo traumatico causativo della lesione, e cioè la frattura a scoppio di L3 causata da violenta ricaduta indietro a tronco eretto del podice sul sedile, generando compressione in direzione opposta e cioè caudo-craniale ed ha smascherato l’apodittica affermazione in sentenza, contraddetta appunto dalla natura dei sedili – rivestimento morbido poggiato su molle e su base rigida – niente affatto ostativa ma compatibile, in ipotesi, con un possibile violento schiacciamento del podice in fase finale di violenta ricaduta del corpo a tronco eretto;

c. ai sensi dell’art. 2697 c.c. è onere di chi afferma l’esistenza del nesso causale (fra mancato uso delle cinture e lesioni subite) darne la prova; tale prova costituisce premessa necessaria, non surrogabile in alcun modo con una pura e semplice affermazione in sentenza del nesso causale fra comportamento colposo e lesioni.

Infatti, per affermare quel nesso causale devono esistere ed essere comprovati in causa fatti che comportano certezza e prova del nesso causale (l’onere probatorio dei quali è a carico di chi afferma certezza e prova del nesso causale). Per contro possono essere provati e sono stati provati dalla difesa di F., fatti che escludono certezza o prova del nesso causale fra mancato uso delle cinture ed evento di lesioni. L’affermazione, in sentenza, più sopra riportata costituisce perciò violazione dell’art. 2697 c.c.;

d. non possono costituire prova, nè sostituire la prova (possibile anche per mezzo di elementi presuntivi di responsabilità) pure e semplici affermazioni generiche da parte della Corte in sentenza quale la, soltanto apoditticamente asserita ma non argomentata, incompatibilità delle lesioni accertate con una ricaduta del corpo contro il sedile. Aggiunge che "nessuna incidenza causale potesse aver avuto il mancato uso delle cinture di sicurezza perchè esse non sono, in nessunissimo modo nè concepite per nè idonee a limitare la violenza di una ricaduta del corpo all’indietro sul sedile (ma soltanto la violenza di una proiezione in avanti verso parabrezza e cruscotto frenando la violenza della traiettoria in fase di proiezione in avanti del corpo prima dell’urto). … Le cinture di sicurezza, frenando la proiezione in avanti e in alto del corpo prima dell’urto contro ostacoli fissi all’interno del veicolo, diminuirebbero la violenza della propulsione in avanti generata dal primo impatto del veicolo (energia cinetica: peso di F. pari a 100 kg moltiplicato per velocità elevata del veicolo) senza che ciò potesse evitare, a sua volta, per legge fisica, una reazione anche elastica uguale e contraria, e senza che, comunque, quella reazione in nessun modo e in nessuna misura potesse essere frenata dalla presenza delle cinture (non concepite infatti per frenare una ricaduta all’indietro ma soltanto, per loro natura e struttura, una proiezione in avanti). … le cinture non avrebbero in alcun modo potuto esercitare un qualunque effetto in qualunque misura frenante della ricaduta all’indietro e della sua violenza (semplicemente perchè non concepite per farlo e non perciò dotate dei mezzi necessari per farlo; avrebbero, semmai, potuto, per reazione elastica uguale e contraria all’azione di frenata della proiezione in avanti in corso, aggravare la violenza della ricaduta all’indietro)".

Quindi, "non soltanto non esisteva prova e nemmeno presunzione alcuna di un effetto, in ipotesi, delle cinture idoneo a limitare la violenza di una ricaduta all’indietro ma esisteva, come si è visto, una presunzione contraria logicamente necessaria: la presenza delle cinture non poteva evitare la ricaduta all’indietro nè, in alcun modo, poteva ridurre velocità e quindi violenza della ricaduta.

Questa presunzione (scopo, funzione, struttura delle cinture di sicurezza, causa ed effetto del meccanismo traumatico, descritto dal CTU) costituisce prova tecnica dell’inesistenza di nesso causale (fra mancato uso delle cinture e lesioni).

4.1.2. Inoltre, sempre con riguardo al nesso causale, la Corte territoriale avrebbe omesso "l’esame di questione decisiva e di fatto decisivo (ignorando appunto totalmente argomenti e conclusioni del CTU, e postulando apoditticamente idoneità ed efficacia delle cinture, in tal senso e in ipotesi sufficienti ad attenuare o impedire; ha ignorato, perciò, questioni decisive e fatti decisivi omettendo totalmente di esaminare eventuali presunzioni favorevoli ma, anche soprattutto, sicure presunzioni contrarie alla tesi della evitabilità delle lesioni. Ha perciò pronunciato con motivazione insufficiente (anche perchè in tema di presunzioni contrarie la motivazione era addirittura del tutto inesistente) oltre che contraddittoria (fra premesse della CTU ricordate e convalidate e invocate dalla stessa Corte e conclusioni tratte dalla stessa Corte) e, soprattutto, in violazione degli artt. 2043 e 2697 c.c. perchè in aperta violazione dei principi che stabiliscono gli elementi costitutivi dell’illecito (nesso causale fra colpa di F. e lesioni di F.) ed onere probatorio, a carico del conducente, del nesso causale". Si elenca i fatti e le presunzioni gravi precise e concordanti in relazione ai quali evidenzia i pretesi addebiti di omesso esame, di motivazione insufficiente e contraddittoria, di violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c. nell’interpretazione consolidata:

1) Inesistenza di segni di ferite esterne sul corpo di F. (necessari in caso di proiezione esterna del corpo e di caduta sul piano di campagna); 2) Inesistenza di fratture conseguenti alla violenta ricaduta del corpo sul piano di campagna (necessarie in caso di proiezione esterna del corpo e di caduta sul piano di campagna);

3) Inesistenza di sfondamento di parabrezza anteriore o laterale (necessario in caso di proiezione esterna del corpo e di caduta sul piano di campagna);

4) Inesistenza di schiacciamento del corpo di F. sotto il fianco destro della vettura (necessario nel caso di espulsione con sfondamento della portiera) a. nel caso (alternativo all’ipotesi sub 3) di fuoriuscita dalla portiera destra, spalancatasi in ipotesi per l’urto; b. inesistenza di ferite di F. (necessarie in caso di ipotesi alternativa a quella sub 3) riportate in più parti del corpo per effetto di schiacciamento; c. inesistenza di portiera destra divelta nello schiacciamento, perchè spalancata nell’urto (e schiacciata, in ipotesi, nella successiva ricaduta del veicolo sul fianco destro);

5) Inesistenza di segni esterni di ferita, conseguente ad urto, sul corpo di F. all’altezza ed in corrispondenza della vertebra scoppiata (indici necessari di un possibile diverso meccanismo traumatico rispetto a quello descritto dal CTU) contro parti interne del veicolo diverse dal sedile (evitabili, in ipotesi, con l’uso delle cinture);

6) Esistenza di un meccanismo traumatico specifico diagnosticato dal CTU (compressione caudo-craniale) necessariamente escluso in fase di proiezione esterna del corpo dal veicolo e di ricaduta del corpo sul piano di campagna e necessariamente escluso in fase di proiezione del corpo contro parti interne diverse dal sedile;

7) Compatibilità dell’uso di cinture di sicurezza con il meccanismo indicato dal CTU: l’impennata e la semirotazione destrorsa della vettura sul suo asse longitudinale possono provocare la proiezione del tronco verso l’alto e verso il tetto e la ricaduta del tronco eretto verso il sedile con violento schiacciamento del podice sul sedile e simultaneo contraccolpo, nella medesima direzione caudocraniale, generata dalla violentissima caduta (peso per velocità) della vettura sul piano di campagna cui conseguiva compressione caudo-craniale della colonna vertebrale (la violenza è direttamente proporzionale ai 100 kg di peso del F., CTU – all’elevata velocità dei veicolo e alla legge fisica della conservazione del moto ed alla legge fisica che ad ogni azione segue reazione uguale e contraria). Il meccanismo traumatico individuato dal CTU era possibile e necessario sia in presenza che in assenza delle cinture di sicurezza, essendo queste concepite per limitare la proiezione del tronco in avanti esercitando trazione e ritenzione in senso contrario ed inefficaci invece a contenere entrambe le compressioni della colonna vertebrale in direzione caudo-craniale appena illustrate;

8) Le cinture non impediscono una proiezione in avanti ma soltanto l’arrestano dopo un breve effetto di contenzione fino a fondo corsa generano al contempo una reazione uguale e contraria e di natura elastica in senso inverso; 9) inesistenza di una qualsiasi prova di:

a. proiezione del corpo all’esterno e ricaduta sul piano di campagna;

b. meccanismo traumatico compatibile con questa ipotesi; c. nesso causale fra mancato uso delle cinture e meccanismo traumatico compatibile con questa ipotesi; 10) Le cinture non impediscono una proiezione verso l’alto e non esercitano azione di ritenzione del corpo in fase di proiezione verso l’alto se non indiretta e minore (in ogni caso con minore effetto di ritenzione);

11) I movimenti del veicolo nell’urto contro ostacolo fisso, scavalcamento dell’ostacolo, impennata del veicolo, semirotazione verso destra, ricaduta sul fianco destro hanno operato congiuntamente, o anche successivamente, una presumibile proiezione del corpo in avanti ed in alto, con successiva ricaduta all’indietro (non evitabile con l’uso delle cinture);

12) In ogni caso la ricaduta all’indietro del podice sul sedile a tronco eretto si è necessariamente di fatto verificata (v. CTU:

meccanismo traumatico); nè più nè meno si sarebbe verificata anche in caso di uso delle cinture e con la medesima direzione ed energia cinetica verso la base del sedile: unica differenza che, in caso di uso delle cinture, sarebbe stata più violenta per la reazione conseguente alla ritenzione elastica della proiezione in avanti e in alto.

13) In nessun caso le cinture di sicurezza avrebbero potuto avere qualsiasi effetto per impedire il contraccolpo, addizionale ed ulteriore ed ancor maggiore energia cinetica nella medesima direzione caudo-craniale, generato dalla violentissima ricaduta del veicolo sul piano di campagna.

4.2. Con riguardo al rigetto del secondo motivo di appello, riguardante il mancato riconoscimento di pregiudizio della capacità lavorativa specifica, il ricorrente deduce: "… il CTU preferiva riservare il giudizio sul danno patrimoniale lavorativo da postumi permanenti (giudizio necessariamente equitativo) alla superiore e specifica competenza della Corte. Ciò proprio perchè, ne testo del suo elaborato, il CTU riteneva decisive le vicende intercorse e riteneva anch’egli, come logico, che un giudizio ex ante (sulle attività programmate e poi rinunciate) ed un giudizio ex post (sull’attività successivamente intrapresa) potesse offrire ulteriori elementi di giudizio, anche per un giudizio equitativo riservato al Giudice (anche per comparazione degli effetti della menomazione e dell’incapacità specifica nelle due diverse attività ipotizzate e tenendo conto del limite imposto, in via di ipotesi, dalla dolorabilità e affaticabilità, nelle attività fisiche faticose e logoranti della parte lesa che lo stesso CTU aveva concorso ad evidenziare). Per l’effetto il CTU suggeriva che le valutazioni del danno certamente esistente conseguente alla menomazione e della perdita di guadagno (presumibile sia nelle attività programmate e rinunciate, sia in quella effettivamente intrapresa) necessariamente conseguente fosse rimessa al prudente apprezzamento del Giudice ed ai criteri dallo stesso applicati.

5. Il ricorrente formulava, quindi, i propri motivi del ricorso per cassazione: 5.1. violazione e falsa applicazione di norme ( artt. 2043, 2697 e 2909 c.c., e art. 324 c.p.c.). Risalente e consolidata giurisprudenza interpretativa delle indicate norme stabilisce e identifica: a. gli elementi costitutivi dell’illecito extracontrattuale (violazione di diritto soggettivo erga omnes, comportamento colposo, nesso causale, evento di lesione del diritto, danno conseguente); b. l’onere probatorio della sussistenza di ciascuno e di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito è a carico di chi deduce l’esistenza dell’illecito come premessa per la domanda di risarcimento del danno; a sensi art. 2697 c.c., comma 2 è a carico del conducente che eccepisce fa colpa esclusiva o concorrente del danneggiato – chiedendo di essere totalmente o parzialmente assolto dalla domanda di risarcimento – l’onere di provare, con riferimento alla colpa del danneggiato nel causare o concausare l’illecito e il danno, l’esistenza degli stessi elementi costitutivi dell’illecito a carico di F.. Ne deriverebbe: 1. che a carico della difesa dei convenuti (conducente, proprietario e assicuratore del veicolo) è non soltanto l’onere probatorio del comportamento colposo dell’attore F. (mancato uso delle cinture di sicurezza) ma anche l’onere probatorio del nesso causale contestato fra la colpa dell’attore F. (mai contestata) ed evento di lesioni in danno dell’attore. Pertanto, in difetto della prova fornita (o comunque acquisita), di quel nesso causale, non può affermarsi colpa concorrente del soggetto leso nella causazione del danno subito; 2. che, in applicazione dei principi citati, una volta accertata la colpa esclusiva del conducente in proporzione del 100% nel causare l’incidente stradale in cui si verifica, per conseguenza, l’evento di lesioni del trasportato, la colpa esclusiva e totale del conducente è accertata anche con riferimento all’evento di danno (lesioni personali) a meno che il convenuto conducente provi tanto la colpa concorrente dell’attore quanto il nesso causale fra colpa dell’attore ed evento di lesioni da lui subite nell’incidente.

Soltanto, in ipotesi, l’accertamento di quella colpa e di quel nesso causale potrebbe costituire premessa necessaria e sufficiente per affermare la riduzione della colpa del convenuto, nel causare le lesioni dell’attore, dal 100% all’80% (appunto per conseguenza della sottrazione della colpa concorrente dall’attore, accertata in misura del 20%). Per effetto di queste premesse l’accertamento della colpa concorrente provata dell’attore e del nesso causale, in ipotesi, fra colpa e lesioni subite è l’unica possibile premessa e causa della sottrazione (della stessa colpa concorrente dell’attore nel causare le lesioni nella ritenuta misura del 20%) dalla colpa esclusiva del convenuto nel provocare l’incidente ed è perciò unica possibile causa della riduzione conseguente (dal cento per cento all’ottanta per cento) della colpa del convenuto nel provocare le lesioni. Ne consegue che l’impugnazione del capo della sentenza del Tribunale di Brescia (che afferma la colpa concorrente di F. nella misura del 20% nel causare le lesioni e che riduce la colpa del conducente convenuto dal 100 all’80% nel causare le lesioni), per la stessa necessità logica implica e contiene necessariamente anche l’impugnazione del capo della sentenza che stabilisce la colpa concorrente del convenuto nella misura soltanto dell’80% ne causare le lesioni. Infatti i due capi della sentenza sono indissolubilmente legati e la pronuncia di entrambi è la conclusione, indissolubilmente congiunta, delle premesse maggiore e minore di un unico sillogismo (colpa del conducente del 100% nel provocare l’incidente, colpa dell’attore nella misura del 20% nel provocare lesioni, colpa residuata del conducente nella misura dell’80% nel provocare le lesioni). Ne consegue che la sentenza della Corte di Appello di Brescia (impugnata con il presente ricorso avanti la Suprema Corte di Cassazione) ha errato nel ritenere (incidenter tantum) l’appellata sentenza del Tribunale di Brescia passata in giudicato (giudicato interno) per essere stato soltanto espressamente impugnato il capo della sentenza che accerta la colpa concorrente dell’attore in misura del 20% nel concausare le lesioni e non anche espressamente impugnato il capo della sentenza che riduce all’80% la colpa del convenuto nel causare le lesioni: la sentenza è viziata da violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c. Infatti risalente e consolidata applicazione ed interpretazione, nella giurisprudenza di legittimità, in tema di nozione di giudicato interno e di regole della formazione del giudicato interno sono state omesse di applicare alla fattispecie ed è stata omessa la verifica della sussistenza nella fattispecie degli elementi costitutivi di un giudicato interno in tema di elementi costitutivi dell’illecito di lesioni personali e di onere probatorio degli stessi e di premesse sussistenti per la riduzione della colpa del conducente convenuto dal 100 all’80% nel causare le lesioni. E’ regola consolidata che il giudicato interno su un capo della sentenza si estende al dedotto e al deducibile e si estende non soltanto a quelle che ne sono conseguenze necessarie secondo la logica giuridica ma anche a quelle che ne sono premesse logicamente necessarie.

Perciò l’attore appellante, impugnando espressamente il capo della sentenza affermativo di sua colpa in misura del 20% nel concausare l’evento di lesioni (premessa minore), impugnava anche implicitamente e necessariamente la, conseguente logicamente necessaria conclusione del sillogismo (del capo della sentenza che riduceva all’80% la colpa del conducente convenuto nel causare le lesioni). Quindi l’impugnazione dell’un capo della sentenza (20% nel concausare le lesioni da parte del soggetto leso) implicava e conteneva necessariamente anche l’impugnazione dell’altro capo (80% di colpa del conducente nel causare le lesioni), proprio perchè si trattava di accertamento congiunto di premesse e conclusione comuni ad entrambi i capi della sentenza, logicamente e giuridicamente indissolubili. L’affermazione da parte della sentenza della Corte di Appello di un giudicato interno formatosi costituisce, perciò, violazione al tempo stesso delle norme che stabiliscono gli elementi costitutivi dell’illecito, l’onere probatorio degli elementi costitutivi (fra cui il nesso causale) e violazione delle regole che governano formazione ed effetti giuridici de giudicato interno e costituisce omesso esame di questione decisiva e di fatti decisivi al fine di stabilire la sussistenza, nella fattispecie, di un giudicato interno. Ciò consegue alla logica continenza dell’impugnazione di un accertamento (riduzione all’80%, sottraendo 20% dal 100%), nell’impugnazione dell’altro accertamento (colpa concorrente dell’attore nel causare le lesioni in misura del 20%) essendo i due accertamenti indissolubilmente legati. Si consideri che è, invece, autentico giudicato interno l’affermazione – non impugnata – del 100% di colpa del conducente nel causare l’incidente.

5.2. Omesso esame di questioni decisive e fatti decisivi (sempre in relazione alla dedotta inesistenza di giudicato interno affermato dalla Corte territoriale). L’omesso esame della questione decisiva e dei fatti decisivi ha per oggetto la nozione dell’illecito e dei suoi elementi costitutivi e de relativo onere probatorio nonchè la nozione di giudicato interno nella consolidata interpretazione giurisprudenziale e la sussistenza di necessaria implicazione logica e continenza fra le due distinte affermazioni in sentenza, capi di un unico e comune sillogismo, fondato su identiche premesse e su una conclusione unica e comune. L’illustrazione di questo primo motivo di ricorso si è resa necessaria (benchè, a prima vista, possa apparire forse superflua) perchè l’affermazione dell’esistenza di un giudicato interno sul punto della colpa concorrente dell’attore nella misura del 20% nel concausare le proprie lesioni (erroneamente ritenuto nella sentenza impugnata, con violazione e falsa applicazione di norme e con omesso esame di questione decisiva e fatti decisivi) è premessa prospettata in sentenza congiuntamente ed unitamente ad altra premessa, senza che le due diverse premesse siano coordinate come principale e subordinata, ma piuttosto come reciprocamente confermative. Infatti, da un lato, si afferma erroneamente una ritenuta comprovata effettiva esistenza della colpa concorrente dell’attore e del nesso causale fra colpa concorrente e lesioni subite dall’attore nella misura del 20% (soltanto ipotizzata e apoditticamente affermata ma nient’affatto comprovata). D’altro lato, indipendentemente dalla prova del nesso causale fra colpa concorrente dell’attore e lesioni dell’attore, si afferma la formazione del giudicato interno per la sola ragione di una mancata espressa impugnazione dell’affermazione della colpa del conducente concorrente soltanto in misura dell’80% nella concausazione delle lesioni (mentre tale impaginazione è necessariamente implicata, invece, nell’impugnazione della affermazione e nella richiesta di esclusione del nesso causale fra mancato uso delle cinture e lesioni subite dall’attore).

5.3. Omesso esame della questione decisiva: elementi costitutivi dell’illecito, onere probatorio, inesistenza di prova fornita dal convenuto – o comunque acquisita agli atti di causa – del nesso causale fra colpa di F. ed evento di lesioni ed esistenza di prova contraria, fornita dall’attore ed acquisita agli atti di causa.

La sentenza impugnata ha omesso di esaminare la seguente questione decisiva: mentre la colpa del conducente (mancato governo dei veicolo, uscita di strada, urto contro ostacolo fisso, impennata del veicolo e conseguente ricaduta al suolo) è provata (rapporto: danni a cose ed at veicolo) ed è del resto confessata e pacifica sia nel determinare l’incidente sia quanto al rapporto causale fra incidente e lesioni subite dall’attore F. (e perciò è dimostrata la colpa esclusiva del conducente), al contrario il nesso causale fra colpa di F. ed evento di lesioni subite dallo stesso F. non è stato provato. Infatti, pur essendosi dato per ammesso il mancato uso delle cinture è rimasto indimostrato, invece, il nesso causale fra il mancato uso delle cinture e l’evento di lesioni (soltanto apoditticamente affermato dalla difesa del convenuto e apoditticamente ritenuto in sentenza). La sentenza impugnata da un lato ha attribuito un inesistente valore probatorio alle dichiarazioni di D., parte in causa, sulla espulsione del corpo di F. dal veicolo e d’altro lato ha affermato, non si sa perchè, l’impossibilità di causare le lesioni subite da F. con la ricaduta del corpo all’indietro sul sedile (ciò benchè fosse evidente che quella era l’unica spiegazione possibile e verosimile per le lesioni subite senza segni esteriori di ferite alla schiena):

infatti si deve escludere un urto frontale di F. contro cruscotto e parabrezza per inesistenza di compatibili danni al veicolo e di compatibili lesioni personali (e, per le stesse ragioni, dovendosi anche escludere un’espulsione fuori da veicolo e una ricaduta all’esterno). 11 valore probatorio, attribuito in sentenza alle dichiarazioni del conducente, costituisce violazione e falsa applicazione della normativa vigente in tema di effetti della confessione. La questione decisiva era ed è, per l’effetto, quella di accertare l’esistenza o inesistenza del contestato nesso causale fra mancato uso delle cinture e lesioni subite da F. ed, in particolare, accertare il meccanismo traumatico specifico causativo delle particolari lesioni subite (viso ed esterno del corpo illesi e un solo trauma chiuso ad organi interni: frattura da scoppio di L3), tenendo presente che non già l’attore F. è onerato della prova dell’assenza del nesso causale fra mancato uso delle cinture e lesioni (comunque addebitabili al conducente, in difetto di diversa prova, come ulteriore effetto dell’incidente) ma sono invece il conducente convenuto e la sua difesa (che affermano quel nesso causale) onerati della prova del nesso causale fra mancato uso delle cinture e lesioni. La stessa sentenza, per affermare esistenza e prova del nesso causale fra colpa di F. e lesioni, deve darne prova con motivazione immune da vizi logici e giuridici. All’opposto è da evidenziare che esiste in atti la prova dell’inesistenza di nesso causale fra mancato uso delle cinture e lesioni, per presunzioni gravi precise e concordanti: nessuna lesione da urto del corpo contro cruscotto e parabrezza, nessun danno a cruscotto o parabrezza, nessuna lesione esterna del corpo e del capo e del viso riconducibili ad espulsione del corpo dal veicolo e successiva ricaduta del corpo di F. al suolo, nessun urto contro ostacoli esterni; prova tecnica del meccanismo traumatico causativo della lesione (v. CTU) fondata sulla natura della frattura a scoppio della vertebra e sulla struttura della colonna vertebrale (in asse dal podice in su in direzione caudo-craniale) e sulla violenta compressione della colonna vertebrale e delle vertebre in direzione caudo-craniale coassiale alla colonna vertebrale, unica causa possibile ed idonea, delle lesioni, riconducibili ad una violenta ricaduta del corpo e del podice a tronco eretto all’indietro e verso il basso sul sedile dopo una precedente proiezione (in avanti e in alto per energia cinetica, e successiva ricaduta del tronco all’indietro per inerzia conseguente all’urto del veicolo contro l’ostacolo fisso del ponte); prova tecnica della natura e funzione delle cinture che, se frenano e impediscono un urto contro cruscotto e parabrezza, non impediscono, bensì soltanto frenano progressivamente, una proiezione del corpo in avanti, mentre non frenano e non impediscono affatto una ricaduta del corpo all’indietro, bensì semmai (per legge fisica ad ogni azione di ritenzione segue una reazione uguale e contraria) possono soltanto incrementare, una volta raggiunto il fondo corsa della cintura, la spinta in direzione contraria a quella della proiezione in avanti e in alto (dopo aver contrastato con la iniziale tensione della cintura, la fase di proiezione in avanti e in alto). La sentenza impugnata ha affermato il nesso causale fra mancato uso delle cinture e lesioni appunto per effetto dell’omesso esame delle prove dell’inesistenza del nesso causale e della inesistenza di prove del nesso causale (questione decisiva e fatti decisivi) e dell’omesso esame della prova storica (risultanze obiettive, cartelle cliniche e rapporto) e delle prove tecniche (CTU: descrizione della tipologia della lesione compatibile con un meccanismo traumatico identificato, ad esclusione di altri possibili, nella ricaduta all’indietro a tronco eretto del corpo dopo proiezione in avanti, schiacciando il podice sul sedile e comprimendo con violenza il sedile fino alla base rigida sottostante, generando una compressione della colonna vertebrale in direzione opposta caudo-craniale).

6. Dall’articolato ricorso emerge, in sostanza, la formulazione di tre censure: 1. Violazione delle norme sul giudicato, per erronea affermazione dell’esistenza dello stesso sulla percentuale del concorso di colpa attribuita al conducente D.; 2.a. Violazione di norma sull’onere probatorio ( art. 2697 c.c..) e 2.b. vizi motivazionali (erronea e contraddittoria considerazione della c.t.u. di appello e omesso esame di varie circostanze decisive) in relazione al nesso causale tra il mancato impiego delle cinture di sicurezza e l’evento lesivo; 3) Vizio motivazionale in ordine al mancato riconoscimento del danno da pregiudizio permanente della capacità lavorativa specifica.

6.1.1. Secondo l’ordine logico delle questioni, va anzitutto esaminata la questione relativa all’asserita violazione dell’onere probatorio ( art. 2697 c.c.), perchè, secondo il ricorrente, la sentenza d’appello, nel confermare la decisione di primo grado in ordine al concorso di colpa del trasportato, non avrebbe tenuto conto che incombeva al conducente-danneggiante provare il nesso di causalità tra il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza e l’evento lesivo.

6.2.1. La censura è infondata, in quanto la giurisprudenza di questa S.C. è ormai consolidata nel senso che "nell’accertamento dell’eziologia dell’evento dannoso il giudice può d’ufficio accertare che ad essa ha concorso il comportamento del danneggiato.

L’ipotesi del concorso di colpa del danneggiato di cui all’art. 1227 c.c., comma 1, non concretando un’eccezione in senso proprio ma una semplice difesa, deve essere esaminata e verificata dal giudice anche d’ufficio, attraverso le opportune indagini sull’eventuale sussistenza della colpa del danneggiato e sulla quantificazione dell’incidenza causale dell’accertata negligenza nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni dalle richieste della parte (Cass. n. 6529 del 2011; 18544 del 2009). Nella ricostruzione del fatto storico, quindi, il giudice può anche di ufficio rilevare il concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso danneggiato, e ciò nella considerazione che tale indagine sia intrinseca alla ricostruzione del fatto storico e non rappresenti eccezione in senso stretto (Cass. n. 4954/2007, in motivazione; 5127/2004). Invero, in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso, a norma dell’ari. 1227 cod. civ. -applicabile, per l’espresso richiamo contenuto nell’art. 2056 cod. civ., anche nel campo della responsabilità extracontrattuale – la prova che il creditore-danneggiato avrebbe potuto evitare i danni dei quali chiede il risarcimento usando l’ordinaria diligenza deve essere fornita dal debitore-danneggiante che pretende di non risarcire, in tutto o in parte, il creditore. (Cass. 4954 del 2007; cfr. anche Cass. 23734 del 2009; 18177 del 2007; 1213 del 2006). La norma di cui all’art. 1227 c.c., comma 1, infatti, applicabile anche in tema di responsabilità aquiliana, a norma dell’art. 2056 c.c. e, concernente il concorso del fatto colposo del danneggiato, come nella fattispecie, si limita a fare applicazione concreta alla colpa del danneggiato del più generale principio di causalità, per cui il risarcimento del danno deve essere proporzionalmente ridotto in ragione dell’entità percentuale dell’efficienza causale del comportamento della vittima, atteso che il danno che un soggetto arreca a sè stesso non può essere posto a carico dell’autore della causa concorrente, sia per il principio che il risarcimento va proporzionato all’entità della colpa di ciascun concorrente, sia per l’esigenza di evitare un indebito arricchimento (Cass. n. 24432/2009; 484 del 2003; 5024 del 2002).

Nel caso in esame, la circostanza del mancato impiego delle cinture era stato dedotto dalla Compagnia convenuta fin dalla costituzione in primo grado e lo stesso ricorrente non ha contestato detto mancato impiego, ma si è limitato a censurare l’incidenza dello stesso ai fini della determinazione dell’evento lesivo. Non vi è, quindi, contesa relativamente alla rilevazione della questione, nè alla deduzione dei fatti rilevanti, ma solo in ordine all’accertamento del nesso causale, vale a dire nell’espletamento di un compito riservato al giudice adito. Questo risulta congruamente ed adeguatamente condotto dalla Corte territoriale, sulla base degli elementi probatori acquisiti agli atti. Del resto, l’accertamento dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 1227 c.c. costituisce un’indagine di fatto, che, in quanto adeguatamente motivata, sfugge all’analisi di legittimità (Cass. n. 5511 del 2003), così come in tema di incidenti stradali la ricostruzione della loro dinamica, come pure l’accertamento delle condotte dei veicoli coinvolti e della sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e la loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento della esistenza o esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità, qualora il procedimento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico – giuridico (tra le tantissime, 5 giugno 2007 n. 15434; 10 agosto 2004 n. 15434; Cass. 14 luglio 2003, n. 11007; Cass. 10 luglio 2003, n. 10880; Cass. 5 aprile 2003, n. 5375; Cass. 11 novembre 2002, n. 15809).

6.2.1. Va ora esaminato il secondo profilo del secondo motivo, con cui si prospettano vizi motivazionali, per erronea e contraddittoria valutazione della consulenza d’ufficio disposta dalla Corte territoriale e per omesso esame di diverse questioni e fatti decisivi sempre in relazione al nesso causale tra mancato impiego delle cinture ed evento lesivo.

6.2.2. Anche le censure relative a tali pretesi vizi motivazionali si rivelano prive di pregio. Coerentemente con i principi richiamati al punto precedente, si osserva che il ricorrente, lungi dal prospettare, con le censure in esame, vizi logici o giuridici posti in essere dai giudici del merito e rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si limita – contra legem e cercando di superare quelli che sono i ristretti limiti del giudizio di legittimità, il quale non è un giudizio di merito di terzo grado, nel quale sottoporre a un nuovo vaglio tutte le risultanze di causa e sollecitare una nuova lettura delle prove raccolte in causa, con conseguente palese inammissibilità delle censure in esame.

Nel giudizio di cassazione, la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c. p.c., n. 5 non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (Cass. n. 10657/2010; 7972 del 2007).

6.2.3. La Corte territoriale, sui punti oggetto della presente censura ha rilevato che, all’esito dell’istruttoria ulteriormente espletata in appello, mancavano elementi per ritenere che l’evento lesivo si sarebbe verificato "a prescindere" dall’uso delle cinture di sicurezza che per legge il trasportato F. era obbligatoriamente tenuto ad allacciare. La nuova c.t.u. non aveva nella sostanza inciso sulle conclusioni tratte dal giudice di primo grado dalla prima c.t.u. espletata nè eliso i congrui elementi presuntivi di responsabilità dal medesimo posti a base della decisione assunta, non avendo infatti escluso l’inesistenza dell’asserito rilievo della mancata adozione delle cinture di sicurezza al momento del sinistro e, anzi, avendo accertato che per la tipologia delle lesioni riportate, in particolare la "frattura di L3 tipica da scoppio", doveva presupporsi una: "…azione traumatolesiva che avesse agito in senso cauda-craniale quale si ha genericamente con cadute sul podice; nel caso in esame si tratta di un trauma contusivo violento sul podice per ricaduta del corpo a tronco eretto sul sedile dopo la proiezione in avanti del corpo stesso al momento del primo impatto del veicolo…", e conclusivamente ritenersi che: "…la lesione con ragionevole convincimento è attribuibile all’impatto della vettura contro l’ostacolo fisso e non è causalmente collegabile a fuoriuscita dalla macchina e successiva caduta a terra…". In tal modo si è accertato che l’evento era evitabile, o comunque poteva avere una ben minore incidenza, qualora fossero state utilizzate le cinture di sicurezza.

La Corte, acclarata l’incidenza eziologia di tale omissione sull’evento dannoso, posto che il trasportato a seguito della fuoriuscita dell’auto dalla carreggiata e dell’urto con la sponda del ponte in cemento, se avesse agganciato le cinture di sicurezza, non sarebbe stato prima così violentemente proiettato in avanti e poi non sarebbe pesantemente ricaduto all’indietro nel veicolo riportando frattura vertebrale, reputava che entrambe le azioni del conducente e del trasportato avessero avuto un’efficienza causale nella produzione dell’evento lesivo …". 6.2.4. Nel caso in esame, quindi, quanto alla prima parte della censura, il giudice di appello ha puntualmente e congruamente motivato la propria adesione alla c.t.u. disposta in secondo grado, spiegando anche perchè riteneva le conclusioni della stessa compatibili con quella espletata in primo grado, diversamente da quanto opina, invece, il ricorrente. Ciò significa che detta adesione non è stata acritica, nè basata su formule meramente stilistiche, sicchè non si presta ad essere censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (tra le tante, cfr. Cass. 5148/11;

4797/07; 245/95; 3161/73). Invero, l’iter argomentativo seguito dalla Corte territoriale per respingere il gravame sul relativo capo dell’appello è chiaro e corretto sotto il profilo logico e giuridico, avendo adeguatamente valutato gli elementi probatori rimessi al suo giudizio.

6.2.5. Nè è ammissibile – sempre rispetto all’asserita erronea valutazione della consulenza – la doglianza di una presunta contraddizione in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa, perchè con l’ordinanza d’ammissione della consulenza avrebbe riconosciuto come non fossero stati sufficientemente chiariti alcuni aspetti (il nesso causale tra le lesioni e lo sbalzo fuori dall’abitacolo, oltre che un pregiudizio alla capacità lavorativa specifica) e, in ragione di ciò, avrebbe disposto le nuove indagini tecniche; successivamente – al variare della composizione del Collegio Giudicante – sarebbe mutato l’orientamento della Corte medesima, tanto da indurre la stessa a ritenere, invece, sufficienti le risultanze della CTU di primo grado e da ritenere come la consulenza svolta in secondo grado non avesse sostanzialmente inciso sulle conclusioni cui era pervenuto il medico legale nominato dal Tribunale e sulle conclusioni del Tribunale medesimo di cui alla sentenza, tanto che la stessa Corte vi aderiva confermandola. Infatti, ai sensi degli artt. 177 e 279 c.p.c., le ordinanze non possono mai pregiudicare la decisione della causa e sono sempre modificabili o revocabili dal giudice che le ha pronunciate, avendo natura meramente endoprocessuale ed essendo prive del valore della decisorietà, mancando la natura sostanziale di sentenza e, come tale, non essendo destinata a definire il giudizio.

Trattasi, di pronuncia non vincolante, revocabile e modificabile, sia in corso di causa da parte dello stesso giudice che l’ha emessa, sia in sentenza da parte del giudice che decide la causa. Attesa la natura meramente preparatoria (o ordinatoria) e funzionale e la mancanza di qualsivoglia efficacia decisoria, l’organo giudicante può mutare d’avviso senza che il contenuto dell’ordinanza possa pregiudicare la decisione della causa (Cass. n. 1596/2007;

11580/2005). Questa Corte ha ripetutamente affermato che "l’ordinanza istruttoria relativa all’ammissione di una prova è provvedimento tipicamente ordinatorio, con funzione strumentale e preparatoria rispetto alfa futura definizione della controversia, privo come tale di qualunque efficacia decisoria e quindi insuscettibile di impugnazione davanti al giudice superiore, e tanto meno di ricorro per cassazione (Cass., sez. 3, 30 settembre 2008, n. 24321). Si deve, di conseguenza, ritenere che la decisione impugnata si riveli in armonia, sul punto, con il consolidato orientamento secondo cui il vizio di contraddittorietà della motivazione, deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve investire una pluralità di enunciati posti a fondamento della decisione e rinvenibili nella motivazione (o da questa ricavabili implicitamente), ponendone il luce la reciproca incompatibilità, mentre non può concernere il rapporto tra provvedimenti istruttori e decisione, atteso che questi ultimi non possono pregiudicare la decisione della causa (Cass. n. 12465/2003; 11056/2003, relativa a fattispecie in cui la parte aveva dedotto la contraddittorietà tra la decisione che aveva fatto proprio il parere del consulente di primo grado e l’ordinanza che aveva disposto il rinnovo della consulenza in secondo grado;

4378/1982).

6.3.1 Anche la seconda parte della censura – secondo la quale la Corte territoriale sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, di omesso esame di fatti e circostanze decisive (puntualizzate nella precedente esposizione dei motivi del ricorso), laddove ha ritenuto l’assenza di elementi, anche medico-legali, volti ad escludere l’indicato nesso causale – non è meritevole di accoglimento. Le deduzioni di parte ricorrente devolvono a questa Suprema Corte un inammissibile controllo sul giudizio di fatto cui sono pervenuti i giudici di merito. Il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 "non può essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione o valutazione dei fatti operata dal giudice del merito, al diverso convincimento soggettivo della parte. Tali aspetti del giudizio, infatti, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono ai libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, rilevanti ai sensi della norma in esame. Diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dei giudice di merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di legittimità" (Cass., 26 aprile 2010, n. 9908).

I pretesi vizi motivazionali dedotti in detta censura non sono, peraltro, neanche prospettabili sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione, in quanto esso, sia nell’ipotesi di contrasto tra dispositivo e motivazione stessa, sia nel caso di assoluta inconciliabilità delle ragioni esposte a fondamento della decisione, è tale solo se intrinseco alla sentenza, afferendo alla sua stessa logicità, e può, pertanto, essere riscontrato ne suo solo ambito, non rilevando, al riguardo, eventuali contrasti – pur denunciabili sotto altri profili – tra le affermazioni della stessa sentenza ed il contenuto di altre prove e documenti (Cass. n. 6787 del 2000). Nella specie, l’asserito omesso esame di fatti decisivi non è altro che la contrapposizione tra argomentazioni del CTU di appello e argomentazioni della sentenza, che pure dichiara di essersi attenuta alle prime, cosi come in molte di esse (dal n. 7 ad 11 e n. 13 dalle pag. 36 a 39 del ricorso) la doglianza si riferisce non a "fatti" controversi, ma a valutazioni degli stessi, con conseguente intrinseca inammissibilità delle censure.

6.3.2. Invece, il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, si configura nell’ipotesi di carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo;

mentre il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la ratio decidendi, deve essere intrinseco alla sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Cass. n. 8629/2000; 5913/2001, in motivazione; 2830/2001; 9233/2006;

12052/2007).

6.3.3. Nella specie, non rappresentano nè omissione della motivazione quelle di cui ai punti da 1 a 13 delle pagine da 36 a 39 del ricorso, non essendovi insanabile contrasto logico tra le affermazioni indicate nella motivazione della sentenza, in quanto non sono argomentazioni tra loro inconciliabili, specie ove indicate, come nell’ipotesi, per giustificare perchè non possa escludersi che il mancato impiego delle cinture abbia inciso sulla determinazione dell’evento lesivo. E’ sufficiente ribadire che spetta al giudice del merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, cosi, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (tra le molte, cfr. Cass. 17477/2007); nè, infine, si può considerare "insufficiente" la motivazione in ordine alla sussistenza dell’indicato nesso causale solo perchè non collimante con le attese e le deduzioni svolte al riguardo dalla parte odierna ricorrente.

6.4.1. Si rivela inammissibile anche la censura relativa alla motivazione relativa alla mancata liquidazione del danno alla capacità lavorativa specifica, in quanto nella stessa il ricorrente si limita a riproporre le considerazioni del c.t.u. in appello (da pag. 39 a 41 del ricorso) e non spiega quali sarebbero le ragioni alla base dell’illogicità della motivazione censurata, essendo, invece, necessaria, a norma dell’art. 366 c.p.c., n. 4, la specifica indicazione o delle lacune nelle argomentazioni costituenti la ratio decidendi, o delle illogicità delle stesse nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori del senso comune, ovvero delle ragioni di incoerenza tra le medesime, con conseguente assoluta inconciliabilità razionale di tali argomentazioni, in insanabile contrasto tra loro (Cass. n. 15279 del 2003).

6.4.2. Nè possono ritenersi idonee a tal fine le deduzioni contenute nei punti 4.e. e 5.c. del ricorso (p. 68 s. ed 82 s. del ricorso) rivolte ad individuare quali dovrebbero le "prescrizioni" da impartire al giudice di rinvio.

6.5. Il mancato accoglimento delle censure del ricorrente relative al nesso causale ed alla liquidazione del danno patrimoniale futuro, da incapacità lavorativa specifica, escludendo ogni interferenza della presente decisione sull’assetto della responsabilità in ordine all’evento lesivo confermato dalla sentenza di appello, comportano il venir meno dell’interesse del ricorrente medesimo ad impugnare la sentenza sul punto del giudicato interno, ritenuto formatosi dalla Corte territoriale in ordine alla quantificazione della responsabilità del D.. Va considerata assorbita, quindi, ogni decisione in ordine alla dedotta violazione delle norme sul giudicato interno.

6.6. Sono da considerare inammissibili, infine, tutte le deduzioni contenute nel ricorso estranee alla tipologia legale prevista dall’art. 360 c.p.c., n. 5, inclusa la frequente e puntuale indicazione di quali dovrebbero essere le disposizioni da impartire al giudice di rinvio.

7. Ne deriva il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo in favore della parte costituita. Nulla per le spese nei rapporti con gli altri intimati che non hanno svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, in favore della Liguria Assicurazioni S.p.A., in Euro 3.200,00=, ci cui Euro 3.000,00= per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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