Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-10-2011) 10-11-2011, n. 40969 Trattamento penitenziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 20/5/10 il Tribunale di Sorveglianza di Roma, nel respingere il reclamo di T.G. avverso il decreto ministeriale 3/12/09 che prorogava per anni 2 la sottoposizione del T. al regime penitenziario differenziato di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 41-bis (in quanto appartenente con posizione di rilievo all’omonimo clan catanese inserito nel più ampio cartello Aparo-Nardo-Trigila), dichiarava altresì irrilevanti o manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, pure sollevate con il detto ricorso, in ordine alle singole restrizioni riguardanti i colloqui difensivi e con i familiari.

Dichiarava invece non manifestamente infondate le questioni sollevate in ordine alle restrizioni riguardanti le ore all’aperto e di socialità e l’esclusa possibilità per il Tribunale ( L. 15 luglio 2009, n. 94, ex art. 25) di decidere sulla congruità del contenuto del provvedimento (oltre che sull’esistenza dei presupposti per la sua adozione).

Ricorreva per cassazione la difesa del T., deducendo violazione di legge (l’art. 41-bis op) e motivazione apparente (anche in relazione alle deduzioni difensive): si era specialmente omesso di considerare che il T. era ininterrottamente detenuto dal 14/2/96 e che tutti i reati addebitatigli si riferivano a condotte antecedenti la sua carcerazione. Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Nel suo parere scritto il PG presso questa S.C., con attenta e puntuale motivazione, chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, perchè manifestamente infondato. Il 13/9/11 la difesa depositava note di replica con le quali contestava le conclusioni del PG ed insisteva nelle proprie deduzioni.

Il ricorso è inammissibile.

La L. n. 354 del 1975, art. 4- bis, comma 2-bis, nell’attuale lettura (successiva alle modifiche della L. n. 94 del 2009) stabilisce che i provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato "sono prorogabili nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sè, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa".

L’ambito del sindacato devoluto alla Suprema Corte è segnato dal novellato art. 41-bis, comma 2-sexies, a norma del quale il PG presso la Corte di Appello, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale per violazione di legge. La limitazione dei motivi di ricorso alla violazione di legge è da intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dovendo in tale vizio esser ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28/5/03, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. 1, 9/11/04, ric. Santapaola, rv. 230203).

E’ invece da escludere che la violazione di legge possa ricomprendere il vizio di illogicità della motivazione dedotto dall’odierno ricorrente, che, sotto questo profilo, non può trovare ingresso in questa sede.

Alla luce dei su detti principi la Corte osserva infatti che il ricorso, pur denunciando formalmente anche il vizio di violazione di legge, non individua singoli aspetti del provvedimento impugnato da sottoporre a censura di legittimità, ma tende in realtà a provocare una non consentita nuova valutazione del merito delle circostanze di fatto, in quanto tali insindacabili in questa sede di giudizio.

L’ordinanza impugnata, peraltro, ha correttamente valutato gli elementi risultanti agli atti, con motivazione congrua, adeguata e priva di erronea applicazione della legge, in specie soffermandosi sui punti (decisivi) della perdurante virulenza dell’associazione mafiosa di appartenenza del T. (oggetto di procedimenti penali anche recenti), della personale caratura criminale del detenuto (definitivamente giudicato per delitti di notevole gravità e sottoposto a sequestro dei beni per valori ingenti) e del ruolo cui era pervenuto all’interno dell’associazione medesima (ruolo, secondo il collaboratore di giustizia D.P.C., divenuto a suo tempo di particolare rilievo per la coeva detenzione di altri esponenti del clan).

Non colgono pertanto nel segno (ed hanno trovato comunque adeguata risposta nel provvedimento impugnato) i rilievi difensivi circa la risalente detenzione del T. e la commissione in tempi ad essa anteriori di tutti i reati addebitati.

Alla dichiarazione di inammissibilità segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una congrua sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

visto l’art. 606 c.p.p., comma 3 e art. 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di 1.000 Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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