Cassazione civile anno 2005 n. 1751

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
C. C. convenne innanzi al tribunale di Palermo G. S. e la s.p.a. La previdente assicurazioni per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni conseguenti alle lesioni (frattura del collo del piede sinistro) procurategli dallo S. investendo con la propria autovettura, assicurata con la società convenuta, il ciclomotore sul quale si trovava.
La società assicuratrice si oppose alla domanda.
Il giudice istruttore emise ordinanza ai sensi dell’art. 186 quater c.p.c., con la quale condannò i convenuti al pagamento solidale di lire 72.918.000 con gli interessi legali fino al soddisfo.
La corte di appello di Palermo con sentenza resa il 17.3.2000 rigettò il gravame del C., considerando – per quanto ancora interessa – che nella valutazione del danno biologico il primo giudice aveva tenuto conto delle tabelle all’epoca vigenti, mentre non si poteva accedere alla richiesta di tenere conto delle tabelle sopravvenute, prodotte informalmente dall’interessato; il primo giudice aveva correttamente ritenuto che la menomazione subita dal C. rifluisse sulla "penosità" del lavoro da lui svolto e rimanesse nell’ambito del danno alla salute; il C., difatti, non aveva fornito alcuna prova, neppure presuntiva, che la menomazione (anchilosi dell’articolazione tibio – astralgica del piede sinistro) potesse incidere negativamente sullo svolgimento dell’attività lavorativa specifica e quindi sulla capacità di guadagno; il danno morale era stato liquidato in misura adeguata, tenuto conto delle sofferenze fisiche, dei patemi di animo e della durata della malattia.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il C. sulla base di cinque motivi illustrati con memoria; ha resistito con controricorso la società intimata.

Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente lamenta che la corte di merito abbia liquidato come danno biologico l’incapacità lavorativa specifica conseguente alle lesioni; censura la corte anzidetta per avere negato applicazione a tabelle più vantaggiose per il danneggiato (quelle applicate dal tribunale di Palermo nel 1998 – 1999 e quelle dei giudici milanesi) siccome successive al sinistro.
Con il secondo motivo il ricorrente censura la corte di merito per avere immotivatamente ritenuto inattendibile la percentuale di incapacità lavorativa (35%) stabilita dal c.t.u.; evidenzia che il detto consulente ha dato ampio conto del proprio parere; deduce che la medesima corte ha ritenuto con motivazione contraddittoria che il venditore ambulante possa svolgere la propria attività rimanendo fermo; lamenta che non siasi fatta – applicazione della prova presuntiva.
La complementarietà dei motivi ne consiglia la trattazione unitaria.
Come questa Corte ha avuto più volte occasione di affermare, dal fatto illecito lesivo dell’integrità psico-fisica della persona può derivare riduzione della sola capacità lavorativa generica o anche della capacità lavorativa specifica; la riduzione della capacità lavorativa generica è risarcibile come danno biologico; quella della capacità lavorativa specifica può dare luogo a diminuzione della capacità di guadagno e tale diminuzione integra danno patrimoniale.
Dall’invalidità permanente non consegue in modo automatico una presunzione di danno da lucro cessante, che consegue soltanto da quella invalidità che produce riduzione della capacità lavorativa specifica; neppure l’invalidità permanente di non modesta entità riduce in uguale misura la capacità di produrre reddito.
11 danno patrimoniale da invalidità deve essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse o avrebbe presumibilmente svolto in futuro attività lavorativa produttiva di reddito.
La relativa prova fa carico al danneggiato e può anche essere presuntiva, fermo restando che deve essere certa la riduzione della capacità lavorativa specifica (Cass. 25.5.2004, n. 10026; Cass. 26.2.2004, n. 3867; Cass. 11.8.2000, n. 10125; Cass. 18.4.2003, n. 6291).
Nella liquidazione del danno biologico il giudice può avvalersi del metodo equitativo filtrato attraverso l’applicazione di criteri predeterminati e standardizzati come le tabelle elaborate da alcuni uffici giudiziari.
Tali tabelle non rientrano nelle nozioni di fatto di comune esperienza di cui all’art. 115 c.p.c. nè sono contenute in norme di diritto appartenenti alla cognizione del giudice (Cass. 23.5.2003, n. 8169). solo se la parte indichi la tabella che a suo parere è più idonea alla liquidazione del danno e ne spieghi la ragione, la decisione ancorata ad una tabella diversa deve contenere la motivazione della scelta operata e questa deve essere basata su un criterio logico (Cass. 22.3.2001, n. 4112).
Ai principi sopra esposti si è in sostanza adeguata la corte di merito, la quale ha rilevato come il C. non ha provato che la menomazione subita incida negativamente sulla specifica attività lavorativa con ripercussioni sulla capacità di guadagno ed ha ritenuto di non potere applicare le tabelle, richiamate solo in comparsa conclusionale, perchè successive alla liquidazione operata dal primo giudice; è, poi, necessario avvertire come implichi una rivalutazione della c.t.u., inammissibile in questa sede, la censura mossa alla corte di merito per avere considerato inattendibile la percentuale di invalidità stabilita nella detta c.t.u..
I motivi non possono, pertanto, trovare accoglimento.
Con il terzo motivo il ricorrente censura la corte di merito per avergli negato il risarcimento del danno da invalidità temporanea, facendo ricorso ad una presunzione del tipo che, in caso di impedimento temporaneo del titolare, l’attività commerciale non subisce interruzione per la possibilità di sostituzione nell’ambito dello stesso nucleo familiare, senza tenere conto che la sostituzione ha, comunque, un prezzo.
La sentenza impugnata esibisce sul punto la seguente motivazione:
"L’appellante non ha fornito alcuna valida prova della negativa influenza sulla capacità di guadagno, ad esempio dimostrando la sospensione dell’attività commerciale o l’assunzione di personale per la sua continuazione nel periodo di inabilità temporanea; al riguardo non può nemmeno farsi ricorso alle presunzioni considerando la possibilità di sostituzione dell’infortunato nell’attività commerciale da parte di un componente del suo nucleo familiare".
Orbene la censura non colpisce l’intera motivazione e, poichè la parte non colpita è idonea da sola a sorreggere la decisione adottata, è inammissibile per carenza di interesse.
Il quarto motivo, con il quale il ricorrente deduce che da una corretta valutazione degli altri danni consegue che pure quello morale deve essere adeguatamente rivalutato, è inammissibile per genericità e, comunque, inaccoglibile, essendosi riconosciuta l’infondatezza delle censure riguardanti gli altri danni.
E’ inaccoglibile per la medesima ragione il quinto ed ultimo motivo, con il quale il ricorrente sostiene che l’accoglimento delle censure comporta che le spese del giudizio di appello vanno poste a carico dei convenuti e non fa, invece, la questione che ai fini delle spese occorre avere riguardo all’esito finale della lite.
In conclusione, il ricorso è rigettato; si ravvisano, peraltro, giusti motivi per compensare le spese del giudizio di Cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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