T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 14-12-2011, n. 3167

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 10.07.2008 l’Azienda Agricola "La Corte" e l’Azienda Agricola "I Mulini" hanno chiesto al Comune di S.C. un permesso di costruire per la realizzazione e l’ampliamento di un allevamento di cavalli relativo all’immobile distinto al mappale 7514 fg 18 sito in S.C., Via Legnate n. 8 (area classificata urbanisticamente quale zona E2 agricola e nel Piano Territoriale del Parco del Ticino quale zona C2).

L’ambito di riferimento dell’intervento richiesto è, pertanto, agricolo e ciò sia nel PRG vigente che nel PGT adottato e in salvaguardia; la destinazione agricola è pure confermata dagli strumenti urbanistici sovracomunali (PTC del Consorzio Parco Valle del Ticino che classifica la zona C2 agricola e forestale a prevalente interesse paesaggistico e PTC provinciale che classifica l’area quale ambito agricolo con presenza di macro classe fertile).

Dopo aver richiesto integrazioni documentali, in data 22.05.2010 il Comune di S.C. ha rilasciato il permesso di costruire n. 7/2010, dandone avviso anche ai "controinteressati" sig.ri Bevilacqua Teresa e Mattiello Davide (proprietà confinante), i quali avevano già partecipato al procedimento con plurime segnalazioni ed istanze cui il Comune ha dato, a suo tempo, riscontro con gli atti depositati in giudizio dalla stessa amministrazione.

I signori M.- B. nella loro qualità di proprietari di immobili confinanti con quello oggetto del progetto edificatorio ritenuto illegittimo, hanno quindi impugnato il permesso di costruire nonché l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Parco Lombardo della Valle del Ticino, l’art. 70 del PGT adottato dal comune di S.C. ed infine, in parte qua, il Regolamento di Igiene comunale chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1) Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto dei presupposti e della motivazione in quanto l’opera assentita non rispetta le distanze minime imposte tra gli allevamenti di animali e le abitazioni dalle vigenti normative.

Si sostiene, innanzitutto,che gli allevamenti di animali sono considerati attività insalubri di 1^ classe e che ai sensi dell’art. 216 del T.U.L.S. tali attività devono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni; che nel quadro di esigenze di primaria rilevanza pubblica è demandato alle amministrazioni locali di dettare le distanze minime di rispetto, che pur variando in funzione delle dimensioni e del diverso tipo di allevamento devono essere tali da preservare i fondi del vicino dal pericolo di danni alla salute che possono sorgere dalle stalle e da altri depositi nocivi, secondo quanto prescritto dall’art. 890 del codice civile; che la Regione Lombardia con il decreto dirigenziale 29 dicembre 2005 ha approvato le Linee Guida regionali relative ai criteri igienici e di sicurezza in edilizia rurale, le quali prevedono prudenzialmente una distanza di almeno 100 metri dall’allevamento; che nella specie, per converso alle aziende controinteressate è stato rilasciato il permesso per costruire una nuova grande stalla per l’allevamento di cavalli di notevole ingombro complessivo; che pertanto la violazione delle disposizioni in epigrafe è incontestabile, anche sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto a casi analoghi decisi, con l’applicazione delle Linee Guida dalla stessa amministrazione.

2) Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto dei presupposti e della motivazione sotto il profilo dell’illegittimità del Regolamento locale del comune di S.C., laddove non prevede una espressa previsione riguardo alle distanze minime dalle abitazioni dalle stalle e dagli allevamenti equini; che, infatti, mentre agli artt. 3 e 10 vengono previste distanze minime di mt. 10 per porcili pollai e conigliere a carattere familiare, nulla di specifico viene previsto per le stalle e gli allevamenti di cavalli; che in parte qua il predetto regolamento deve ritenersi illegittimo e carente poiché non disciplina il settore e i gravi problemi igienici che possono derivare dalla contiguità tra animali di grassa taglia e le abitazioni limitrofe; che pertanto le norme del regolamento di igiene sono illegittime per violazione dei principi generali e della normativa vigente in materia sanitaria dal T.U.L.S..

3) Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto dei presupposti e della motivazione.

Si sostiene che il Comune di S.C. avrebbe ritenuto non applicabili alla fattispecie le linee guida regionali, richiamando il D. Lgs. 81/2008, che invece non è pertinente nè conferente in quanto riguarda la materia della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro; che il fatto che la materia delle distanze legali non fosse normata dal decreto legislativo 81/2008 era noto all’amministrazione comunale che in passato aveva fatto riferimento alle linee guida regionali, e ciò anche nel PGT (art. 33 punto 8) che tali linee guida ugualmente richiama; che pertanto è illegittimo l’art. 70 delle norme del PGT in itinere laddove dispone l’esenzione dall’adozione di misure di salvaguardia quando si sia in presenza di domande presentate entro il 28.2.2009 purchè complete della documentazione utile per l’istruttoria, sottolineando che la domanda di permesso di costruire presentata dai ricorrenti non era, alla data del 28 febbraio 2009, completa ai fini istruttori, mancando in essa ogni riferimento alle distanze dai confini e l’indicazione degli edifici confinanti; che pertanto le misure di salvaguardia del nuovo PGT andavano applicate anche alla pratica in questione, con conseguente violazione delle distanze minime prescritte tra abitazioni esistenti e stalle d’allevamento dalle Linee Guida Regionali.

4) Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto dei presupposti e della motivazione.

Si sostiene che l’autorizzazione paesaggistica è stata rilasciata dal Consorzio del Parco Ticino il 31 marzo 2008 e che pertanto la valutazione paesaggistica sulla nuova stalla sia stata effettuata senza alcuna conoscenza dello stato dei luoghi e del contesto nel quale l’intervento andava ad inserirsi; che inoltre, risulterebbe che negli anni precedenti sarebbero state effettuate nell’area interessata dal progetto edilizio, alcune abusive movimentazioni di terra che sarebbero state oggetto di procedure repressive intraprese dallo stesso Consorzio del Parco Ticino mediante ingiunzione al ripristino mai fatta oggetto di sanatoria da parte dell’amministrazione.

Dopo il rilascio del permesso, con provvedimento 15/07/2010 il Comune di S.C. ha temporaneamente sospeso l’efficacia del permesso di costruire, chiedendo sulla base delle osservazioni svolte dai signori M.- B. il parere igienico sanitario di cui all’art. 32.5 lett. a) l.r. 12/05.

In seguito, acquisito il parere favorevole sulla documentazione richiesta (parere ASL del 30/07/2010) il Comune ha revocato la sospensione temporanea del permesso di costruire e i sig.ri Celeste e Sandro Pagan Griso hanno avviato i lavori.

Con i motivi aggiunti, che nella sostanza ripropongono i motivi sub 1) e sub 4) del ricorso principale, i ricorrenti impugnano anche la nota comunale con la quale è stata comunicata la revoca della sospensione temporanea del permesso di costruire, chiedendone l’annullamento con vittoria di spese e riserva di azione risarcitoria.

Si è costituito in giudizio il Comune di S.C., il quale ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto inammissibile e infondato, con vittoria di spese.

Si sono costituiti in giudizio anche i controinteressati Pagan Griso, i quali, con due distinte memorie, hanno contrastato i motivi di ricorso e ne hanno chiesto il rigetto, con vittoria di spese.

Alla pubblica udienza del 20 ottobre 2011, previa audizione dei difensori delle parti, il ricorso è stato posto in decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va respinto per i motivi che seguono.

1.1 Con il primo mezzo di censura i ricorrenti assumono, indicando tra le norme violate l’art. 216 del T.U.L.P.S., che l’opera illegittimamente assentita non rispetta le distanze minime imposte tra gli allevamenti di animali e le abitazioni.

1.2. Le norme violate prescrivono, infatti, che "dette attività (insalubri) debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni".

In realtà, è ben vero che le norme invocate esprimono il principio di cautela sopraenunciato, ma è altrettanto vero che l’art. 216 comma 5^ del TULP, non prescrive alcuna distanza minima, ponendo, come spiegato, una regola di carattere generale in base alla quale gli opifici classificati come industrie insalubri devono essere tenuti ad una distanza adeguata dalle abitazioni, in funzione dei rischi concreti che rappresentano e tenuto conto delle possibili opere di mitigazione degli stessi.

Non sussiste quindi, quantomeno nel T.U.L.P.S. alcuna norma che prescriva per gli allevamenti equini la distanza dalle abitazioni preesistenti nella misura prudenzialmente ritenuta applicabile dai ricorrenti (100 metri lineari).

1.3. Né risultano prescrittive di distanze minime le linee guida regionali adottate con DDG n. 20109 del 29.12.2005 e richiamate dall’art. 33 punto 8 del PGT, di cui i ricorrenti invocano l’applicazione, trascurando che le distanze minime ivi suggerite sono espressamente riferite al settore bovino e suino con esclusione, quantomeno implicita, di quello equino.

Il decreto dirigenziale che approva le Linee Guida Regionali: criteri igienici e di sicurezza in edilizia rurale è, d’altronde, assolutamente chiaro sul punto specifico, e non può essere oggetto di interpretazione estensiva, come pretendono i ricorrenti, non solo perché le linee guida si sostanziano nella formulazione di "criteri di valutazione e parametri di riferimento in materia di igiene e sicurezza nonché di indicazioni tecniche allineate allo stato dell’arte", che in quanto tali non possono che inerire a ciò che da esse è espressamente previsto e richiamato, ma anche perché, non essendo ascrivibili ad una fonte normativa tipica (né essendo chiaro, oltretutto, da quale fonte normativa traggano la loro efficacia) non è possibile applicare alle stesse un criterio di interpretazione che è esclusivamente riferibile alle fonti normative.

E non solo: posto, infatti, che le linee guida in questione ineriscono al rapporto tra l’amministrazione regionale, che dispone del potere normativo su un determinato ambito di attività (nella specie quella relativa all’igiene e alla sicurezza in materia di edilizia rurale) e le amministrazioni destinatarie (nella specie i comuni) che dispongono dei poteri regolamentari o di gestione nella stessa materia, è escluso che l’inosservanza delle linee guida (che consistono, come già chiarito in una serie di parametri di riferimento generali, indicativi e orientativi, che non hanno, in quanto tali, un valore cogente o prescrittivo né normativo per i terzi) possa integrare il dedotto vizio di violazione di legge se la prescrizione o l’indirizzo non sia stato recepito in una norma interna dell’amministrazione stessa, e da quest’ultima, successivamente al recepimento, violata.

E comunque, non trattandosi, come è pacifico, di atto a contenuto normativo, le linee guida non possono mai prevalere sulle norme regolamentari e, a fortiori, primarie che eventualmente disciplinino specificamente la materia e quindi fissino, per stare all’oggetto della controversia, distanze diverse da quelle in esse contenute..

1.4 Ciò premesso, e chiarito che la censura dedotta dai ricorrenti in merito all’opportunità che le linee guida sulle distanze (degli allevamenti suini e bovini) vengano estese in via interpretativa anche agli allevamenti equini è inconferente e infondata, per quanto già ampiamente rilevato sul contenuto e sulla natura della fonte, non è tuttavia superfluo sottolineare la genericità della stessa censura che si incentra su una serie di considerazioni di cd. "opportunità" che trascurano come il legislatore (termine comprensivo anche della regolamentazione locale) abbia già effettuato una scelta discriminante tra i diversi tipi di allevamento, tenendo conto verosimilmente anche della natura e della vocazione delle diverse zone del proprio territorio comunale (nel senso che in zona agricola, e soprattutto in zone storicamente già destinate a talune tipologie di allevamento le distanze dalle abitazioni sono state ritenute, all’evidenza, compatibili con le preesistenze assai più di quanto non lo siano state attività diverse da quelle ovvero collocate nelle zone contigue alle aree residenziali o caratterizzate da maggiore consistenza insediativa.

1.5. Invero i ricorrenti trascurano, per quanto attiene al luogo di ubicazione delle opere contestate, che l’area di localizzazione dell’allevamento dei resistenti è classificata agricola; che la stessa si trova in una zona di campagna dove preesistono altri impianti di allevamento equino (scuderie e stalle); e, da ultimo, ma unicamente per sottolineare la vocazione della zona, che gli stessi ricorrenti sono titolari di un allevamento agricolo.

1.6. Va soggiunto, inoltre, che la censura mossa in ordine all’opportunità di mantenere l’edificio più vicino ad una distanza di 100 mt. dall’abitazione dei ricorrenti, non attiene, come correttamente opposto dai resistenti, a profili di legittimità edilizi e/o urbanistici, bensì ai diversi interessi di matrice civilistica rappresentati, nella specie, dalle molestie derivanti dal nuovo (e più consistente) allevamento realizzato a ridosso delle abitazioni, ma piuttosto, come si avrà modo di chiarire in prosieguo e soprattutto in sede di disamina del ricorso per motivi aggiunti, a profili che non ineriscono al legittimo rilascio del titolo edilizio, in quanto tale, ma al supposto invasivo esercizio dell’attività sottostante.

1.7. Ne consegue che è questa concreta attività, e non il rilascio del permesso di costruire impugnato,che può eventualmente giustificare (non questo ma) altri tipi di azione a salvaguardia della salute con specifico riferimento alle temute immissioni nocive o pericolose.

E’ infatti evidente che chi colloca la propria attività potenzialmente insalubre in prossimità di abitazioni di terzi, anche quando le norme non fissino distanze minime, non può sottrarsi all’obbligo di esercitare tali attività in maniera compatibile con i limiti e con i diritti dei terzi, sia che discendono dalle norme del codice civile che dalle disposizioni speciali riferite alla natura delle suddette attività,.

Ne consegue che la violazione di tali norme può, in astratto, comportare l’applicazione delle sanzioni previste dalla legge (tra cui l’inibizione dell’attività ovvero l’imposizione di prescrizioni per la riduzione degli effetti nei limiti di legge); il che è quanto avverrebbe se l’allevamento equino dell’Azienda Agricola "La Corte" e dell’Azienda Agricola "I Mulini" dovesse generare emissioni dannose o pericolose, della cui tollerabilità i titolari dell’azienda sono tenuti a rispondere in funzione della localizzazione aziendale prescelta e attuata (e quindi in funzione della maggiore o minore distanza delle strutture aziendali dalla proprietà di terzi).

1.8. I controinteressati, d’altra parte, proprio per contrastare tale profilo, evidenziano che l’impianto di maggiore impatto (la vasca di raccolta del letame) è stata collocata a ben maggior distanza (circa 200 metri) rispetto ai 10 metri dei box e che l’allevamento (complessivamente di 42 cavalli, di cui 14 al pascolo per tutto l’anno e 21 capi adulti allevati nei 21 box di progetto oltre ai 7 collocati nella struttura preesistente) è di dimensioni tali da essere compatibile, quanto ad allocazione, con la zona di insediamento, e, quanto a dislocazione delle strutture fisse, con le abitazioni esistenti in prossimità.

Per tali condivise ragioni il primo motivo di ricorso va quindi respinto.

2. Per considerazioni parzialmente analoghe merita di essere respinto anche il secondo motivo, con cui i ricorrenti si dolgono del fatto che mentre le norme esistenti prevedono distanze minime di mt. 10 per porcilaie pollai e conigliaie a carattere familiare, nulla di specifico viene previsto per le stalle e gli allevamenti di cavalli, ritenendo, pertanto, il regolamento comunale illegittimo nella parte in cui omette di disciplinare la materia, trascurando i gravi problemi igienici che possono derivare dalla contiguità tra animali di grossa taglia e abitazioni limitrofe.

2.1. In realtà come già sopra evidenziato dal Collegio, nella specie non si pone un problema di vuoto normativo da colmare con la creazione di una regola ad hoc; la norma regolamentare comunale sulle distanze, infatti, sussiste, ma non ritiene di prescrivere una distanza maggiore di 10 metri per gli allevamenti equini, che evidentemente non sono ritenuti (si può supporre in funzione della natura e della vocazione delle zone agricole) impattanti quanto e più di altri tipi di allevamento.

2.2. E tutto ciò appare legittimo, quantomeno in sede di rilascio dei permessi di costruire per la realizzazione delle strutture aziendali: l’eventuale profilo igienico sanitario resta infatti affidato, anche qui come già in precedenza evidenziato, ad altre e diverse norme che non rilevano sulla legittimità dei permessi assentiti.

3. Per analoghe ragioni è infondato e va respinto anche il terzo motivo con cui si ripropone, sotto altro profilo, la dedotta illegittimità del permesso di costruire per la mancata applicazione delle linee guida regionali e per violazione dell’art. 70 (in materia di disposizioni transitorie) del PGT adottato, in quanto si assume che la pratica, alla data del 28 febbraio 2009 non sarebbe stata "completa ai fini istruttori", difettando ogni riferimento, in essa, alle distanze dai confini e l’indicazione degli edifici confinanti, oltre che per una falsa rappresentazione dei livelli altimetrici.

In realtà, a parte il rilievo assorbente, relativo all’inconferenza delle più volte menzionate linee guida regionali, il Collegio osserva che quand’anche la pratica edilizia non avesse contenuto adeguati riferimenti alle distanze dai confini e dagli edifici confinanti, ciò che la documentazione in atti peraltro smentisce, la stessa pratica sarebbe rientrata comunque nella previsione dell’art. 70 (id est di pratica in corso di istruzione) e quindi sarebbe stata comunque esclusa dall’applicazione delle norme a regime.

Il motivo va quindi disatteso.

4. Parimenti infondato è, infine, il quarto motivo di ricorso, riferito all’autorizzazione ambientale rilasciata dal Consorzio Parco Lombardo della Valle del Ticino, in quanto, anche a prescindere dal fatto che l’autorizzazione ambientale non è un’autorizzazione edilizia e quindi non rileva che nelle tavole di progetto fossero o meno evidenziate le distanze dalle abitazioni limitrofe va rilevato che il motivo di pretesa illegittimità di tale autorizzazione sarebbe costituito dai precedenti movimenti di terra abusivamente posti in essere dai controinteressati, che eventualmente avrebbero dovuto essere sanzionati con specifici provvedimenti mai intervenuti.

4.1. In realtà, il fatto che i controinteressati non siano mai stati sanzionati per tali pretesi abusi esclude che i c.d. movimenti di terra in questione potessero avere alcuna rilevanza ai fini del rilascio dell’autorizzazione ambientale e del successivo permesso di costruire.

Il ricorso principale è quindi infondato in tutti i suoi motivi e va respinto.

5. Quanto al ricorso per motivi aggiunti, rivolto contro il provvedimento di revoca della sospensione dei lavori, il Collegio ne rileva l’evidente infondatezza alla luce degli atti di causa che dimostrano come non sussistendo la dedotta illegittimità del permesso di costruire non sussistesse neppure una valida ragione per intervenire con la sospensione del permesso e con l’inibitoria dei lavori.

5.1 Né l’illegittimità potrebbe derivare dagli accertamenti svolti in sede sanitaria, che non incidono sulla legittimità dei provvedimenti edilizi perché, come già anticipato una cosa è la legittimità del permesso di costruire ed altra i provvedimenti inibitori o sanzionatori che l’amministrazione potrebbe e potrà adottare se risultasse che l’allevamento equino non rispetta le prescrizioni in materia di emissioni inquinanti, siano esse di rumorosità che di emissioni moleste o nocive, per le quali i presupposti sono altri, diversi e indipendenti dalla legittimità dei permessi rilasciati per la realizzazione delle strutture edilizie.

In conclusione anche il ricorso per motivi aggiunti è infondato e va respinto.

6. Le spese e le competenze di causa, tenuto conto del livello di definizione non certo perspicuo, del quadro normativo di riferimento e della natura della controversia, meritano di essere compensate tra le parti..

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso principale e per motivi aggiunti, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese e competenze di causa compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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