Cons. Stato Sez. III, Sent., 15-12-2011, n. 6576 Carriera inquadramento Mansioni e funzioni Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, ha in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’odierno appellante, ispettore superiore scelto del Corpo forestale dello Stato, tendente a conseguire, previo annullamento della nota del Servizio IV dell’Ispettorato Generale del Corpo prot. n. 58205/06 in data 22 dicembre 2006:

a) le differenze retributive per l’asserito svolgimento delle mansioni superiori proprie del ruolo direttivo dei funzionari del Corpo Forestale dello Stato a decorrere dal 1° gennaio 1996;

b) l’inquadramento, a decorrere dalla stessa data, nel predetto ruolo direttivo.

In particolare, il T.A.R. ha ritenuto:

– infondata la pretesa alle differenze retributive avanzata dall’interessato, relativamente al periodo 1° gennaio 1996 – 30 giugno 1998;

– inammissibile, per difetto di giurisdizione del giudice adìto, la domanda relativa alle stesse pretese retributive per il periodo successivo;

– inammissibile il ricorso per quanto concerne il formale richiesto inquadramento nella qualifica superiore.

2. – Avverso detta sentenza ha proposto appello l’interessato, contestandola in tutte le sue diverse statuizioni.

3.- Si è costituita in giudizio l’Amministrazione appellata, chiedendo la reiezione del ricorso.

La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica dell’11 novembre 2011.

4. – L’appello è fondato in parte, nei termini che séguono.

4.1 – Deve essere invero anzitutto confermata la conclusione del T.A.R. di reiezione della domanda di riconoscimento del diritto alla corresponsione delle competenze economiche per le mansioni superiori asseritamente svolte nel periodo 1° gennaio 1996 – 30 giugno 1998, dovendosi sul punto fare applicazione dell’insegnamento tradizionale – affermato dalla Adunanza Plenaria n. 3 del 2006 (v. anche, da ultimo, Cons. St., V, 17 settembre 2010, n. 6949) – secondo il quale le mansioni svolte dal pubblico dipendente, eventualmente superiori rispetto alla qualifica rivestita, in mancanza dei relativi presupposti (ed in particolare, per quanto riguarda la normativa di settore all’esame, di una esplicita disposizione in tal senso), sono del tutto irrilevanti sia ai fini della progressione in carriera sia ai fini retributivi.

Il rilievo, invero, da attribuire alla qualifica, intesa come modalità formale ed astratta di classificazione del personale in quanto derivazione di una pianta organica predefinita ed immodificabile con gli ordinarii atti di gestione, rimane privilegiato rispetto alla considerazione dell’attività effettivamente svolta dal dipendente (Cons. St., V, 18 agosto 2010, n. 5861); e ciò per lo meno fino all’entrata in vigore del d. lgs. n. 397/1998 (che all’art. 15 ha modificato l’art. 56, comma 6, d.lgs. n. 29/1993, eliminando il riferimento alle differenze retributive, il cui diritto era rinviato al momento dell’entrata in vigore dei contratti collettivi nazionali di lavoro). La questione dell’àmbito di applicabilità di questo decreto (e dunque della possibilità o meno di riconoscimento economico al dipendente che abbia svolto mansioni superiori in forza del nuovo art. 56 anche al di fuori del pubblico impiego privatizzato) non rileva peraltro in sede di esame del capo di domanda in questione. Qui infatti è controverso il riconoscimento economico per lo svolgimento da parte del dipendente di mansioni superiori in ogni caso prima del 22 novembre 1998 (data di entrata in vigore della veduta modifica apportata dall’art. 15 del citato D. Lgs. n. 387/1998).

La giurisprudenza amministrativa ha infatti ampiamente chiarito che la normativa previgente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998 rifletteva la specialità del rapporto di pubblico impiego rispetto a quello privato, in ragione della natura indisponibile degli interessi pubblici coinvolti e della circostanza che l’attribuzione delle mansioni doveva trovare il presupposto indefettibile nel provvedimento di nomina o di inquadramento, non rientrando nella libera determinazione dei funzionarii amministrativi.

4.1.1 – A ciò si aggiunga che:

a) l’art. 36 Cost. non può trovare incondizionata applicazione nel pubblico impiego, perché enuncia solo un principio informatore della normativa in materia di retribuzione dei lavoratori, destinato al legislatore ordinario ed alla p.a. nell’esercizio del suo potere regolamentare e da armonizzarsi con altri principi di pari rilevanza costituzionale, come quelli sanciti dagli artt. 97 e 98 (cfr. C.S., Ad. pl., dec. n. 22/1999);

b) l’art. 2126 c.c., che afferma il principio della retribuzione del lavoro prestato in base ad un contratto nullo o annullato, riguarda lo svolgimento di attività lavorativa da parte di chi non sia qualificabile come pubblico dipendente e, quindi, un fenomeno del tutto diverso (C.S., Ad. pl., dec. n. 22/1999, cit.);

c) l’art. 2103 c.c. è applicabile nel settore del pubblico impiego soltanto nei limiti previsti da norme speciali, trattandosi di disposizione di carattere supplementare ed integrativo (C.S., Ad. pl., dec. n. 22/1999, cit.).

4.2 – Pure condivisibile è la declaratoria, pronunciata dal T.A.R., di inammissibilità del capo di domanda relativo al preteso inquadramento nella qualifica superiore, anch’esso ricollegato nella prospettazione del ricorrente alla affermata assegnazione di mansioni superiori.

Infatti è noto che i provvedimenti di inquadramento sono atti autoritativi di inserimento del personale nell’organizzazione dei pubblici uffici. Essi debbono venire tempestivamente impugnati, per gli effetti lesivi che da essi derivano sia sul piano giuridico che su quello economico (Cons. St., VI, 19 ottobre 2009, n. 6371).

Nella specie, è pacifico che né il D.D.G. in data 28 giugno 2001 (decreto di promozione ed inquadramento del dipendente nella qualifica di ispettore superiore del C.F.S), né il successivo decreto in data 13 luglio 2006 (di inquadramento dello stesso come ispettore superiore scelto del C.F.S.) sono stati impugnati, se non del tutto inammissibilmente e tardivamente per la prima volta nella presente sede d’appello, mediante la nuova indicazione, tra gli atti di cui si chiede l’annullamento, di "ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente" alla nota (essa sì effettivamente nei termini impugnata col ricorso di primo grado) dell’Ispettorato Generale in data 22 dicembre 2006 (con la quale l’Amministrazione, a séguito della richiesta dell’interessato di essere inquadrato nel ruolo direttivo dei funzionarii, ha confermato l’inquadramento del dipendente nella qualifica di ispettore superiore. Ma questa nota manca di concreta lesività e ciò risulta evidente dal chiaro contenuto meramente confermativo del suo disposto, che, in quanto tale, non è idoneo a rimettere in términi il ricorrente rispetto alla mancata impugnativa delle uniche, precedenti, determinazioni di inquadramento.

Né risulta in senso contrario persuasiva la tesi dell’appellante circa una "valenza temporale attuale" dell’atto confermativo di inquadramento, atteso che il provvedimento autoritativo di inquadramento (con cui la p.a., in applicazione di norme dettate nell’interesse pubblico, definisce la posizione – giuridica e funzionale – del dipendente pubblico nell’ambito dell’apparato amministrativo) delinea in maniera precisa, indefettibile ed immutabile la qualificazione professionale (oggettivamente accertata con apposita selezione concorsuale o comunque con i meccanismi di valutazione che danno luogo alla successiva progressione), le mansioni correlate ed il conseguente trattamento economico del dipendente stesso. Ogni eventuale doglianza avverso di esso non può che essere fatta valere nel termine decadenziale di impugnazione.

Se poi lo status del pubblico dipendente, che rappresenta il coacervo di diritti e doveri inscindibilmente connessi a quella posizione garantita appunto dall’inquadramento, risultasse nel corso del rapporto in qualche modo leso, ben troverebbe adeguata tutela nel nostro ordinamento quel dipendente che quello status voglia preservare e difendere (anche quanto all’aspetto meramente mansionistico)

Invece risultano del tutto irrilevanti mere circostanze di fatto che nel corso del rapporto dovessero sopravvenire e dalle quali il dipendente stesso voglia trarre pretesto ed occasione, invece di difendere lo status attribuitogli, per un mutamento dello status medesimo (e dunque del provvedimento di inquadramento che lo definisce).

Questa ipotesi non può che restare rigorosamente circoscritta, considerato anche l’assetto rigido della p.a. sotto l’aspetto organizzatorio, alle vicende procedimentalizzate espressamente previste e disciplinate dal legislatore come idonee a realizzare qualunque modifica, che, nell’interesse pubblico, si renda opportuna o necessaria in ordine alla definizione della detta posizione del dipendente nell’organizzazione.

Del resto, la revisione del disposto inquadramento, una volta che questo sia divenuto inoppugnabile, rientra nella discrezionalità amplissima dell’Amministrazione. In capo ad essa non sussiste peraltro alcun obbligo di provvedere su di un’eventuale istanza di riesame, o di annullamento o di revoca, di un provvedimento divenuto definitivo per mancanza di tempestiva impugnazione, sì che il mancato esercizio del potere amministrativo di autotutela non può neppure esser sindacato in sede giurisdizionale.

Una volta, poi, affermata la natura non provvedimentale della nota dell’Amministrazione oggetto del giudizio (con la quale, come s’è detto, la stessa non ha proceduto ad una diversa ed ulteriore rivalutazione dell’inquadramento del ricorrente, ma si è limitata a fare riferimento alla situazione già consolidatasi e determinata da precedenti provvedimenti, mai gravati), ne scaturisce, come già accennato, la carenza di lesività e dunque la sua inimpugnabilità per mancanza di una delle condizioni dell’azione e cioè dell’interesse a ricorrere.

In definitiva, non è ammissibile un’azione del dipendente volta all’ottenimento di un diverso inquadramento, se non tempestivamente proposta come azione di annullamento avverso il provvedimento di attribuzione della qualifica; né, tantomeno, come richiesto dal ricorrente, può trovare ingresso un’azione di accertamento di qualifica superiore per superiori mansioni di fatto svolte, in quanto il dipendente è titolare, a fronte della potestà organizzatoria della p.a., di una mera posizione di interesse legittimo (cfr., da ultimo, Consiglio Stato, sez. V, 24 settembre 2010, n. 7104 e 28 febbraio 2011, n. 1251).

Tali principii sono stati correttamente richiamati dalla sentenza appellata, con riferimento alla richiesta di riconoscimento del diritto all’inquadramento nella qualifica superiore, con statuizione, che, laddove prédica la non ammissibilità di un autonomo giudizio di accertamento in funzione di sostanziale disapplicazione di provvedimenti dell’amministrazione, non risulta nemmeno fatta oggetto di specifiche critiche con l’atto di appello.

Conclusivamente sul punto, l’appello, nella parte in cui è diretto all’accertamento del diritto al riconoscimento di una superiore qualifica in mancanza di tempestiva impugnativa dell’atto autoritativo di inquadramento, deve essere respinto, dovendosi confermare la declaratoria di inammissibilità pronunciata dal T.A.R.

4.3 – Sul riconoscimento economico delle funzioni superiori pretesamente svolte successivamente alla data del 30 giugno 1998, ch’è domanda in ordine alla quale il T.A.R. ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo ravvisando la competenza giurisdizionale del giudice ordinario, l’appello va invece accolto, in quanto, come con lo stesso correttamente dedotto, il ricorrente è un dipendente del Corpo Forestale dello Stato, il cui rapporto di pubblico impiego (e, quindi, anche le controversie riguardanti atti di natura paritetica) è interamente devoluto, ai sensi del combinato disposto dell’art. 3 del D. lgs n. 165 del 2001, dell’art. 16 della legge 1 aprile 1981, n. 121 e (oggi) dell’art. 133, comma 1, lett. i), del D.lgs n. 104 del 2010, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cons. St., sez. VI, 8 gennaio 2003, n. 25).

Le parti devono essere pertanto rimesse, quanto a tale domanda, dinanzi al giudice amministrativo di primo grado, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda stessa, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., con applicazione dinanzi ad esso dell’art. 8, comma 2, delle relative norme di attuazione.

5. – L’appello, in conclusione, va accolto nei limiti di cui sopra, con conseguente conferma della sentenza di primo grado quanto alla reiezione della domanda di riconoscimento del diritto alle reclamate differenze retributive per il periodo 1.1.1996/30.6.1998 e quanto alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione della nota dell’Amministrazione prot. n. 58205/06 in data 22 dicembre 2006 e dell’azione vòlta al riconoscimento del diritto all’inquadramento nella qualifica superiore.

Le spese del giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, séguono, come di régola, la soccombenza per la parte dello stesso oggetto di definitiva decisione, mentre è demandata al giudice di primo grado, per la parte concernente la domanda allo stesso rimessa, ogni decisione sul relativo regolamento delle spese processuali, anche con riguardo alla presente fase.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, in parziale riforma della sentenza impugnata:

(a) dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo quanto alla domanda di riconoscimento economico delle funzioni superiori pretesamente svolte successivamente alla data del 30 giugno 1998 e rimette la causa al giudice di primo grado ai sensi dell’art. 105 c.p.a.;

(b) conferma la sentenza di primo grado quanto al rigetto, rispettivamente all’inammisibilità, di tutte le altre domande.

Spese al definitivo per quanto concerne la domanda rimessa alla cognizione del T.A.R.

Quanto alle spese processuali relative alle domande qui oggetto di definitiva decisione, condanna l’appellante alla rifusione delle spese del presente grado in favore dell’Amministrazione appellata, liquidandole in Euro 3.000,00=.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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