Cons. Stato Sez. IV, Sent., 15-12-2011, n. 6617 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe impugnata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma – pronunciandosi sul ricorso proposto dall’odierno appellante T. L. R. – ha dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione in ordine alla domanda di annullamento del decreto del Presidente della Repubblica n. 47/A del 22 novembre 2010, con il quale il Dott. F. S. era stato nominato Vice Segretario generale amministrativo nel ruolo della carriera direttiva amministrativa del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, e del decreto del Presidente della Repubblica n. 48/A del 22 novembre 2010, con il quale il Dott. F. R. era stato nominato Vice Segretario generale per la documentazione e le relazioni esterne nel ruolo della carriera direttiva amministrativa del Segretariato generale della Repubblica.

L’odierno appellante (Consigliere caposervizio, titolare dell’Organo centrale di Sicurezza della Presidenza della Repubblica dal novembre 2005) in prime cure aveva lamentato di essere in possesso di una maggiore anzianità di servizio rispetto ai soggetti nominati, di aver ottenuto numerosi riconoscimenti e di vantare un maggior numero di titoli.

Nel ricorso di primo grado aveva anche sostenuto che la instaurata controversia doveva rientrare nell’alveo della giurisdizione amministrativa, pur essendo stato istituito, con Decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 2008 n. 34, il Collegio giudicante competente a conoscere sui ricorsi in materia di rapporti di impiego col Segretariato della Presidenza della Repubblica presentati dai dipendenti in servizio o in quiescenza per la tutela di diritti ed interessi legittimi.

Ciò perché la Costituzione non prevedeva per la Presidenza della Repubblica un potere analogo a quello di cui all’art. 64 della Carta fondamentale: ne discendeva che il detto decreto rivestiva valore di atto amministrativo ed era in contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 103 e 113 della Costituzione, non potendo la giurisdizione essere derogata mediante l’istituzione di un giudice speciale con atto amministrativo; si chiedeva, pertanto, l’annullamento del decreto presidenziale o la rimessione alla Corte Costituzionale del vaglio in ordine alla sua legittimità, laddove allo stesso fosse attribuito valore normativo primario.

Il Tribunale amministrativo, richiamata la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione Civile 17 marzo 2010 n. 6529, ha affermato di condividere la ricostruzione ermeneutica ivi contenuta ed ha pertanto dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione in subiecta materia, riconoscendo la prerogativa dell’autodichia della Presidenza della Repubblica.

La detta pronuncia, infatti, si poneva in sostanziale continuità:

a.- con la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, 7 dicembre 1998 n. 12614 – che aveva negato la prerogativa dell’autodichia della Presidenza della Repubblica (pur riconoscendola in astratto) a cagione della mancata previsione della giurisdizione domestica, per effetto della legge ordinaria istitutiva del Segretariato Generale, nonché del regolamento interno allora vigente (il quale prevedeva addirittura l’improcedibilità del ricorso interno se nei confronti dello stesso atto o provvedimento fosse stato da chiunque proposto ricorso al giudice amministrativo);

b.- con il principio affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 10 luglio 1981 n. 129, laddove si era evidenziato che per la Presidenza della Repubblica valevano le medesime esigenze di indipendenza operanti per il Parlamento.

Inoltre, ad avviso del primo giudice, la predetta decisione 17 marzo 2010 n. 6529 appariva condivisibile anche laddove aveva vagliato positivamente la compatibilità del sistema delineato dai Decreti presidenziali nn. 81 ed 89 del 1996 alla luce dei criteri posti dalla Costituzione come integrati dalle norme della Convenzione Europea (art. 6 – 1): tali decreti, infatti, prevedendo che la competenza a decidere dette controversie pertenesse a collegi stabili a durata quadriennale con componenti selezionati prevalentemente (in primo grado) o totalmente (in appello) in ragione della loro professionalità, garantiva le esigenze di competenza, indipendenza e terzietà.

Detta marcata giurisdizionalizzazione del procedimento ivi delineato era stata addirittura rafforzata con il decreto presidenziale n. 34 del 2008 (non essendo più prevista nel Collegio Giudicante la presenza di componenti non togati, appartenendo i relativi componenti alle varie magistrature e venendo designati dai Presidenti del rispettivo ordine di appartenenza).

Ne conseguiva peraltro la manifesta infondatezza dei dubbi di illegittimità costituzionale del decreto presidenziale n. 34 del 2008 e della legge n. 1077 del 1948, (la Corte Costituzionale, nella già citata sentenza n. 129 del 1981, aveva espressamente riconosciuto che i regolamenti approvati dal Presidente della Repubblica si fondavano su un implicito fondamento costituzionale, rispetto al quale la legge n. 1077 del 1948 assumeva carattere ricognitivo e non attributivo).

Ne discendeva, quindi, il difetto assoluto della giurisdizione (amministrativa, ma anche ordinaria) in materia.

L’originario ricorrente ha impugnato la detta decisione, criticandola sotto numerosi angoli prospettici: ne ha chiesto pertanto l’annullamento – previa affermazione della giurisdizione del plesso giurisdizionale amministrativo – ed ha riproposto i motivi di censura prospettati nel mezzo di primo grado e non esaminati dal Tribunale amministrativo.

In particolare ha rilevato come la circostanza che il decreto del 30 dicembre 2008 n. 34 abbia creato le condizioni per una procedura contenziosa "ad imparzialità garantita" avvalorava la tesi per cui esso era incostituzionale, così per aver esso creato un giudice speciale non previsto dalla Costituzione; altrimenti argomentando, si sarebbe dovuto concludere per il permanere della giurisdizione amministrativa sulla controversia in esame.

L’appellata amministrazione ha depositato una articolata memoria, chiedendo di respingere il ricorso perché infondato ed ha comunque rilevato la carenza di legittimazione dell’appellante a dolersi della nomina dei controinteressati.

I controinteressati appellati Dott. F. S. e Dott. F. R. hanno depositato una memoria chiedendo di respingere l’appello perché infondato in punto di giurisdizione e contestando la legittimazione dell’appellante a concorrere per detti incarichi.

Alla camera di consiglio del 6 dicembre 2011 la causa è stata posta in decisione.

Motivi della decisione

1. L’appello è infondato e merita di essere respinto

1.1. Al fine di perimetrare l’oggetto del giudizio appare opportuno rammentare che, per la pacifica giurisprudenza formatasi in ordine alla interpretazione dell’art. 35 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, non possono essere esaminate nel grado di appello le questioni di merito, ove il giudizio debba essere rimesso al giudice di primo grado, (nel caso per errata dichiarazione di difetto di giurisdizione da parte del Tribunale amministrativo regionale). Infatti, in casi del genere appare ravvisabile quel " difetto di procedura " della sentenza appellata, che non consente di trattenere in decisione la causa per l’effetto devolutivo dell’appello, tenuto conto dell’esigenza di non sottrarre alle parti – ivi compresi i soggetti controinteressati – le garanzie del doppio grado di giudizio (Consiglio Stato, sez. VI, 17 settembre 2009, n. 5587).

Il comma 1 dell’art. 105 del codice del processo amministrativo ha espressamente positivizzato detto principio di matrice giurisprudenziale.

A fortiori le dette questioni di merito proposte non potrebbero essere esaminate da questo Consiglio di Stato neppure laddove venisse confermata la declinatoria di giurisdizione resa dal primo giudice.

Ne consegue l’improponibilità nell’odierno segmento processuale di tutte le censure contenute nell’appello volte a riproporre gli argomenti critici che investono la legittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado e dei contrapposti argomenti difensivi di merito contenuti nel controricorso della amministrazione.

In ultimo, sfuggono all’esame di questo Collegio – esame esclusivamente limitato alla risoluzione della questione relativa alla spettanza, o meno, della giurisdizione al plesso giurisdizionale amministrativo – anche le eccezioni della difesa incentrate sulla carenza di legittimazione attiva alla proposizione del mezzo di primo grado (e dell’odierno appello) in capo all’originario ricorrente.

L’analisi di tali problematiche, infatti, è logicamente successivo alla risoluzione della questione in ordine alla spettanza o meno della giurisdizione.

Tali questioni sono quindi esaminabili nel merito unicamente dal giudice fornito di giurisdizione ed a seguito della individuazione di quest’ultimo (si veda Consiglio Stato, sez. IV, 02 aprile 2008, n. 1372, per la espressione di un analogo principio con riferimento alle questioni proponibili in sede di giudizio su regolamento di competenza).

2. Passando ad esaminare l’unico profilo oggetto dell’odierna cognizione giudiziale, si rammenta che costituisce jus receptum, a più riprese affermato dalla Corte regolatrice della giurisdizione, quello per cui l’autodichia, costituendo un’eccezione al principio cardine dell’indefettibilità della tutela giurisdizionale davanti ai giudici comuni, è insuscettibile di applicazione fuori dei casi previsti.

Si è inoltre precisato che l’autodichia non è ineludibile prerogativa degli organi costituzionali, in mancanza di un fondamento diretto o indiretto di diritto positivo di giurisdizione domestica.

(Cassazione civile, sez. un., 24 novembre 2008, n. 27863).

2.1. La Corte Costituzionale aveva in passato rilevato, peraltro, che "la Presidenza della Repubblica, pur in mancanza di norma costituzionale "ad hoc", abbisogna di apposito apparato per l’esercizio delle funzioni presidenziali, in piena indipendenza rispetto agli altri poteri dello Stato, sicché il regolamento interno della Presidenza, pur non essendo assimilabile completamente ai regolamenti delle Camere, risulta sorretto da un implicito fondamento costituzionale, assumendo la l. n. 1077 del 1948 mero carattere ricognitivo"(Corte costituzionale, 10 luglio 1981, n. 129).

2.2. Questo Consiglio di Stato, muovendo da tale condivisibile insegnamento, aveva in passato esaminato la medesima problematica oggi devoluta alla cognizione del Collegio ed aveva affermato che "sussisteva la giurisdizione amministrativa per la cognizione delle controversie relative al rapporto di lavoro dei dipendenti della Presidenza della Repubblica che non gode di alcun potere di autodichia, ove sorte prima dell’1 gennaio 1997, atteso che l’autodichia nell’attuale assetto costituzionale non è un necessario attributo implicato dalla posizione di autonomia ed indipendenza degli organi costituzionali; la tutela giurisdizionale assicurata a tutti costituisce principio cardine dell’ordinamento, sicché le limitazioni a tale regola generale debbono essere espressamente previste; la giurisdizione domestica della Presidenza della Repubblica nei confronti dei propri dipendenti non è ricavabile da quella prevista per gli altri organi costituzionali (i due rami del Parlamento, Corte costituzionale); i d.P.R. n. 81 e 89 del 1996, con i quali la Presidenza della Repubblica ha adottato una nuova disciplina del contenzioso interno, sono norme regolamentari applicabili dal primo gennaio 1997." (Consiglio Stat, sez. IV, 27 ottobre 2005, n. 6015).

2.3. Come è agevole riscontrare, la perimetrazione temporale ivi contenuta lasciava aperto lo scrutinio in ordine alla sussistenza – o meno- dell’autodichia con riferimento al periodo successivo al 1997.

2.4. Con una analitica condivisibile recente pronuncia (Sezioni Unite della Cassazione Civile 17 marzo 2010 n. 6529) la Corte regolatrice della giurisdizione ha esaminato nuovamente la fattispecie (e proprio con riferimento ad un periodo successivo al 1997).

Il Collegio condivide e fa propria la completa ricostruzione ivi contenuta, e non ritiene che il ricorso in appello contenga elementi atti a scalfirne la portata.

2.4.1. In particolare, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno preso le mosse da quanto aveva in passato rilevato la Corte Costituzionale in materia di autodichia, ed hanno esaminato la questione alla luce della situazione fattuale per cui "l’organo costituzionale in disamina, assistito da una potestà di autoorganizzazione a fondamento costituzionale indiretto, da una indiscussa autonomia contabile (l’una e l’altra imperniate sull’interazione di una consolidata prassi costituzionale con il riferimento normativo) e da una idoneità alla normazione sui conflitti domestici attraverso l’adozione di regolamenti, si è dotato consapevolmente, sin dal 1996, di una struttura decisionale articolata per la soluzione di tali conflitti."

2.4.2. Le Sezioni Unite hanno ritenuto che, con riferimento agli "organismi" istituiti con l’atto di autoorganizzazione, siano state garantite le condizioni di precostituzione, imparzialità ed indipendenza che presidiano all’esercizio della giurisdizione ordinaria, (e che trovano perfetta corrispondenza nei principii di cui agli artt.25,104,107 e108 Cost.) in armonia con quanto affermato (avendo quale parametro di comparazione la Convenzione Europea art. 6. 1), dalla Corte di Strasburgo nella sentenza del 28 aprile 2009 (resa in causa Savino ed altri c. Italia, proposta all’esito dell’esercizio della autodichia della Camera dei Deputati).

2.4.3. Si è riscontrata, infatti, ad avviso della Corte di Cassazione, quella pluralità di elementi riconducibili ai concetti di terzietà, imparzialità, indipendenza, in capo al collegio giudicante istituito presso la Presidenza della Repubblica che non consentono di ipotizzare alcun vulnus alla giustiziabilità delle pretese devolute alla cognizione di tale organ, vale a dire:

"la istituzione regolamentare di collegi stabili a durata quadriennale ed i cui componenti sono selezionati prevalentemente – in primo grado- o totalmente – in appello – in ragione della loro professionalità;

l’imparzialità dei collegi decidenti tendenzialmente assicurata dalla appartenenza ordinamentale -magistrati ordinari, amministrativi e contabili – e dalla autorevolezza della fonte di designazione dei componenti dei collegi – i Presidenti degli organi di provenienza -nonchè dalla volontà di sottoporne il funzionamento alle regole procedurali generali ed alle norme di deontologia degli ordini di appartenenza;

quanto al requisito di indipendenza, la scelta di costituire i collegi in prevalenza – in primo grado- o in via esclusiva – in appello – con personale totalmente esterno all’organo costituzionale, designato dal vertice dell’organo di appartenenza e legato con il Segretariato Generale da un rapporto puramente onorario.").

3. Avverso tale condivisibile ricostruzione, l’appellante – che non ignora tale autorevole arresto – oppone in sostanza un solo argomento "nuovo", articolato sotto due profili.

Seguendo il ragionamento "a contrario", si afferma nell’appello che la "giurisdizionalizzazione piena" del procedimento previsto dal decreto del 30 dicembre 2008 n. 34 produce la conseguenza che sia stato per tal via creato un "giudice speciale", di guisa che tale previsione colliderebbe con la Carta fondamentale (art. 102 comma 2: "Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.").

Del pari si afferma che comunque l’autodichia, seppur esistesse e fosse riscontrabile nel caso in esame, dovrebbe essere esercitata "direttamente" (sul modello di ciò che avviene per le Camere) e non "affidata" a terzi, pur qualificati soggetti.

3.1. Nessuna delle dette prospettazioni convince il Collegio: non la prima, ovviamente, che cade nella petizione di principio di riportare nell’alveo della giurisdizione la eccezionale previsione dell’autodichia.

Ravvisata la sussistenza (rectius: la eccezionale esigenza) dell’autodichia, la circostanza che essa venga esercitata con garanzie di indipendenza ed imparzialità tali da soddisfare il parametro di cui all’ art. 6 della Convenzione Europea non implica che essa divenga per tal via "nuova giurisdizione": di guisa che fare riferimento al divieto di introduzione di giudici speciali diviene una contraddizione in termini, collocandosi l’autodichia certamente al di fuori della giurisdizione comune e non essendo alla stessa direttamente riferibile, quindi, il precetto di cui all’art. 102 Cost..

La detta tesi dell’appellante collide proprio con i principi a più riprese affermati dalla Corte Costituzionale, perché, se rettamente intesa, giunge a negare – sempre e comunque – che l’autodichia possa essere ammessa nel vigente sistema costituzionale: se essa è praticata (come nel caso di specie) in forma "giurisdizionalizzata", verrebbe a crearsi un "giudice speciale" e si impingerebbe nel divieto di cui all’art. 102 della Costituzione; ma se ciò non avvenisse essa colliderebbe con la Convenzione Europea, di guisa che essa giammai potrebbe avere cittadinanza nel sistema.

3.1.1. Quanto alla supposta necessità che l’autodichia – in quanto previsione eccezionale – debba essere esercitata in prima persona dall’Organo costituzionale cui è conferita, detta tesi, ove accolta, implicherebbe l’esclusione del potere autoorganizzativo dell’Organo costituzionale, che dell’autodichia costituisce un prius e non un posterius.

Affermare che ad un Organo costituzionale sia attribuito un potere (quello dell’autodichia), ma che esso non possa modularne il quomodo dell’esercizio, significa negare la sussistenza di una insindacabile potestà autoorganizzativ;a il che renderebbe vano anche il riconoscimento a quell’Organo dell’autodichia.

Tale contraddittoria affermazione, non praticabile in concreto laddove venga in rilievo un Organo costituzionale monocratico, e non positivamente riscontrabile in alcun addentellato normativo, appare all’evidenza inaccoglibile e peraltro, una volta ribadita la insussistenza di profili di criticità con riguardo ai parametri della imparzialità, terzietà ed indipendenza della funzione lato sensu giustiziale esercitata, non soddisferebbe alcun interesse né del singolo, né sistematica.

Ne discende che risulta infondata la pretesa dell’appellante, e non rileva nell’economia della presente vicenda processuale l’approfondimento della natura del decreto del 30 dicembre 2008 n. 34, in quanto lo stesso sfugge al sindacato di questo plesso giurisdizionale.

4. Conclusivamente l’appello va respinto e deve essere ribadito il difetto assoluto di giurisdizione sulla controversia in esame.

5. La natura della controversia e la novità delle questioni trattate impongono la compensazione tra le parti delle spese dell’odierno grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello ricorso numero di registro generale 8677 del 2011 come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Spese processuali compensate.

Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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