Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-09-2011) 10-11-2011, n. 40914

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Sciacca, con provvedimento in data 10 febbraio 2011, ha condannato F.F. alla pena di dodici anni di reclusione per i reati di cui agli artt. 110 e 416 bis, artt. 56 e 629 cod. pen., con l’aggravante di cui al D.L. n. 151 del 1992, art. 7 rigettando la richiesta di revoca della misura cautelare carceraria formulata dalla difesa.

2. Il F. ricorre per cassazione contro l’ordinanza Tribunale di Palermo che, ex art. 310 c.p.p., in data 16 marzo 2011 ha rigettato l’appello avverso il predetto diniego cautelare.

3. Il ricorrente deduce:

– violazione dell’art. 178, lett. c) e art. 310 c.p.p. per avere il Tribunale, in sede d’appello, omesso l’acquisizione della documentazione su cui si fonda l’ordinanza di rigetto della revoca della misura cautelare;

– vizio di motivazione del provvedimento, ex art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione alla persistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p.;

– vizio di motivazione del provvedimento, ex art. 606 c.p.p., lett. c), in relazione agli artt. 274 e 275 c.p.p..

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Nell’ordinanza impugnata si rileva innanzitutto che "la difesa non ha articolato alcun motivo specifico in ordine alla mancanza delle esigenze cautelari ed al superamento della presunzione di pericolosità, limitandosi a formulare genericamente l’istanza di scarcerazione unitamente alla domanda di assoluzione nel merito, così incorrendo nel mancato rispetto del principio devolutivo".

A tale considerazione segue la motivazione sull’inconsistenza nel merito dei motivi addotti a sostegno dell’atto d’appello.

Nel ricorso per cassazione, non viene censurata in alcun modo la ragione principale addotta dal Tribunale per rigettare il gravame, limitandosi il ricorrente a criticare le altre argomentazioni, fornite dal Tribunale ad abundantiam.

Ne consegue che il ricorso deve ritenersi generico e privo della specificità dei motivi, che gli art. 581, lett. c) e art. 591, lett. c) cod. proc. pen. richiedono a pena d’inammissibilità. 3. All’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria, che si ritiene adeguato determinare nella somma di 1.000 Euro, in relazione alla natura delle questioni dedotte.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di 1.000 (mille) Euro in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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