Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-09-2011) 10-11-2011, n. 40964

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Roma, investito ex art. 309 cod. proc. pen., della richiesta di riesame proposta dall’indagato Z.L., ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari che in data 9.3.2011 aveva applicato al ricorrente la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, in relazione al quale era stato arrestato in flagranza, assieme alla madre Z.X..

Z.L. era accusato di avere, con la madre, impiegato, nel laboratorio di sartoria sostanzialmente coogestito dai due, cittadini extracomunitari, cinesi, privi di permesso di soggiorno, tenendoli in condizioni degradate e particolarmente gravose, e di lavoro e esistenziali.

Ad avviso del Tribunale, gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente emergevano dall’esito del controllo effettuato dai Carabinieri nel capannone industriale ove era allocato il laboratorio di sartoria, all’interno del quale erano stati trovati chiusi a lavorare, in condizioni indegne, meticolosamente descritte, tre cinesi irregolarmente presenti nello Stato.

2. Ha proposto ricorso l’indagato a mezzo del difensore, avvocato Emiliano Vignola, chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata.

Denunzia violazione di legge e mancanza, apparenza della motivazione:

2.1. con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, affermando in particolare che l’unico indizio di colpevolezza a carico del ricorrente era un documento fiscale, da cui risulta soltanto che la sua società aveva subappaltato alla ditta della madre un lavoro commissionatogli da un’impresa italiana; che non vi erano elementi che comprovassero la tesi accusatoria che il ricorrente avesse concorso con la madre ad impiegare operai irregolari nel laboratorio, così favorendone la condizione di soggiorno illegale e traendo da tale condizione un ingiusto profitto;

che non era ravvisarle, in particolare, il delitto contestato difettando ogni prova del dolo specifico richiesto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5; che non era stata considerata la documentazione difensiva che attestava che lo Z. era titolare di distinte attività imprenditoriali e che non aveva relazioni con quella gestita dalla madre nè con gli operai dalla stessa impiegati;

che gli elemento acquisiti dimostravano d’altro canto, obiettivamente, al più la sussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 10, mancando (anche in assenza di dichiarazioni degli operai) ogni elemento che il rapporto di lavoro fosse gestito in guisa da stravolgere un normale rapporto sinallagmatico;

2.2. con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari, sostenendo che mancavano gli elementi per una prognosi di pericolosità e serie risposte alle obiezioni difensive sul punto.

Motivi della decisione

1. I motivi di ricorso, spesso al limite dell’ammissibilità, sono nel complesso quantomeno infondati.

2. In punto di responsabilità, i giudici del riesame hanno adeguatamente osservato che gravi indizi della sussistenza della fattispecie contestata emergevano dalle obiettive condizioni – riferite dai Carabinieri e risultanti dai rilievi fotografici – dei locali: fatiscenti e promiscuamente adibiti a luogo di lavoro e a dormitorio (vengono descritti con infiltrazioni di acqua dal soffitto, oscuramento delle finestre, presenza di letti e generi alimentari surgelati; eppure muniti di un sistema di videosorveglianza che consentiva di visionare ingresso e strada adiacente).

La dimostrazione della concorsuale responsabilità dell’indagato riposava quindi sul fatto che Z.L., figlio della locataria del capannone, era l’effettivo destinatario (a quel che sembra esclusivo) degli indumenti che venivano colà confezionati, come risultava dalle etichette apposte sui capi e presenti nel laboratorio e dalle fatture di acquisto della ditta che appariva su tali etichette a favore della s.a.s. Zeng Zrng di Zheng Lin. Proprio il ricorrente appariva dunque l’unico e vero interessato a risparmiare sul costo lavoro.

Sicchè, a fronte della motivazione del Tribunale, esaustiva e plausibile, le doglianze appaiono evidentemente non fondate laddove intendono contestare l’evidente finalizzazione dell’impiego di lavoratori irregolari ad ingiusto profitto, platealmente emergenti dalla totale assenza dei pur minimi accorgimenti (ovviamente dispendiosi per i datori di lavoro) idonei ad assicurare agli operai una esistenza libera e dignitosa ( art. 36 Cost.). Sono generiche e rivolte a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti esclusivamente attinenti all’apprezzamento, che risulta correttamente operato, del materiale probatorio, laddove sostengono assente la prova del concorso del figlio, pure evidentemente destinatario dei prodotti capi e beneficiario della ingiusta locupletazione ottenuta sfruttando la condizione degli stranieri irregolari, nell’operato della madre, attesa la natura dei loro rapporti e l’intimo collegamento delle attività. 3. Quanto alle esigenze cautelari, anche per esse la motivazione offerta nel provvedimento impugnato, che fa leva sulle accertate modalità della condotta svolta in forma imprenditoriale e con apprezzabile organizzazione di mezzi (si richiama il sistema di videosorveglianza), è esaustiva e plausibile tanto più a fronte della misura, davvero residuale, applicata.

4. Il ricorso va pertanto rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento della spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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