Corte di Cassazione, Sezione II, 23 marzo 2011 n. 11544. In tema di concorso formale di reati.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO

§ 1. Con sentenza del 16/03/2010, il g. di p. di Montevarchi riteneva AAA responsabile “dei reati di cui agli alt. 81 cpv, 633, 635, 637 C.P., perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, dopo aver sradicato un palo di ferro della recinzione, col fine di rimuovere la catena che vi era stata apposta da BBB e CCC per impedire l’accesso all’interno della loro proprietà percorreva, alla guida di un camion sprovvisto di targhe, la strada privata che conduce nei terreni di proprietà di BBB e di CCC, invadendo arbitrariamente tale proprietà privata nonché danneggiando il palo sopracitato con altri elementi di recinzione, due piante di ginepro, il tracciato stradale ed il prato. Accertato in Montevarchi il 01.07.2005”.
§ 2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:
1. violazione degli artt. 633 – 637 C.P. per avere il giudice ritenuto la sussistenza del suddetto reato nonostante fosse stato accertato che il ricorrente si fosse limitato solamente ad attraversare velocemente la strada privata in questione. In ogni caso, i reati di cui agli artt. 633 e 637 c.p. non avrebbero potuto essere ritenuti entrambi configurabili perché l’ingresso abusivo nel fondo altrui previsto dall’altri 637 c.p. diviene elemento costitutivo, ex art. 84 c.p., dell’eventuale reato di cui all’art. 633 c.p. Il giudice, poi, non aveva considerato che il concetto di fondo – elemento materiale facente parte della struttura sia del reato di cui all’art. 633 che di quello di cui alla’rt. 637 c.p. – non poteva essere equiparato ad un tratto di strada destinata al transito che conduceva alla viabilità pubblica;
2. DIFETTO DI MOTIVAZIONE per non avere il giudice:
– evidenziato quali fossero gli elementi del danneggiamento non esistendo prova che alcuno dei beni indicati fosse stato danneggiato;
– motivato in ordine all’elemento psicologico della volontà di danneggiare “essendo inverosimile che uno vada ad urtare volontariamente un muro, con il rischio di procurarsi danni”;
– considerato che il ricorrente era convinto di esercitare un diritto di passaggio derivantigli da una servitù ex art. 1062 cc. come risultava dalla perizia e dagli atti processuali;
3. NULLITÀ DELLA SENTENZA per non avere il giudice indicato la pena base e i criteri di aumento per la continuazione fra i vari reati.

DIRITTO

§ 3. violazione degli ARTT. 633 – 637 C.P.: la doglianza è fondata per le ragioni di seguito indicate.
§ 3.1. L’elemento materiale del reato di cui all’art. 633 c.p. è costituito dall’arbitraria invasione di terreni o edifici, mentre l’elemento soggettivo (dolo specifico) consiste nel fine di occuparli o trarne altrimenti profitto.
In ordine al concetto di arbitraria invasione, sia la giurisprudenza che la stessa dottrina, sono concordi nel ritenere che il termine “invasione” non va inteso in senso etimologico e cioè come azione tumultuosa e violenta compiuta da più persone sulla totalità del bene, essendo, al contrario, sufficiente che l’accesso o la penetrazione arbitraria nel fondo altrui sia effettuato (anche da una sola persona) al fine di immettersi (arbitrariamente, quindi, illegittimamente) nel possesso o trarne un qualunque profitto. Partendo da tale nozione, si è concluso che non ogni turbativa del possesso comporta un’invasione, “ma soltanto quella che realizzi un apprezzabile depauperamento delle facoltà di godimento del terreno o dell’edificio da parte del titolare dello ius excludendi, secondo quella che è la destinazione economico sociale del bene o quella specifica ad essa impressa dal dominus” ex plurimis Cass. 6492/2003 Rv. 223597 – Cass. 38725/2009 Rv. 245259. Corollario di tale nozione è, però, un altro elemento che, sebbene non espresso nella norma, deve ritenersi in essa implicito e che consiste nel fatto che la permanenza nel terreno e nell’edificio non deve avere carattere momentaneo ma, al contrario, un’apprezzabile durata perché solo tale ulteriore elemento consente, poi, di evidenziare il dolo specifico dell’agente, ossia la volontà di occuparli o trarne altrimenti profitto, comportamenti questi (occupazione – approfittamento) che presuppongono, appunto, una stabile ed apprezzabile insistenza fisica dell’agente sul fondo altrui: Cass. 2253/1969 Rv. 115239 – Cass. 5603/1976 Rv. 135748 – Cass. 42786/2008.
La ratio della norma, infatti, consiste nel reprimere quei comportamenti idonei a pregiudicare la libera disponibilità del fondo da parte del proprietario o del legittimo possessore e, quindi, nella tutela della proprietà e del possesso. Non a caso, come si evince dalla Relazione al codice penale, il reato di invasione di cui all’art. 633 c.p. è stato mutuato dall’art. 9 d.l. 515/1920 – trasfuso poi nell’art. 36 r.d. 2047/1921 – che era stato introdotto proprio per far fronte al dilagante fenomeno delle occupazioni di terre che avvenivano alla fine della prima guerra mondiale.
La suddetta ratio, impone, però, di indugiare sul requisito (implicito) della permanenza di apprezzabile durata. Va, infatti, osservato che il requisito dell’apprezzabile durata può essere desunto non solo dalla permanenza fisica dell’agente sul fondo, ma anche da elementi esterni che indichino la volontà dell’agente (pur non presente fisicamente sul fondo) di volerlo occupare o trarne profitto (come ad es. il possesso di chiavi per l’accesso al fondo -esecuzione di opere che rivelino l’intenzione di permanere nell’immobile).
Ciò significa che non sempre e non necessariamente per la configurabilità del reato di invasione di terreni o edifici, occorre che l’agente rimanga stabilmente su di essi, ben potendo essere ugualmente ravvisabile il suddetto reato ove la svolta istruttoria evidenzi elementi fattuali tali dai quali si possa desumere che l’agente – nonostante la breve permanenza sul fondo altrui – abbia posto in essere quel comportamento (l’invasione) con il deliberato fine di occupare o trarre profitto dall’immobile.
Esempio emblematico di quanto appena detto è l’ipotesi (come nella fattispecie in esame) di un breve passaggio sul fondo altrui. Nell’esempio ipotizzato, infatti, il mero criterio temporale (momentaneità del passaggio) potrebbe non essere significativo o addirittura fuorviante, ove si accertasse che l’agente, con quel suo atto, si prefiggeva di dare inizio ad un possesso finalizzato ad usucapire una servitù di passaggio.
Quanto appena detto, porta, quindi, alla conclusione che il criterio temporale diventa decisivo al fine di stabilire la confìgurabilità o meno del reato di cui all’art. 633 c.p., solo quando nessun altro elemento processuale indichi quale fosse il dolo dell’agente: in tal caso, in ossequio alle regole stabilite dagli artt. 530/2 e 533/1 c.p.p., l’imputato non può che essere assolto dal reato di cui all’art. 633 c.p. § 3.2. Ben diversa, invece, è la struttura normativa dell’art. 637 c.p., che richiede, sotto il profilo materiale, il semplice ingresso (qualunque siano le modalità) nel fondo altrui (urbano o rustico) che sia recintato e, sotto profilo soggettivo, il semplice dolo generico consistente nella volontà di entrare nel fondo altrui pur sapendo che è recintato. Diversa è anche la ratio legis che va individuata nell’esigenza di tutelare il proprietario (o possessore) da tutte quelle ingerenze o turbative che, essendo connotate da una spiccata invasività (entrare nel fondo recintato) e, quindi, fini a sé stesse (ingresso “senza necessità”), ledono il pacifico godimento del bene. § 3.3. Ora, dal raffronto delle suddette norme, si può desumere che il reato di ingresso abusivo nel fondo altrui (art. 637 c.p.) si differenzia dall’invasione di edifici e terreni (art. 633 c.p.) sotto i seguenti profili: – per il criterio temporale, nel senso che è configurabile l’ipotesi di cui all’art. 637 c.p. ove l’ingresso sia momentaneo; al contrario, si rientra nell’ipotesi di cui all’art. 633 c.p. ove l’ingresso e la permanenza abbiano un’apprezzabile durata nel senso antea illustrato;
– per il criterio soggettivo, atteso che, per la configurabilità del reato di invasione è necessario il dolo specifico al contrario di quello di ingresso abusivo;
– per la ratio legis che tutela, nell’art. 633 c.p., la proprietà ed il possesso, laddove, nell’art. 637 c.p. è tutelato il pacifico godimento del bene.
§ 3.4. Così delineata la struttura normativa dei due reati e le rispettive differenze, dalla sentenza impugnata, in punto di fatto, si evince che il ricorrente, dopo aver rotto una catena che sbarrava l’accesso al fondo del vicino, “sbarbati i pali laterali, con rottura del colonnino di pietra, abbattute alcune piante, danneggiando il muro di cinta, danneggiando il prato con il camion”, contro la volontà del proprietario che gli aveva negato il passaggio sul proprio fondo, lo attraversò alla guida di un grosso camion che aveva la necessità di trasferire dal sottopassaggio della ferrovia – dove si trovava da lungo tempo – alla propria proprietà.
Il comportamento del ricorrente, consistette, quindi, nell’essere entrato, con violenza, nel fondo altrui recitato e, dopo avere danneggiato alcuni beni, averlo attraversato con un camion per portare il medesimo nella propria proprietà.
La difesa sostiene che, nel suddetto comportamento siano ravvisabili gli estremi di cui all’art. 392 c.p. perché il AAA riteneva di esercitare un diritto di passaggio.
Sennonché il giudice di pace, sulla base di precisi riscontri fattuali, nonché alla stregua delle stesse dichiarazioni rese dal AAA (“L’imputato, diffidato dal passare dai proprietari del fondo, avrebbe risposto: “faccio come mi pare”. Il AAA, quindi, era ben certo di non esercitare alcun suo diritto”: pag. 9 sentenza), ha escluso la configurabilità del suddetto reato. La sentenza, sul punto, non si presta ad alcuna censura dovendosi ritenere che il giudice di merito abbia tratto le corrette conseguenze giuridiche dagli evidenziati elementi fattuali, atteso che il AAA era ben consapevole di non poter accampare alcun diritto di passaggio e, quindi, di non potersi rivolgere al giudice civile a tutela del preteso diritto di servitù.
§ 3.5. Resta, quindi, da appurare se il suddetto comportamento sia sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 633 o 637 c.p.
Sul punto, va osservato, che – contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice – i due reati non possono concorrere.
Infatti, se si ritiene che nel comportamento del AAA siano ravvisabili gli estremi (oggettivi e soggettivi) dell’invasione di terreni,
allora, il reato di cui all’art. 637 c.p. rimane in esso assorbito, ex art. 84 c.p., proprio perché l’accesso al fondo (previsto dall’art. 633 c.p.) è elemento costitutivo anche del reato di ingresso abusivo nel fondo altrui.
Se, invece, si ritiene che nel comportamento del ricorrente siano ravvisabili gli estremi (oggettivi e soggettivi) del reato di cui all’art. 637 c.p., allora, necessariamente, deve escludersi il concorso con la fattispecie dell’invasione di terreni di cui all’art. 633 c.p. proprio perché le due norme prevedono e reprimono comportamenti fra di loro incompatibili, quantomeno sotto il profilo soggettivo.
Ora, richiamando quanto si è illustrato a proposito delle differenze fra i due reati, nel particolare caso di specie in esame, due sono gli elementi che fanno ritenere che il ricorrente debba essere ritenuto responsabile del solo reato di cui all’art. 637 c.p.
Innanzitutto, depone a favore della suddetta conclusione, un fatto oggettivo: il ricorrente si limitò – dopo essere entrato nell’altrui fondo recitato – ad attraversarlo rapidamente con un camion che aveva
necessità di trasferire da un posto ad un altro.
Si trattò, quindi, di un comportamento tenuto per la prima volta, per breve tempo e per una necessità di carattere contingente: di conseguenza, in mancanza di elementi materiali esterni (ad es. impossessamento di una chiave per aprire il lucchetto della catena che chiudeva il fondo) e, sulla base del principio del favor rei, deve, in prima battuta, ritenersi che il ricorrente non avesse intenzione di invadere il fondo altrui per trarne un profitto, secondo l’accezione illustrata: in terminis Cass. 42786/2008 secondo la quale “I passaggi, con modalità e frequenza peraltro non precisate, non integrano plurime invasioni del terreno della controparte. Si tratta di compressioni del diritto di proprietà che non raggiungono quel livello di stabilità che richiede l’invasione arbitraria di terreni o edifici”. Tuttavia, sulla base di quanto si è detto, il semplice comportamento materiale – consistito nell’attraversare il fondo del vicino – è poco significativo. Infatti, sebbene la permanenza sia stata minima (tale dovendosi considerare il tempo necessario a percorrere la strada privata del vicino), ove il passaggio arbitrario fosse stato l’inizio di un’attività possessoria finalizzata all’esercizio di un diritto di servitù, allora dovrebbe concludersi che quell’ingresso, essendo un comportamento diretto a pregiudicare la libera disponibilità del fondo da parte del proprietario e, quindi, a ledere la proprietà o il possesso (“al fine di trarne profitto”), integra gli estremi di cui all’art. 633 c.p. L’indagine, deve, quindi, spostarsi sull’elemento soggettivo il solo idoneo all’esatto inquadramento giuridico della fattispecie in esame. Ora, dalla sentenza impugnata, si evince sì che il AAA voleva passare sul fondo del vicino ma è lo stesso giudice che esclude che il ricorrente pretendesse di farlo perché nella convinzione di esercitare un proprio diritto.
Pertanto, due sole possono essere le conclusioni: o che il AAA, con quel suo comportamento, avesse voluto iniziare il possesso di una servitù di passaggio, ovvero, a fronte del rifiuto del proprietario di farlo passare, a mò di sfregio ed in modo prepotente, passò ugualmente per soddisfare un’esigenza contingente (trasportare il camion da un posto all’altro).
Ora, sulla base dell’impugnata sentenza, può affermarsi che il giudice ha optato (sia pure implicitamente) per la seconda ipotesi, avendo evidenziato che il AAA, a fronte del rifiuto del proprietario di farlo passare e, pur essendo consapevole di non vantare alcun diritto di passaggio, rispose “faccio come mi pare”, risposta che, nella sua inequivocità, indica, appunto, un atteggiamento di prepotenza e di sfida nei confronti del proprietario più che una volontà di iniziare il possesso di una servitù di passaggio non compatibile, peraltro, con l’esigenza momentanea ed occasionale di trasportare il camion da un posto all’altro.
In conclusione, l’analisi della fattispecie, alla stregua degli stessi elementi fattuali indicati dal giudice di merito, porta a ritenere che il ricorrente abbia violato la sola norma di cui all’art. 637 c.p., sia perché si intrattenne nel fondo del vicino per il solo tempo necessario ad attraversarlo con il camion, sia perché il dolo con il quale compì l’azione non era quello specifico di cui all’art. 633 c.p. ma quello generico di cui all’art. 637 c.p. del quale sussiste anche l’elemento materiale, essendo il ricorrente entrato abusivamente nel fondo recintato del vicino.
§ 4. Difetto di motivazione: anche la suddetta censura è fondata. Infatti, il giudice di pace, al di là di indicare i requisiti giuridici della fattispecie (ossia che occorre il dolo generico), non ha spiegato in concreto, a fronte degli elementi fattuali e logici evidenziati dalla difesa, i motivi per i quali il comportamento dell’imputato dovesse essere considerato doloso e non colposo. La sentenza, quindi, va annullata con rinvio per un nuovo esame in ordine alla configurabilità del reato di cui all’art. 635 c.p. § 5. In conclusione, dei tre reati addebitati al ricorrente:
– va ritenuta la configurabilità del reato di cui all’art. 637 c.p.;
– va ritenuto insussistente il reato di cui all’art. 633 c.p.;
– dev’essere effettuato un nuovo giudizio in ordine alla configurabilità del reato di cui all’art. 635 c.p., all’esito del quale il Giudice di Pace provvedere alla rideterminazione della pena non solo per il reato di cui all’art. 637 c.p. (il cui accertamento è cosa giudicata ex art. 624 c.p.p.) ma, eventualmente, anche per il reato di cui all’art. 635 c.p.

P.Q.M.

ANNULLA
La sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al delitto di cui all’art. 633 c.p. perché il fatto non sussiste
ANNULLA
La sentenza predetta con riferimento all’articolo 635 c.p. con rinvio al Giudice di Pace di Montevarchi per nuovo giudizio sul capo e per la determinazione della pena in ordine al reato di cui all’art. 637 c.p. ed eventualmente per quello di danneggiamento.
Roma 08/02/2011
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 23 MARZO 2011

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